Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10839 del 04/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 04/05/2017, (ud. 12/01/2017, dep.04/05/2017),  n. 10839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3437/2015 proposto da:

WHIRLPOOL EUROPE S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA MAZZINI N. 27 presso lo STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS

AVVOCATI, rappresentata e difesa dagli Avvocati GIACINTO FAVALLI,

PAOLO ZUCCHINALI, GIORGIO COSCIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

H.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA ANDREA DORIA 40, presso lo studio dell’avvocato GAETANO

GUTTEREZ, rappresentata e difesa dall’avvocato CHIARA NICOLETTI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 373/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/07/2014 R.G.N. 2988/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2017 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SOTTILE per delega verbale Avvocato

GIACINTO FAVALLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso,

in subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Varese che aveva accolto la domanda diretta a far accertare l’illegittimità del termine apposto al contratto stipulato tra la società Whirpool Europe spa e la ricorrente H. in data 16.6.2003 e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato da tale data, condannando la società al ripristino del rapporto e al pagamento di un’indennità pari a tre mensilità di retribuzione ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32.

Il tribunale aveva respinto l’eccezione di risoluzione per mutuo consenso e aveva ritenuto che la società non avesse offerto la prova delle ragioni e delle esigenze per le quali aveva ritenuto di applicare il termine.

La Corte d’appello respingeva i motivi di gravame sia con riferimento all’eccepita risoluzione del rapporto per mutuo consenso, ritenendo che il tempo trascorso tra la cessazione del contratto e la proposizione della richiesta del tentativo di conciliazione, di un anno e mesi 10, fosse insufficiente per palesare la chiara volontà di porre fine al rapporto di lavoro, sia con riferimento alla genericità della causale, che si riferiva “ad un incremento di attività nell’abito di gestione degli ordini dei pezzi di ricambio degli elettrodomestici per tutto il mercato europeo, con necessità di incrementare l’intensità dell’attività di distribuzione” e che non era neanche accompagnata dalla specificazione delle mansioni cui la lavoratrice sarebbe stata adibita, sia ancora con riferimento al dato riguardante la produzione, che non poteva dirsi accertato come esistente.

Rilevava ancora la Corte che i dati indicati nei prospetti allegati non evidenziavano significativi scostamenti dei livelli produttivi nei periodi in considerazione, rispetto a quelli dell’anno precedente nè ai mercati interessati, così che tali dati non erano indicativi dell’aumento dell’attività di distribuzione. Infine riteneva la Corte che i capitoli di prova della cui mancata ammissione in primo grado l’appellante si era lamentato, erano generici, avendo ad oggetto la “mera imprevedibilità della domanda”, oppure ininfluenti, come quello relativo ad un accordo sindacale stipulato successivamente al contratto di lavoro oggetto di causa.

La società ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivì. Ha resistito la lavoratrice con controricorso. La ricorrente società ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo di ricorso la società, oggi Whirpool Emea spa, lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 1372 c.c.. Secondo la ricorrente le affermazioni della corte che ha ritenuto non sufficiente il lasso di tempo trascorso per accertare una volontà diretta a risolvere consensualmente il rapporto sarebbero riconducibili ad un errata applicazione dei principi sanciti dall’art. 1372 c.c., perchè la condotta passiva della lavoratrice che per circa due anni ha dimostrato in modo non equivoco di non aver alcun interesse alla ripresa del lavoro, avrebbe posto in essere un negozio abdicativo.

2) Il motivo è infondato. Questa Corte ha più volte rilevato che nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, il decorso dei lasso temporale tra la cessazione dell’ultimo contratto e la messa in mora del datore da parte del lavoratore, deve essere significativo e comunque deve comunque essere accompagnato da elementi che possono contribuire a confermare la volontà abdicativa, quali ad esempio il reperimento, nelle more, di altra occupazione a tempo indeterminato (Cass. 21876/2015); ciò in quanto tale risoluzione è pur sempre frutto di una volontà consensuale, sebbene tacita, così deve pur sempre ricavarsi tale volontà di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, e non essendo sufficiente un atteggiamento meramente remissivo del lavoratore, “che non può essere inteso come acquiescenza se finalizzato a favorire una nuova chiamata o addirittura una possibile stabilizzazione” (Cass. 2074/2015).

3) Con il secondo motivo di gravame la società lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per avere la corte erroneamente ritenuto che la causale non fosse dotata di idonea specificità, non potendo tale carattere essere contenuto nella ragione indicata soltanto nella necessità di un aumento dell’attività nell’ambito della gestione degli ordini di pezzi di ricambio degli elettrodomestici per tutto il mercato europeo, con necessità di incrementare l’intensità dell’attività di distribuzione. Secondo la ricorrente la causale sarebbe dotata invece di sufficiente identificazione della ragione giustificatrice ed in particolare della connessione tra l’incremento dell’attività di gestione degli ordini di ricambio e l’attività di distribuzione correlata.

4) Con il terzo motivo la ricorrente lamenta invece la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., avendo a suo dire errato la corte d’appello nel ritenere comunque non provata la causale indicata, atteso che in dati forniti non sarebbero stati indicativi di significativi scostamenti dei livelli produttivi e della correlazione tra l’incremento della produzione e l’aumento dell’attività di distribuzione, dell’anno incorso, rispetto all’anno precedente. Secondo la ricorrente la documentazione prodotta, diversamente da quanto ritenuto dalla corte territoriale, avrebbe indicato tale incremento di attività nell’ambito della gestione dei pezzi di ricambio, aumento poi arrestatosi, essendo diminuita la distribuzione, successivamente alla cessazione del contratto della H..

I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente essendo comunque connessi, sono infondati.

Dalla lettura della lettera di assunzione si ricava in realtà la genericità della causale, così come ritenuto dal giudice del merito. La ragione viene individuata genericamente “nella necessità di affrontare l’incremento di attività nell’ambito della gestione degli ordini dei pezzi di ricambio degli elettrodomestici per tutto il mercato europeo, pertanto ravvisandosi la necessità di incrementare l’intensità dell’attività di distribuzione”. Giustamente la Corte territoriale ha ravvisato l’assenza di qualsiasi collegamento tra la motivazione addotta e l’assunzione della lavoratrice, non essendo stato neanche indicata la mansione che la stessa avrebbe dovuto ricoprire e neanche il contesto lavorativo in cui sarebbe stata inserita. Non può certamente ritenersi indicativa del luogo della prestazione lavorativa la generica dicitura in inglese, nella lettera di assunzione “Spare parts Center”, che starebbe a significare esclusivamente centro proeposto ai pezzi di ricambio. Ma in particolare la ricorrente non ha offerto idonea prova della causale indicata, come correttamente rilevato dalla corte d’Appello.

I prospetti allegati e trascritti in ricorso non sono indicativi e non forniscono alcuna dimostrazione dell’incremento di attività di distribuzione nel periodo dal giugno al dicembre del 2003, rispetto al periodo precedente, peraltro non essendo neanche ben indicati gli anni di riferimento. Tale documentazione è stata quindi correttamente ritenuta dalla Corte di merito del tutto insufficiente, e come tale neanche suscettibile di essere confermata o anche integrata da prove testimoniali, con motivazione sufficientemente congrua e non censurabile.

Il ricorso va pertanto respinto e la società, soccombente, va condannata al pagamento delle spese del grado, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 3500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2017

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