Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10837 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. III, 05/06/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 05/06/2020), n.10837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27925/19 proposto da:

-) O.S., elettivamente domiciliato a Forlì, via Giacomo

Matteotti n. 115, presso l’avvocato Rosaria Tassinari che lo difende

in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna 12.8.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28 febbraio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.S., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse di aver lasciato la (OMISSIS) per il timore delle minacce di morte a lui rivolte da un potente criminale, della cui organizzazione l’odierno ricorrente si era rifiutato di entrare a far parte; aggiunse che in (OMISSIS) non aveva più parenti tranne una sorella; di avere ricevuto altresì minacce di morte dai familiari della persona con cui era fuggito dalla (OMISSIS), persona deceduta poi in Libia e della cui morte i familiari della vittima accusavano l’odierno ricorrente;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento O.S. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Bologna, che la rigettò con decreto 12.8.2019;

il Tribunale ritenne che il racconto del richiedente asilo era lacunoso, contraddistinto da aporie ed incoerenze, generico e non credibile; inoltre il richiedente non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per documentare la verità dei fatti narrati; che in ogni caso (per i fini di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) nella regione di provenienza del richiedente asilo non vi era una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; che infine nel caso di specie, anche in ragione della “inattendibilità in generale” del ricorrente non erano emerse situazioni di peculiare vulnerabilità di questi;

tale decreto è stato impugnato per cassazione da O.S. con ricorso fondato su tre motivi;

il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5.

Sostiene che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto inattendibile il racconto da lui narrato alla Commissione territoriale, e quindi i fatti posti a fondamento della domanda di protezione internazionale. Deduce che tale erroneità sussisterebbe sotto un duplice profilo. In primo luogo il Tribunale avrebbe violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 perchè non ha valutato il racconto del richiedente asilo alla luce delle indicazioni ivi previste, ed in particolare non avrebbe valutato se il richiedente asilo aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la propria domanda.

Aggiunge il ricorrente che, in ogni caso, eventuali dubbi sulla veridicità dei fatti esposti dal richiedente asilo non giustificano il rigetto della domanda quando essi “non inficiano irrimediabilmente” l’attendibilità del racconto, oppure quando quest’ultimo non sia smentito da elementi determinanti di segno contrario.

In secondo luogo il ricorrente deduce che la valutazione del Tribunale è stata comunque erronea, perchè il racconto del richiedente asilo non era affatto generico nè contraddittorio.

In terzo luogo il ricorrente deduce che, qualora il Tribunale avesse avuto dubbi sull’attendibilità del richiedente asilo, avrebbe dovuto convocarlo per porgli altre domande.

1 gennaio Il motivo è in parte inammissibile, ed in parte infondato in tutte le censure in cui si articola.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, infatti, non impone affatto al Giudicante – al contrario di quanto mostra di ritenere il ricorrente l’obbligo di credere al richiedente asilo, quando questi abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la sua domanda e non abbia potuto fornire ulteriori prove senza colpa.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, impone al giudice soltanto l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate, ed in particolare di stabilire “se le dichiarazioni del richiedente (siano) coerenti e plausibili” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. (c)).

Da ciò discendono tre conseguenze:

-) la prima è che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non potrà mai dirsi violato sol perchè il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto od inveritiero un fatto;

-) la seconda è che il giudizio sulla credibilità del richiedente asilo non è affatto a rime obbligate, e non sussiste alcun “diritto ad essere creduti” sol perchè si sia presentata una domanda di asilo il prima possibile o si sia fornito un racconto circostanziato (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 20580 del 31/07/2019, Rv. 654946 – 01);

-) la terza è che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. (c) lascia libero il giudice di merito di credere o non credere al richiedente asilo, secondo il suo prudente apprezzamento, che in quanto tale non è sindacabile in questa sede (Sez. 1, Ordinanza n. 21283 del 9.8.2019; Sez. 1 -, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 21128 del 7.8.2019; Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361 – 01).

Sindacabile in sede di legittimità, pertanto, potrebbe essere soltanto il metodo di giudizio applicato dal giudice di merito (ad esempio, per violazione dei precetti dettati dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 in tema di ricerca e valutazione delle prove), ma non certo il merito del giudizio in sè riguardato, una volta che quei criteri siano stati osservati.

1.3. Ciò posto in generale, si osserva che nel caso di specie il Tribunale ha ampiamente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto:

-) che il richiedente asilo non avesse affatto compiuto ogni ragionevole sforzo per contestualizzare dare concretezza dei fatti narrati (così il decreto, pagina 3, ultimo capoverso);

-) che i fatti descritti dal richiedente asilo erano infarciti di numerose incoerenze (così il decreto, pagina 4, secondo capoverso);

-) che il ricorrente non aveva adempiuto all’onere di collaborazione su gravante (ibidem, sesto capoverso).

Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 pertanto non vi fu, dal momento che tutti i parametri di attendibilità previsti dalla norma appena ricordata sono stati presi in esame dal Tribunale.

1.4. Un cenno a parte merita l’affermazione della ricorrente secondo cui “se al Tribunale fossero sorti dei dubbi avrebbe dovuto riconvocare il ricorrente può di altre domande”.

Trattasi di una affermazione inusitata, dal momento che alcuna norma processuale, nè alcun principio nazionale, comunitario o sovranazionale impone al giudice di anticipare alle parti il modo in cui intende valutare le prove, per sollecitare da queste eventuali controdeduzioni.

Una regola, quest’ultima, condivisa dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale ha affermato un principio esattamente antitetico a quello invocato dal ricorrente: e cioè che l’obbligo degli Stati membri di cooperare con il richiedente asilo non può essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui l’autorità nazionale competente intenda respingere la domanda, “tale autorità dovrebbe a tal titolo, prima dell’adozione della sua decisione, informare l’interessato dell’esito negativo che prevede di riservare alla sua domanda nonchè comunicargli gli argomenti sui quali essa intende basare il rigetto di quest’ultima, in modo da consentire a tale richiedente di far valere il suo punto di vista in proposito” (Corte giust. UE, 22 novembre 2012, in causa C-277/11, M.M. c. Minister for Justice).

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Lamenta che erroneamente il Tribunale ha escluso che in (OMISSIS) esista una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

Sostiene che il Tribunale sarebbe pervenuto a tale erronea conclusione sulla base di fonti di informazione non attuali perchè risalenti al 2017/2018; che vari uffici giudiziari di merito avevano affermato l’esatto contrario; che colui il quale fuga da un paese in guerra non ha l’onere di provare di essere esposto in modo specifico di individuare i rischi di violenza; che in ogni caso il Tribunale non aveva compiuto “l’effettiva individuazione della zona di provenienza del ricorrente”, nè accertato se le autorità statali di quel paese fossero in grado di prevenire e reprimere la violenza privata.

2.1. Il motivo è manifestamente infondato.

In primo luogo rileva questa Corte che il Tribunale di Bologna ha esattamente individuato la regione di provenienza dell’odierno ricorrente, affermando che egli proviene dalla regione (OMISSIS) di (OMISSIS) (così il decreto, pagina 5, del suo ultimo rigo).

Non corrisponde, dunque, a verità quanto dedotto a pagina 15, ventesimo rigo, del ricorso, e cioè che il Tribunale non avrebbe proceduto alla “effettiva individuazione della zona di provenienza del ricorrente”.

2.2. In secondo luogo, il Tribunale ha citato gran copia di fonti autorevoli attestanti l’inesistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato nella regione (OMISSIS) di (OMISSIS).

Lo stabilire se in un determinato paese esista o non esista una situazione di guerra diffusa è un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito.

Tale accertamento potrebbe essere sindacata in questa sede, in teoria, solo prospettando la violazione del dovere di utilizzare fonti precise ed attendibili (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8), oppure deducendo l’omesso esame di un fatto decisivo.

Nel caso di specie, tuttavia, l’omesso esame del fatto decisivo non è stato neanche prospettato dal ricorrente; e quanto alla censura di aver il Tribunale utilizzato fonti non aggiornate, l’ammissibilità di un simile motivo di ricorso presupponeva l’indicazione, da parte del ricorrente, dell’indicazione di ulteriori e più aggiornate fonti, dai contenuti antitetici rispetto a quelli rilevati dal Tribunale.

Il ricorrente, tuttavia, non ha fornito alcuna indicazione bibliografica di fonti più aggiornate o attendibili di quelle utilizzate dal Tribunale. Egli si è limitato a trascrivere alle pagine 10-13 del ricorso due ampi brano virgolettato, illustrativi del contesto sociopolitico (OMISSIS). Il secondo tali brani è tratto da una sentenza di merito e se ne sconosce la fonte; dell’altro non solo il ricorso non indica la fonte nè la data, ma, a ben vedere, nemmeno prospetta l’esistenza in (OMISSIS) di una vera e propria guerra.

In ogni caso, anche allo scopo non ultimo di morigerare talune affermazioni contenute nella illustrazione del ricorso, reputa doveroso questa Corte rilevare che il brano trascritto alla pag. 10 del ricorso, col quale il ricorrente ha inteso contrastare le fonti citate dal Tribunale e relative agli anni 2017 e 2018, risulta essere stato estratto dal sito Web del ministero degli esteri (OMISSIS), e contiene informazioni addirittura risalenti all’anno 2016, e dunque addirittura più datate di quelle utilizzate dal Tribunale.

Infine, non sarà superfluo segnalare che questa Corte ha ripetutamente rigettato ricorsi avverso decisioni di merito le quali avevano escluso la sussistenza nell'(OMISSIS) di condizioni legittimanti la domanda di concessione dello status di rifugiato: ex permultis, in tal senso, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 1718 del 23 gennaio 2019; Sez. 1, Sentenza n. 32852 del 19.12.2018; Sez. 1, Ordinanza n. 28433 del 7 novembre 2018; Sez. 1, Ordinanza n. 28425 del 7 novembre 2018; Sez. 1, Ordinanza n. 28119 del 5 novembre 2018; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 9206 del 13.4.2018; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2682 del 5 febbraio 2018, nella cui motivazione si legge: “sussistono le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria soltanto in favore dei cittadini (OMISSIS) che provengono dalle parti nord e nord-est del paese rispetto alle quali l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati ha rivolto un monito agli Stati perchè non effettuino rimpatri forzati, mentre il ricorrente proviene da una regione del Sud ((OMISSIS)) rispetto alla quale, secondo il più recente rapporto di Amnesty International del 2016, non vengono segnalate situazioni di pericolo”.

3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta, senza formalmente inquadrare la propria censura in alcuno dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 (nel ricorso, “1988”).

A fondamento della censura sostiene che il Tribunale ha errato nel rigettare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari sia perchè non ha verificato se “il quadro generale di violenza diffusa di indiscriminata accertato dal giudice di primo grado” fosse idoneo ad integrare una situazione di vulnerabilità; sia perchè non ha considerato che il ricorrente aveva svolto lavoro volontario e si era impegnato nello studio della lingua italiana, intraprendendo così un “percorso concreto di integrazione nel nostro Paese”.

3.1. Il motivo è inammissibile per plurime ed indipendenti ragioni.

In primo luogo è inammissibile perchè il ricorrente non indica mai, in alcun punto del ricorso, quale sarebbe la “speciale condizione di vulnerabilità”, idonea a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

In secondo luogo è infondato perchè nessuna delle circostanze dedotte dal ricorrente (e cioè la povertà del paese di origine, l’avvenuta (ma indimostrata) integrazione in Italia del richiedente asilo, l’insicurezza del Paese di origine) può costituire ipso iure titolo legittimante al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari; ed infatti:

(a) la povertà del Paese da cui provenga chi richieda un permesso di soggiorno per motivi umanitari non rileva, perchè il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura residuale ed atipica, che può essere accordata solo a coloro che, se facessero ritorno nel Paese di origine, si troverebbero in una situazione di vulnerabilità strettamente connessa al proprio vissuto personale; e situazione non può identificarsi in ragioni di natura economica o di ripartizione della ricchezza tra la popolazione; se così non fosse, il permesso di soggiorno per motivi umanitari, misura “personalizzata” e concreta, finirebbe per essere accordato non già sulla base delle specificità del caso concreto, ma sulla base delle condizioni generali del Paese d’origine del richiedente, in termini del tutto generali ed astratti, ed in violazione della ratio e della lettera della legge (ex multis, Sez. 1, Ordinanza n. 1051 del 17 gennaio 2020; Sez. 1, Ordinanza n. 864 del 17 gennaio 2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21280 del 9.8.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 17287 del 27.6.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 17282 del 27.6.2019; Sez. 1 -, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01);

(b) lo svolgimento di attività lavorativa nel nostro Paese di parte di chi abbia richiesto il permesso di soggiorno per motivi umanitari non rileva, in quanto la “vulnerabilità” richiesta a tal fine dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli (Sez. 1, Ordinanza n. 17832 del 3 luglio 2019; Sez. 1, Ordinanza n. 17287 del 27.6.2019);

(c) l’insicurezza del Paese di origine, infine, non rileva, per le medesime ragioni già indicate poc’anzi, sub (a).

4. L’istanza di liquidazione dell’onorario proposta dall’avv. Rosaria Tassinari, quale difensore di una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, fatta pervenire a questa Corte a mezzo del servizio postale ed acclusa agli atti, va dichiarata irricevibile in questa sede.

Stabilisce, infatti, il D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 115, art. 82, comma 2, (testo unico delle spese di giustizia) che la liquidazione dell’onorario al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, per l’attività svolta nel giudizio di legittimità, sia compiuta dal giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato per effetto della decisione di legittimità: e dunque, nel nostro caso, il Tribunale di Bologna.

5. Non è luogo a provvedere sulle spese, poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

5.1. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): infatti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11 il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non sia stata revocata dal giudice competente.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che non sussistono allo stato i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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