Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10836 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. III, 05/06/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 05/06/2020), n.10836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27839/19 proposto da:

-) A.A., elettivamente domiciliato a Roma, via Muzio Clementi, 51

(c/o avv. Valerio Santagata), difeso dall’avvocato Raffaele Miraglia

in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna 23.8.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28 febbraio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.A., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 14:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse di aver lasciato il (OMISSIS) nel 2008 per sfuggire alle persecuzioni che gli esponenti del partito di maggioranza “(OMISSIS)” ((OMISSIS)) andavano compiendo nei confronti degli appartenenti al partito avverso, il “(OMISSIS)” ((OMISSIS)), al quale aderivano i membri della sua famiglia;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento A.A. propose, ai sensi bis D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Bologna, che la rigettò con decreto 23.8.2019;

il Tribunale ritenne che il racconto del richiedente era contraddittorio, non circostanziato e non credibile; alle contraddizioni interne del racconto doveva aggiungersi la circostanza che l’odierno ricorrente, entrato in Italia nel 2008 con un permesso di lavoro stagionale, soltanto nel 2016 si risolse a formulare domanda di protezione; l’inattendibilità del racconto rendeva superfluo qualsiasi approfondimento istruttorio con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); nella regione del (OMISSIS) dalla quale proviene l’odierno ricorrente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata; la protezione umanitaria non potesse essere accordata perchè non era emersa alcuna situazione di vulnerabilità del ricorrente, anche con riferimento alla inattendibilità del suo racconto, nè il lavoro svolto in Italia dal richiedente asilo era di per sè sufficiente a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

tale decreto è stato impugnato per cassazione da A.A. con ricorso fondato su quattro motivi;

il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, perchè pongono questioni fra loro connesse.

Con ambedue questi motivi il ricorrente denuncia sia il vizio di violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, sia quello di nullità processuale, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Espone, in punto di fatto, che in primo grado il giudice designato quale relatore della causa con decreto 1 dicembre 2017 fissò l’udienza di comparizione delle parti, e delegò un giudice onorario non solo a procedere allo svolgimento dell’udienza, ma anche “all’elaborazione della bozza del provvedimento”.

L’udienza fu poi effettivamente tenuta da un giudice onorario, mentre la successiva decisione fu adottata da un collegio giudicante del quale non entrò a far parte il magistrato onorario delegato all’istruttoria. Premessi questi fatti, il ricorrente sostiene che il Tribunale sarebbe incorso, col suddetto modus procedendi, in plurime nullità:

-) una prima nullità, derivante dal fatto che ai giudici onorari non è consentita la trattazione degli affari in materia della protezione internazionale, nè l’attività decisoria;

-) una seconda nullità, derivante dalla scelta del giudice togato di delegare a quello onorario la “elaborazione della bozza del provvedimento” decisorio;

-) una terza nullità, derivante dalla violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge;

-) una quarta nullità, infine, derivante dalla mancata partecipazione al collegio giudicante del magistrato che aveva svolto l’attività istruttoria.

1.1. La censura è infondata nella parte in cui lamenta che illegittimamente l’attività istruttoria e la preparazione della minuta siano state delegate ad un giudice onorario.

In primo luogo tale censura è infondata perchè la distribuzione degli affari all’interno del singolo ufficio giudiziario può costituire fonte di responsabilità disciplinare, ma non di nullità del processo.

In secondo luogo è infondata perchè la nullità deriverebbe, secondo la prospettazione attorea, dalla violazione delle circolari diramate in materia dal Consiglio Superiore della magistratura: ma le circolari con le quali il Consiglio Superiore della Magistratura disciplina gli incarichi che possono essere affidati ai giudici onorari del Tribunale, in quanto fonti normative di secondo grado, non possono introdurre ipotesi di nullità processuali non previste dalla legge (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3356 del 05/02/2019, Rv. 652464 – 01).

In terzo luogo è infondata perchè, con riferimento ala materia della protezione internazionale, il divieto invocato dal ricorrente non sussiste: il Consiglio Superiore della Magistratura, infatti, con Delib. 15 giugno 2017 (recante “Sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’unione Europea a seguito del D.L. 17 febbraio 2017”), ha stabilito che il giudice onorario può essere delegato a:

a) “compiere tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale, provvedendo tra l’altro (…) alla predisposizione delle minute dei provvedimenti”;

b) svolgere “attività, anche a carattere istruttorio, ritenuta dal medesimo magistrato togato utile alla decisione dei procedimenti”.

1.2 La censura è altresì infondata nella parte in cui lamenta la violazione del principio di invariabilità del collegio giudicante.

Tale principio, stabilito dall’art. 276 c.p.c., infatti, può dirsi violato soltanto quando i giudici che deliberano la sentenza siano diversi da quelli dinanzi ai quali sono state precisate le conclusioni o si è tenuta l’udienza di discussione (ex multis, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 4925 del 11/03/2015).

Nel caso di specie il collegio giudicante davanti al quale si è svolta l’adunanza camerale, ex artt. 737 c.p.c. e ss. e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis è il medesimo che ha pronunciato il provvedimento qui impugnato, mentre il giudice onorario aveva compiuto solo un atto d’istruzione, rimettendo poi gli atti al collegio giudicante.

Non vi è stata dunque una udienza di discussione, svoltasi davanti ad un giudice, scissa dalla fase deliberativa, svoltasi davanti ad altro giudice.

1.3. Con riferimento, infine, alla specifica materia della protezione internazionale, il D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10 recante la riforma organica della magistratura onoraria, consente ai giudici professionali di delegare, anche nei procedimenti collegiali, compiti e attività ai giudici onorari, compresa l’assunzione di testimoni, mentre l’art. 11 medesimo decreto esclude l’assegnazione dei fascicoli ai giudici onorari solo per specifiche tipologie di giudizi, tra i quali non rientrano quelli di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis (Sez. 1 -, Ordinanza n. 4887 del 24/02/2020, Rv. 657037 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5277 del 26 febbraio 2020; Sez. 1, Sentenza n. 4788 del 24 febbraio 2020).

Deve dunque concludersi che nessuna norma di legge impone che, in subiecta materia, il giudice che sia stato designato per la trattazione della causa debba anche comporre il collegio che adotta la decisione, nè la mancata partecipazione del suddetto giudice al collegio giudicante determina la nullità del decreto conclusivo del giudizio (Sez. 1, Ordinanza n. 624 del 15 gennaio 2020).

2. Col terzo motivo il ricorrente lamenta contemporaneamente sia il vizio di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 (assume violati del D.Lgs. n. 251 del 2017, artt. 3, 7 e 14; del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 11 e 32; gli artt. 24 e 111 Cost.; l’art. 6 CEDU); sia il vizio di nullità processuale di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4; sia il vizio di omesso esame di fatti decisivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo investe il decreto impugnato nella parte in cui ha reputato non attendibile il racconto del richiedente asilo. Esso, se pur formalmente unitario, contiene tre distinte censure.

2 gennaio Con una prima censura (p. 11) il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe violato il D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3, comma 5, per avere ritenuto contraddittorio il suo racconto senza “il preliminare scrutinio dei criteri legali” stabiliti dalla norma appena ricordata.

2 febbraio Con una seconda censura (pp. 11-14) il ricorrente sostiene che, al contrario di quanto ritenuto dal Tribunale, non vi era alcuna contraddizione tra la versione dei fatti da lui riferita dinanzi alla Commissione, e quella riferita dinanzi al Tribunale. In particolare, non corrispondeva a verità che gli avrebbe affermato dinanzi alla commissione di essere affiliato alla “(OMISSIS)” e perseguitato dal “(OMISSIS)”, per poi dichiarare dinanzi al Tribunale l’esatto contrario.

Deduce il ricorrente che la contraddizione che il Tribunale ritenne di rilevare era in realtà “probabilmente” frutto di un errore di traduzione.

2.3. Con una terza censura, infine, il ricorrente deduce che in ogni caso il Tribunale, una volta rilevata la suddetta contraddizione, avrebbe dovuto chiedergli ulteriori chiarimenti, e comunque avrebbe dovuto consentirgli di interloquire. Deduce il ricorrente che la scelta del Tribunale di non chiedergli chiarimenti sulla riscontrata contraddizione avrebbe violato il suo diritto di difesa.

2.4. Aggiunge, infine, il ricorrente (sviluppando in tal modo la prima delle censure sin qui riassunte) che il decreto impugnato avrebbe violato gli “standard” stabiliti dal diritto comunitario e dai trattati internazionali sui diritti umani in merito ai criteri di valutazione della credibilità del richiedente asilo.

2.5. Nella parte in cui lamenta (nel titolo del motivo) il vizio di omesso esame del fatto decisivo il motivo è manifestamente inammissibile, dal momento che tale censura viene annunciata, ma non sviluppata.

2.6. Nella parte in cui denuncia il vizio di violazione di legge, il motivo è infondato con riferimento alla prima delle censure sopra riassunte (violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5).

Il Tribunale ha ritenuto che il racconto del richiedente asilo non fosse credibile, e lo stabilire se una persona sia attendibile od inattendibile è un apprezzamento di fatto, non una valutazione in diritto. In quanto tale esso sfugge al sindacato di questa Corte. Nè a tale secolare principio deroga la legislazione speciale in materia di protezione internazionale, nei termini pretesi dal ricorrente.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, infatti, non impone affatto al Giudicante – al contrario di quanto mostra di ritenere il ricorrente – l’obbligo di credere al richiedente asilo, quando questi abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la sua domanda e non abbia potuto fornire ulteriori prove senza colpa.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, impone al giudice soltanto l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate, ed in particolare di stabilire “se le dichiarazioni del richiedente (siano) coerenti e plausibili” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. (c)).

Da ciò discendono tre conseguenze:

-) la prima è che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non potrà mai dirsi violato sol perchè il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto od inveritiero un fatto;

-) la seconda è che il giudizio sulla credibilità del richiedente asilo non è affatto a rime obbligate, e non sussiste alcun “diritto ad essere creduti” sol perchè si sia presentata una domanda di asilo il prima possibile o si sia fornito un racconto circostanziato (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 20580 del 31/07/2019, Rv. 654946 – 01);

-) la terza è che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. (c) lascia libero il giudice di merito di credere o non credere al richiedente asilo, secondo il suo prudente apprezzamento, che in quanto tale non è sindacabile in questa sede (Sez. 1, Ordinanza n. 21283 del 9.8.2019; Sez. 1 -, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 21128 del 7.8.2019; Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361 – 01).

2.6.1. Privo di rilievo giuridico è, poi, il richiamo del ricorrente alla violazione di non meglio precisati “principi presenti nelle disposizioni del rapporto UNHCR “Beyond proof credibility assessment in EU asylum systems”.

Tale richiamo in primo luogo è irrilevante per genericità: il ricorrente non indica quali sarebbero i “principi e disposizioni” violati dal Tribunale.

In secondo luogo è irrilevante perchè gli studi ed i rapporti di organizzazioni internazionali, come quello invocato dal ricorrente (il rapporto dell’UNHCR “Beyond proof credibility assessment in EU asylum systems”) non costituiscono fonti di produzione, nè contengono “disposizioni”, ma sono solo pareri, per quanto autorevoli: come tali ovviamente non vincolanti per il giudice.

In terzo luogo, e risolutivamente, questa Corte non può fare a meno di rilevare che il suddetto documento, presentato dal ricorrente come “rapporto UNHCR”, in realtà:

-) non affronta problemi giuridici, ma solo tecnico-operativi;

-) si rivolge, per espressa ammissione degli autori, alle autorità politiche ed alle pubbliche amministrazioni, non agli organi giudicanti (“a practical tool for policy makers and asylum practitioners”);

-) quel che più rileva, non promana nè dalle Nazioni Unite, nè dall’Unione Europea, ma da soggetti privati (coordinatore del rapporto fu il funzionario di una lega di organizzazioni non governative), estranei all’ordinamento processuale italiano (i coordinatori del progetto furono un belga, un olandese ed un inglese), e per espressa dichiarazione dei suoi autori (come è ovvio) quel rapporto esprime solo il loro punto di vista, non quello dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nè della Commissione Europea (come si legge a p. 4: “the views expressed in this publication are those of the author and the project partners, and they do not necessarily reflect the views of the European Commission”.).

2.7. La seconda delle suesposte censure (avere il Tribunale ravvisato nelle dichiarazioni dell’interessato una contraddizione in realtà inesistente) è inammissibile.

Stabilire, infatti, se due interrogatori resi dalla medesima persona contengano o non contengano contraddizioni; contengano o non contengano errori di traduzione; siano o non siano attendibili, costituiscono altrettanti accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito e non sindacabili in questa sede.

La censura proposta dal ricorrente, per contro, pretende da questa corte un nuovo riesame del materiale probatorio e dei suddetti atti di causa.

Una censura di questo tipo cozza contro il consolidato e risalente orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

2.8. La terza delle censure suesposte (avere il Tribunale ritenuto di ravvisare una contraddittorietà nelle dichiarazioni del ricorrente, senza previamente segnalargliela e chiedergli chiarimenti sul punto) è anch’essa infondata.

Il ricorrente, infatti, confonde il diritto di difesa, che ha copertura costituzionale e comunitaria, con la ben diversa pretesa di vedere i fatti da lui dedotti in giudizio valutati dal giudice in modo conforme ai desiderata della parte: pretesa che, ovviamente, copertura costituzionale non ha, nè comunitaria.

Alcuna norma processuale, poi, nè alcun principio nazionale, comunitario o sovranazionale impone al giudice di anticipare alle parti il modo in cui intende valutare le prove, per sollecitare da queste eventuali controdeduzioni.

Al contrario, proprio la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha sancito un principio esattamente antitetico rispetto a quello invocato dall’odierno ricorrente: e cioè che l’obbligo in capo allo Stato membro interessato di cooperare con il richiedente asilo non può essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui l’autorità nazionale competente intenda respingere la domanda, “tale autorità dovrebbe a tal titolo, prima dell’adozione della sua decisione, informare l’interessato dell’esito negativo che prevede di riservare alla sua domanda nonchè comunicargli gli argomenti sui quali essa intende basare il rigetto di quest’ultima, in modo da consentire a tale richiedente di far valere il suo punto di vista in proposito” (Corte giust. UE, 22 novembre 2012, in causa C-277/11, M.M. c. Minister for Justice).

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta congiuntamente sia il vizio di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 (prospettando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 7 e 14; nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19), sia il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Nella illustrazione del motivo si censura, cumulativamente, sia il rigetto della domanda di concessione della protezione sussidiaria, sia quello della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Deduce il ricorrente che il Tribunale non avrebbe tenuto adeguato conto della effettiva situazione di fatto oggi esistente in (OMISSIS). Osserva che il Tribunale si è limitato a considerare se ed in che misura in (OMISSIS) esista il fenomeno del terrorismo, senza valutare invece se le autorità di quel paese siano in grado di garantire ai loro cittadini l’accesso ai diritti fondamentali. Tale valutazione, osserva il ricorrente, sarebbe stata necessaria, perchè in (OMISSIS) pendeva un processo per omicidio nel quale lui era l’unico testimone dell’accusa, sicchè rientrando nel suo paese sarebbe rimasto esposto alle minacce ed alle violenze da parte dell’imputato e dei suoi accoliti, senza potere sperare protezione dal governo.

4.1. Nella parte in cui lamenta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo il motivo è inammissibile, in quanto tale censura non indica quando il fatto che si assume trascurato sarebbe stato dedotto in giudizio, nè come sarebbe stato provato (in violazione dei precetti stabiliti dalle Sezioni Unite di questa corte, con la nota sentenza Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

4.2. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge il motivo è manifestamente infondato.

Il Tribunale, come già detto, ha rigettato la domanda di protezione internazionale ritenendo non veritiero il racconto del richiedente asilo. Il giudizio di inverosimiglianza ovviamente, ha investito tutte le circostanze riferite dall’odierno ricorrente, ivi compresa la sua appartenenza ad un determinato partito; la circostanza che lui fosse un testimone in un procedimento penale; la circostanza che l’imputato in tale procedimento lo abbia minacciato o possa minacciarlo in futuro.

Pertanto la ritenuta inverosimiglianze di quelle circostanze esonerava il Tribunale dal dover indagare se davvero il governo (OMISSIS) sia in grado di proteggere da minaccia o subordinazione le persone intimate come testimoni nei procedimenti penali. Infatti il dovere c.d. “di cooperazione istruttoria” da parte del giudice dell’asilo non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma è subordinato alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile.

Se manca questa attendibilità, non sorge quel dovere, poichè l’una è condizione dell’altro (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 02; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697 – 01).

5. Non è luogo a provvedere sulle spese, poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

5.1. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): infatti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11 il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non sia stata revocata dal giudice competente.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che non sussistono allo stato i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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