Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10835 del 23/04/2021

Cassazione civile sez. I, 23/04/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 23/04/2021), n.10835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14587/2015 proposto da:

Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Cosenza, in

persona del commissario straordinario pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via di Val Fiorita n. 90, presso lo studio

dell’avvocato Lilli Francesco, rappresentato e difeso dall’avvocato

Spataro Giovanni, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agricola C. S.r.l., già Agricola C. s.n.c. di G.

e Gi.No., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Vincenzo Picardi n. 94/d,

presso lo studio dell’avvocato Turno Marcello, rappresentata e

difesa dall’avvocato Laghi Roberto, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e sul ricorso successivo:

Agricola C. S.r.l., già Agricola C. s.n.c. di G.

e Gi.No., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Vincenzo Picardi n. 94/d,

presso lo studio dell’avvocato Turno Marcello, rappresentata e

difesa dall’avvocato Laghi Roberto, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Cosenza, in

persona del commissario straordinario pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via di Vai Fiorita n. 90, presso lo studio

dell’avvocato Lilli Francesco, rappresentato e difeso dall’avvocato

Spataro Giovanni, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 596/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 29/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2020 dal Cons. Dott. MELONI MARINA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione in opposizione alla stima dell’8.10.98 (rinnovata il 15.1.99) proposta ai sensi della L. n. 765 del 1971, art. 19, la snc Agricola C. conveniva innanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Piana di Sibari-Valle del Crati chiedendo riconoscersi il suo diritto alla indennità per i terreni espropriati con decreto 30.11.82 del Prefetto di Cosenza e condannarsi l’Ente al pagamento di Lire 800 milioni dal 29.4.82 al saldo o, in subordine, al pagamento della somma offerta di Lire 19.800.900 oltre al conguaglio, con accessori di legge, disponendo il relativo deposito presso la Cassa DD.PP. Precisava in narrativa l’attrice che il Prefetto di Cosenza aveva comunicato il 26.8.82 l’offerta di Lire 19.800.900 per indennità provvisoria – che essa opponente aveva dichiarato di non accettare – e che lo stesso Prefetto aveva autorizzato l’occupazione di ulteriori 20.000 mq di area provvedendo quindi, con decreto 30.11.82, ad espropriare l’intera area di mq. 40.410 per prima occupata. Riferiva quindi di voler ottenere il giusto indennizzo per tale esproprio per il quale – in difetto di alcuna stima e conseguente determinazione dell’indennità definitiva, da depositare doverosamente presso la Cassa DD.PP. – non sussisteva alcuna ipotesi di decadenza dal diritto di proporre opposizione o di richiedere il conguaglio nè era decorso il termine di ordinaria prescrizione decennale (interrotto dalla domanda 14.6.89 proposta innanzi all’incompetente Tribunale di Castrovillari). Si costituiva il Consorzio eccependo la decadenza dalla proposta opposizione e deducendo l’infondatezza della domanda. Con sentenza 23.11.99 la Corte di Catanzaro dichiarava inammissibili le domande afferenti l’indennità di esproprio e la sua maggiorazione ed affermava la propria incompetenza sulle domande afferenti il pagamento degli accessori ed il deposito della indennità offerta.

A seguito di ricorso per cassazione, la Suprema Corte con sentenza n. 14106/2003 accolse il ricorso, cassò la sentenza impugnata e rinviò ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro la quale, a seguito di giudizio di rinvio, emise la sentenza oggi impugnata con la quale è stata determinata l’indennità di esproprio richiesta.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro il ricorrente Consorzio per lo sviluppo industriale della provincia di Cosenza già Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Piana di Sibari-Valle del Crati) ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La snc Agricola C. resiste con controricorso e memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente Consorzio per lo sviluppo industriale della provincia di Cosenza denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in quanto la Corte di Appello non ha tenuto in considerazione la memoria tecnica del 23/1/2013 del CTP che evidenziava errori del CTU nella determinazione del valore.

Il motivo è inammissibile in quanto manca di specificità. Il ricorrente non ha chiarito quali sarebbero gli errori del CTU e quali questioni della memoria tecnica del CT di parte erano essenziali. In ogni caso il ricorrente insiste per la natura agricola del terreno basandosi sulla CT di parte mentre, al contrario, il giudice ha motivato in ordine alla natura edificabile dell’area, accertamento di fatto non sindacabile in questa sede.

A tal riguardo Sez. 3, Sentenza n. 18688 del 06/09/2007 (Rv. 599400-01): “Il giudice del merito non è tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, potendo limitarsi ad un mero richiamo di esse, soltanto nel caso in cui non siano mosse alla consulenza precise censure, alle quali, pertanto, è tenuto a rispondere per non incorrere nel vizio di motivazione. Tale vizio è però denunciabile, in sede di legittimità, solo attraverso una indicazione specifica delle censure non esaminate dal medesimo giudice (e non già tramite una critica diretta della consulenza stessa), censure che, a loro volta, devono essere integralmente trascritte nel ricorso per cassazione al fine di consentire, su di esse, la valutazione di decisività”.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 25 giugno 1865, art. 39, D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 3, convertito in L. n. 359 del 1992, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello ha determinato le indennità di esproprio dei terreni in base a calcoli e parametri erronei senza adeguatamente motivare la decisione.

Il secondo motivo è infondato.

Va premesso che un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata dagli strumenti urbanistici (Cass. 7987/2011; 9891/2007; 3838/2004; 10570/2003; sez. un. 172 e 173/2001), e, per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.), in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 14840/2013; 2605/2010; 21095 e 16537/2009) soggetta al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia (cfr. Cass. n. 12218 del 2016; 13172 del 2016; n. 11503 del 2014; n. 665 del 2010; n. 400 del 2010; n. 21396 del 2009; n. 21095 del 2009; n. 17995 del 2009). Va peraltro rilevato che a seguito della sentenza n. 181/2011 della Corte Costituzionale per i suoli non aventi natura edificatoria rivestono valore a fini indennitari e risarcitori le possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti, etc.) sempre che siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.

Infatti “In tema di determinazione dell’indennità di occupazione legittima di terreni agricoli, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del criterio del valore agricolo medio (VAM), la stima deve essere effettuata in base al criterio del valore venale pieno, con la possibilità di dimostrare che il fondo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, sia suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, tale da attribuire allo stesso una valutazione di mercato che rispecchi possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (Fattispecie relativa all’occupazione di un’area destinata ad attrezzature sportive, campi da gioco ed attrezzature varie), (Sez. U., Sentenza n. 7454 del 19/03/2020).

Nella specie il CTU ha accertato che l’area era destinata per la gran parte all’edificazione e solo in minima parte aveva natura agricola e ne ha determinato il valore col metodo di stima sintetico-comparativo. La qualità edificatoria risulta esattamente individuata con riferimento alle zone del PRT sicchè il motivo proposto non è fondato.

In considerazione di quanto sopra il ricorso proposto deve essere respinto con condanna della ricorrente alle spese di giudizio di legittimità.

PQM

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge. Ove dovuto, ricorrono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2021

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