Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10832 del 23/04/2021

Cassazione civile sez. I, 23/04/2021, (ud. 29/09/2020, dep. 23/04/2021), n.10832

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27029/2015 proposto da:

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Largo

Toniolo n. 6, presso lo studio dell’avvocato Morera Umberto, che la

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.M., elettivamente domiciliato in Roma, Corso Trieste n. 87,

presso lo studio dell’avvocato Rapisarda Giuseppe M. F.,

rappresentato e difeso dall’avvocato Traldi Fabio, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 583/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 03/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Longa, con delega orale, che si

riporta;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato Rapisarda, che ha chiesto

l’inammissibilità, in subordine rigetto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Banca Monte dei Paschi di Siena ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Lecce, in epigrafe indicata, con cinque mezzi; T.M. ha replicato con controricorso.

La controversia è stata originata da T.M. che, in data 1/12/2007, convenendo la banca dinanzi al Tribunale di Lecce, aveva chiesto che fosse dichiarata la nullità e/o l’annullamento di due contratti stipulati il 14/12/1999 ed il 7/3/2000 con i quali aveva acquistato quote di un fondo di investimento denominato “(OMISSIS)” per un importo complessivo Euro 95.181,69, e che la banca fosse condannata alla restituzione della somma di Euro 71.427,46, pari all’importo perduto nell’investimento a distanza di due anni circa; in subordine aveva chiesto che la banca fosse condannata al risarcimento dei danni subiti quantificati in pari misura, deducendo la violazione da parte della banca degli obblighi imposti

dall’art. 21 del TUF e dall’art. 28 del Regolamento CONSOB n. 11522/1998 per avere omesso di metterlo a conoscenza della particolare rischiosità ed inadeguatezza dell’investimento, oltre che per violazione degli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede, del cui assolvimento avrebbe dovuto dare prova la banca ex art. 23, comma 6, del TUF.

La banca costituitasi, aveva eccepito la prescrizione dell’azione di annullamento e di quella risarcitoria; aveva altresì concluso per l’infondatezza di tutte le domande.

In primo grado il Tribunale aveva qualificato la domanda di T. come finalizzata all’accertamento di una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., della banca quale responsabilità da fatto illecito, in quanto connessa alla violazione degli obblighi di informazione nella fase precedente all’investimento oggetto del giudizio – ritenendo, di contro, che solo tardivamente in sede di comparsa conclusionale la responsabilità dell’intermediario era stata qualificata come contrattuale – ed aveva dichiarato prescritte le domande di annullamento e di risarcimento e rigettato tutte le altre domande.

La Corte salentina ha accolto l’appello proposto da T. ed ha condanna la banca al pagamento in suo favore della somma di Euro 71.427,46, oltre accessori.

In particolare, la Corte territoriale ha qualificando la domanda, sulla scorta dei fatti lamentati dall’investitore, come volta a far valere una responsabilità contrattuale, rimarcando che la domanda era fondata sulla violazione da parte della banca dell’obbligo di fornire informazioni sulla natura dell’investimento effettuato dopo la conclusione del contratto quadro, di guisa che l’azione si configurava solo e soltanto come contrattuale, e ciò anche all’esito di una eventuale riqualificazione d’ufficio della domanda.

Ha, quindi, accertato che la banca non aveva dato prova di avere adempiuto agli obblighi informativi sulla stessa gravanti in relazione a partecipazioni a rischiosità elevata ed ha escluso che l’investitore potesse essere considerato “spregiudicato”, atteso che dal questionario sottoscritto si evinceva la volontà di affidarsi alle competenze tecniche della banca anche per investimenti in titoli azionari.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per motivazione “apparente” ovvero “manifestamente perplessa ed obiettivamente incomprensibile” laddove ha qualificato la domanda del cliente come contrattuale (in luogo di precontrattuale) sulla base di motivi – a dire della banca ricorrente – del tutto inconferenti, incomprensibili e manifestamente contraddittori.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale, con motivazione chiara, comprensibile e niente affatto perplessa, ha ritenuto che dalla lettura degli atti difensivi dell’investitore emergeva – pur in assenza di una espressa qualificazione – una richiesta risarcitoria non meramente connessa ad una responsabilità precontrattuale – come ritenuto dal Tribunale – ma ad una responsabilità contrattuale perchè le violazioni di legge in merito ai doveri di informazione dedotte erano state fatte valere in riferimento ad una fase successiva alla conclusione del contratto quadro.

Orbene, la decisione è conforme ai principio già affermato e condiviso secondo il quale “In tema di intermediazione finanziaria, la responsabilità dell’intermediario che ometta di informarsi sulla propensione al rischio del cliente o di rappresentare a quest’ultimo i rischi dell’investimento, ovvero che compia operazioni inadeguate quando dovrebbe astenersene, ha natura contrattuale, investendo il non corretto adempimento di obblighi legali facenti parte integrante del contratto-quadro intercorrente tra le parti, sicchè il danno invocato dal cliente medesimo non può essere limitato al mero interesse negativo da responsabilità precontrattuale” (Cass. n. 12262 del 12/06/2015).

Nè l’applicazione al caso concreto di detto principio è inficiata dalla censura in oggetto, atteso che la stessa non coglie l’aspetto centrale e decisivo della statuizione e cioè che le operazioni erano state eseguite nell’ambito di un contratto quadro vigente tra le parti, ma sostanzialmente si limita a prospettare una interpretazione degli atti difensivi della controparte diversa da quella seguita dalla Corte territoriale e ad insistere sull’assenza di riferimenti in tali atti al contratto quadro, senza tuttavia smentire la decisiva ed incontestata circostanza accertata in fase di merito, e cioè che le operazioni oggetto della controversia erano state effettivamente concluse in esecuzione di un contratto quadro vigente tra le parti.

2. Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1337 e 1218 c.c. e art. 112 c.p.c., laddove il giudice di appello ha ritenuto di poter, comunque, riqualificare una domanda di responsabilità “precontrattuale” come “contrattuale” senza incorrere nel vizio di ultra petizione.

Anche questo motivo, strettamente collegato al primo, è infondato.

Vale il principio secondo il quale “In virtù del principio “iura novit curia” di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, il giudice ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonchè all’azione esercitata in causa, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purchè i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame, essendo allo stesso vietato, in forza del principio di cui all’art. 112 c.p.c., porre a base della decisione fatti che, ancorchè rinvenibili all’esito di una ricerca condotta sui documenti prodotti, non siano stati oggetto di puntuale allegazione o contestazione negli scritti difensivi delle parti” (Cass. n. 30i507 del 27/11/2018; Cass. n. 11103 del 10/06/2020).

Invero, la Corte di appello ha qualificato i fatti esaminando la medesima vicenda sostanziale dedotta in lite – posto che la conclusione delle operazioni di investimento contestate nell’ambito del contratto quadro vigente tra le parti non risulta smentita – e cioè la omissione di informazioni sullo specifico prodotto finanziario e la esecuzione di un’operazione inadeguata al profilo di rischio dell’investitore. Tali fatti integrano la violazione di specifici obblighi posti dalla legge a carico dell’intermediario, la cui conseguente responsabilità si configura quindi come contrattuale per cui la riqualificazione della domanda non ha determinato nè la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, nè il sostanziale allungamento dei tempi processuali di definizione della lite.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione in merito al nesso di causalità diretta ed immediata, quale necessario elemento della fattispecie costitutiva della fattispecie risarcitoria.

A parere della ricorrente, la Corte di appello nel disporre la condanna risarcitoria avrebbe dovuto accertare che il danno “fosse conseguenza immediata e diretta della condotta asseritamente colpevole della banca, come si desume dal combinato disposto di cui agli artt. 1223 e 2043 c.c.” (fol. 29 del ricorso).

3.2. Con il quarto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per giudizio.

Con riferimento al tema dell’accertamento del nesso di causalità, la banca si duole che il giudice del gravarne non abbia considerato il fatto decisivo costituito dalla dichiarazione, resa dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e reiterata in appello, che in precedenza egli aveva investito in quote di un fondo – il fondo “(OMISSIS)” – analogo, per tipologia e rischiosità, a quello in cui reinvestì la somma ricavata e che, se fosse stato informato, non avrebbe abbandonato il suo precedente investimento nell’altro fondo, che però – come la banca aveva evidenziato – aveva ottenuto una performace non certo migliore del fondo oggetto di causa.

3.3. Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente perchè strettamente connessi, vanno accolti sotto il profilo del difetto assoluto di motivazione sul nesso causale.

Invero la Corte di appello avrebbe dovuto affrontare le questioni specificamente poste dalla banca e richiamate nel quarto motivo.

E’ vero, infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte che si intende confermare, che “Dalla funzione sistematica assegnata all’obbligo informativo gravante sull’intermediario finanziario, preordinato al riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario; tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perchè anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati” (Cass. n. 7905 del 17/04/2020 e ivi ulteriori riferimenti giurisprudenziali); va tuttavia osservato che in questo caso la banca aveva addotto a prova contraria della sussistenza del nesso di causalità proprio la specifica dichiarazione dell’attore contenuta negli atti difensivi, di cui si è detto, di per sè idonea, in astratto, a dare alla verifica controfattuale un esito tale da escludere quel nesso; il che rende non comprensibile, o comunque inadeguata, la giustificazione della ritenuta sussistenza del nesso causale.

4.1. Con il quinto motivo si denuncia l’omesso esame di ulteriori fatti decisivi per il giudizio.

Sulla premessa che il giudizio di adeguatezza o meno dell’investimento è relativo e va compiuto tenendo conto delle caratteristiche dell’investitore, la banca si duole che la Corte di appello nel riferirsi al profilo di rischio di T. abbia seguito argomentazioni generiche o controvertibili, senza accordare alcuna rilevanza a due fatti decisivi: a) che il fondo in questione, aveva una identica tipologia (azionario Europeo) ma presentava un profilo di rischio inferiore all’altro Fondo ((OMISSIS)) già precedentemente sottoscritto dal T.; b) che l’investitore, oltre ad essere laureato in giurisprudenza, era Consulente di investimento, iscritto nell’Elenco nazionale dei Consulenti di Investimento Abilitati Assoconsulenza – Categoria ordinari.

4.2. Il motivo è inammissibile.

Il fatto sub a) riguarda la sola valutazione di inadeguatezza dell’investimento, mentre la Corte territoriale ha accolto la domanda anche per violazione dell’obbligo di informazione del cliente in ordine alle caratteristiche dello specifico prodotto finanziario da sottoscrivere, e tale violazione è sufficiente anche da sola a giustificare il risarcimento del danno; perciò il fatto non è decisivo. Il fatto sub b) è inammissibile perchè integra eccezione dedotta soltanto in appello, in violazione dell’art. 345 c.p.c. (come si evince a fol. 39 del ricorso).

5. In conclusione vanno accolti i motivi terzo e quarto del ricorso, infondati i motivi primo e secondo ed inammissibile il quinto; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Lecce in diversa composizione per il riesame e la statuizione sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

– Accoglie i motivi terzo e quarto del ricorso, infondati i motivi primo e secondo ed inammissibile il quinto;

– Cassa la sentenza impugnata nei limiti dell’accoglimento e rinvia alla Corte di appello di Lecce anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2021

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