Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10831 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. III, 05/06/2020, (ud. 10/02/2020, dep. 05/06/2020), n.10831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13893-2017 proposto da:

B.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BARBERINI, 29, presso lo studio dell’avvocato GIULIO POJAGHI

BETTONI, rappresentata e difesa dall’avvocato REINHARD GEBHARD;

– ricorrente –

contro

ZURICH INSURANCE COMPANY LTD, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DI PIETRA 26, presso lo studio dell’avvocato DANIELA

JOUVENAL, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

VINCENZO RAMPINO;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 7059/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 20/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso in via principale inammissibilità del

ricorso, in subordine accoglimento del ricorso in fase rescindente e

in subordine rigetto in fase rescissoria;

udito l’Avvocato GIULIO POJANI BETTONI per delega;

udito l’avvocato DANIELA JOUVENAL.

Fatto

SVOLGIMENTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza 17.7.2014 n. 2790 rigettava l’appello proposto da B.R., volto ad ottenere il risarcimento del danno biologico subito in conseguenza di un sinistro derivante dalla circolazione di veicoli, liquidato dal primo Giudice limitatamente alla somma di Euro 615,05, pari all’inabilità temporanea già riconosciuta e versata dalla compagnia assicuratrice ZURITEL s.p.a, convenuta ai sensi dell’art. 149 Codice Ass.ni Private nel primo grado, respingendo la domanda volta a vedere riconosciuta la ulteriore somma di Euro 49.220,00, richiesta a titolo di danno biologico, in quanto non attinente all’incidente occorso, ma ad altro precedentemente subito. Il Giudice dell’appello, in particolare, riteneva di non dover disporre il rinnovo della c.t.u. medico legale, reputando congrue le conclusioni cui era pervenuto il consulente, nominato in primo grado, il quale, in base alla documentazione clinica e all’incontestata ricostruzione della dinamica del sinistro, aveva escluso che dall’evento lesivo fossero derivati postumi riconducibili ad un trauma distorsivo del rachide cervicale, residuando solo un’inabilità temporanea parziale. La Corte d’Appello rigettava altresì il gravame in punto di liquidazione degli interessi e rivalutazione monetaria sulla somma liquidata a titolo risarcitorio, ritenendo tali voci già incluse nell’importo corrisposto dalla società assicurativa. Per l’effetto, confermava la sentenza, ivi compresa la statuizione sulle spese relative al primo grado, poste per i 2/3 a carico dell’attrice (liquidate in Euro 2.160,00 dal giudice di primo grado in quanto ritenuta “sostanzialmente soccombente”), ponendo a carico di ciascuna parte metà delle spese di CTU, con compensazione della restante parte tra le parti; quanto alle spese del giudizio di secondo grado, condannava la B. al pagamento alle spese, liquidate in Euro 6.615,00, oltre accessori.

2. La sentenza della Corte d’appello di Milano veniva impugnata dall’attrice B.R. per cassazione, con quattro motivi, e ZURITEL s.p.a resisteva con controricorso.

3. La Corte Suprema, con ordinanza n. 7059 del 2017 depositata il 20 marzo 2017, rigettava il ricorso; per quanto qui di interesse, in relazione alla censura relativa alla pronuncia sulla condanna a 2/3 delle spese di primo grado, qui in questione, la Corte di cassazione riteneva palesemente infondato il motivo, dovendosi applicare sul punto l’art. 92 c.p.c., comma 2, come novellato nel 2009, che attribuisce al giudice il potere discrezionale di compensare parzialmente le spese tra le parti, in caso di soccombenza reciproca ovvero qualora concorrano altre gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione; sul punto, la Corte citava giurisprudenza consolidata in base alla quale il riconoscimento della pretesa in misura inferiore pur non consentendo di pronunciare la condanna alle spese, non impedisce tuttavia, qualora ricorrano altre gravi ed eccezionali ragioni da esplicitare nella motivazione, di disporre la compensazione delle spese, e tra tali ragioni va ricompresa la sproporzione tra la somma chiesta e quella liquidata; nel rigettare il ricorso, la Corte Suprema condannava la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 8.000,00.

4. Avverso tale decisione la sig.ra B. propone ricorso per revocazione notificato il 29 maggio 2018 affidato ad un motivo, in sostanza ritenendo che la Corte di legittimità, dopo avere enunciato il principio di diritto da applicarsi in caso di riconoscimento di un minor valore della pretesa (che non può condurre a far ritenere soccombente la parte vittoriosa), non avrebbe considerato la fattispecie per come appariva incontrastabilmente in atti, ovvero che il giudice di primo grado aveva condannato la ricorrente a 2/3 delle spese di giudizio, nonostante le fosse stata riconosciuta la pretesa in misura minore, assumendo dunque un fatto processuale diverso da quello in concreto rinvenibile in atti, che avrebbe dovuto indurre semmai a motivare sulla sussistenza di gravi ragioni per compensare integralmente le spese di lite, ma non a condannare la parte attrice parzialmente vittoriosa; sotto altro aspetto riteneva estremamente gravosa e punitiva la condanna alle spese del giudizio di legittimità, determinata nella misura di Euro 8000,00. Resisteva in giudizio, con controricorso Zuritel Insurance company Ltd. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c…. La controversia, portata all’adunanza camerale del 30 gennaio 2018, con ordinanza interlocutoria veniva rinviata a nuovo ruolo per la fissazione della pubblica udienza ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., comma 3, rilevando che l’istanza non è manifestamente infondata. Il Pubblico ministero concludeva come in atti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente deduce la supposizione di un fatto errato o travisato da parte della Suprema Corte nel valutare il motivo di censura, fondato sulla errata supposizione che la decisione di primo grado abbia posto a carico dell’attrice la compensazione delle spese di lite, anzichè il pagamento di 2/3 delle spese del giudizio, nonostante le fosse stata riconosciuta la pretesa azionata, seppur in misura minore a quella richiesta. Pertanto la Corte sarebbe incorsa in un errore revocatorio nel considerare l’oggetto del suo giudizio. Sotto altro aspetto, deduce che la condanna al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità, determinate nella misura di Euro 8000 a carico della ricorrente soccombente, oltre ulteriori oneri, risulterebbe estremamente gravosa e, in quanto tale, costituirebbe una sorta di danno punitivo o condanna esemplare, non riconosciuta dall’ordinamento. Sul punto, la resistente deduce che la Corte Suprema, nei fatti, ha concluso per la legittimità della condanna dell’attrice a 2/3 delle spese sull’assunto che la liquidazione del danno a suo favore sarebbe stata talmente ridotta, rispetto a quella inizialmente richiesta, da farla ritenere sostanzialmente soccombente, non rinvenendosi quindi un errore revocatorio.

2. Il motivo è fondato per quanto di seguito esposto.

3. Sul punto, occorre richiamare la distinzione tra errore di valutazione ed errata percezione di un fatto, valevole ai fini della revocazione.

4. L’apprezzamento del giudice del merito, che abbia ritenuto pacifica e non contestata una circostanza di causa, qualora sia fondato sulla mera assunzione acritica di un fatto, può configurare un travisamento, denunciabile solo con istanza di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, mentre è sindacabile in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, ove si ricolleghi ad una valutazione ed interpretazione degli atti del processo e del comportamento processuale delle parti (per la differenza tra errore di valutazione ed errore di percezione v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4893 del 14/03/2016; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4118 del 20/02/2014). Sicchè l’errore di fatto idoneo a determinare la revocabilità delle sentenze (comprese – a seguito delle decisioni della Corte costituzionale n. 17 del 1986 e n. 36 del 1991, nonchè dell’entrata in vigore dell’art. 391 bis c.p.c., nel testo dettato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 67 – quelle della Corte di cassazione) consiste in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto decisivo che risulti invece incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti e dei documenti di causa, semprechè il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato.

5. Inoltre, si è detto che non sussiste il suddetto errore di fatto nell’ipotesi in cui esso riguardi la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche atteso che, mentre l’art. 395 c.p.c., n. 4 concerne l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, la falsa percezione di norme che contemplino la rilevanza giuridica di quegli stessi fatti integra gli estremi “dell’error juris” sia nel caso di obliterazione delle norme medesime (riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione), sia nel caso di distorsione della loro effettiva portata (riconducibile all’ipotesi della violazione) (Sez. L, Sentenza Cass. n. 10794 del 03/12/1996, Rv. 501021 – 01). Così, anche l’erronea supposizione della soccombenza di una delle parti in una pregressa fase del giudizio non può dar luogo a revocazione, atteso che la soccombenza non costituisce un “fatto” ai sensi della norma citata, bensì una situazione giuridica, in relazione alla quale l’accertamento della sua stessa esistenza e portata, nonchè la determinazione degli effetti che essa produce sulle facoltà e i doveri delle parti nella successiva fase di impugnazione, non possono non formare oggetto tipico dell’attività interpretativa e valutativa del giudice e, quindi, della formulazione del giudizio sul piano logico e giuridico. (Sez. 5, Sentenza Cass. n. 8639 del 26/04/2005, Rv. 580596 – 01).

6. Nel caso in questione, la Corte, nel motivare il rigetto del motivo, ha inteso applicare il seguente principio di diritto “al giudizio di primo grado instaurato con atto di citazione notificato in data 29.12.2010, si applica l’art. 92 c.p.c., comma 2 nel testo modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 1 (giusta la norma transitoria di cui alla medesima L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1) che attribuisce al Giudice il potere discrezionale di compensare “parzialmente o per intero” le spese tra le parti in caso di soccombenza reciproca ovvero qualora “concorrano altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione” e, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte che la liquidazione della pretesa in misura inferiore a quanto richiesto in domanda non costituisce soccombenza neppure parziale, e non consente al Giudice di pronunciare la condanna della parte vittoriosa, neppure per una minima quota, al pagamento delle spese in favore dell’altra, ma non impedisce invece, ove ricorrano giusti motivi (nel testo dell’art. 92 c.p.c. anteriore alla modifica del 2009), ovvero qualora ricorrano altre gravi ed eccezionali ragioni, di disporre la compensazione delle spese, e tra tali ragioni va ricompresa anche la sproporzione tra la somma chiesta a titolo di risarcimento del danno a quella liquidata (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza Cass. n. 4012 del 24/04/1987; id. Sez. 3, Sentenza Cass. n. 2124 del 03/03/1994; id. Sez. L, Sentenza Cass. n. 2337 del 17/03/1997; id. Sez. 3, Sentenza Cass. n. 4997 del 19/05/1998; id. Sez. 1, Sentenza Cass. n. 8532 del 23/06/2000; id. Sez. 3, Sentenza Cass. n. 10911 del 07/08/2001; id. Sez. 2, Sentenza Cass. n. 11604 del 02/08/2002; id. Sez. 3, Sentenza Cass. n. 8528 del 05/05/2004).”.

7. Il principio citato è chiaro perchè afferma che la parte vittoriosa per una minore misura della somma pretesa non può essere ritenuta soccombente e condannata alle spese, ma può subire una compensazione delle spese ove la pretesa non accolta risulti molto più elevata di quella accolta. Tuttavia, nell’applicare il principio di diritto sopra richiamato, la Corte ha travisato il “fatto storico” sottoposto al suo esame, vale a dire la statuizione di condanna del giudice di primo grado, intendendola come se alla ricorrente siano state compensate le spese, e dunque ha ritenuto palesemente infondato il motivo sulla (falsa) presupposizione che ricorresse una ipotesi che ammette la compensazione delle spese di lite; mentre la Corte non si è avveduta del fatto che, nella fattispecie in esame, la statuizione in esame riguarda, piuttosto, la parziale condanna dell’attrice alle spese, nonostante la sola riduzione della sua pretesa, per il resto riconosciuta, fatto per cui il giudice di primo grado non avrebbe potuto ritenerla sostanzialmente soccombente, secondo il principio che intendeva applicare. Pertanto, il fatto travisato (la supposta avvenuta compensazione delle spese anzichè la reale condanna alle spese) ha condotto la Corte ad affermare la conformità a diritto di una pronuncia in relazione a una situazione affatto diversa che, se ben percepita, invece la avrebbe condotta ad affermare la non conformità della pronuncia al principio di diritto enunciato.

8. Difatti il principio di diritto richiamato comporta che la liquidazione della pretesa in misura inferiore a quanto richiesto in domanda non costituisce soccombenza della parte, neppure parziale, e non consente al Giudice di pronunciare la condanna della parte vittoriosa, neppure per una minima quota, al pagamento delle spese in favore dell’altra, potendo semmai valere per operare una compensazione delle spese, se sussistono gravi ragioni o un’ipotesi di reciproca soccombenza. Applicando il principio de quo, il giudice di merito non avrebbe potuto ritenere la parte come sostanzialmente soccombente.

9. In sintesi, la statuizione di palese infondatezza del motivo, affermata dalla Corte Suprema, poggia sulla erronea supposizione di un fatto (la statuizione di compensazione delle spese a carico dell’attrice per la quota di due terzi: v. p7 della sentenza in esame ove si riporta il motivo di ricorso) che è incontrastabilmente falso rispetto a quello – storico – posto a base della valutazione fatta dal giudice di primo grado e rinvenibile in atti (condanna a 2/3 delle spese a carico dell’attrice, con compensazione della restante quota di 1/3 tra le parti). In questo caso, quindi, la Corte non ha operato alcuna valutazione giuridicamente diversa sulla soccombenza o meno della parte, ma è pervenuta alla decisione di affermare la legittimità della condanna della ricorrente a 2/3 delle spese di lite sulla base dell’errata percezione di un fatto storico – non desumibile ex actis – vale a dire dell’avvenuta “compensazione a carico dell’attrice” delle spese di lite che, in realtà, è incontrovertibilmente falso.

10. L’ordinanza pronunciata, pertanto deve essere revocata.

11. Pertanto, dovendosi di nuovo considerare il motivo di censura non adeguatamente considerato dalla Corte di legittimità, in sede di giudizio rescissorio occorre rilevarne la fondatezza sulla base del medesimo principio affermato dalla Corte di cassazione, e quindi dichiarare la non conformità a diritto della statuizione della Corte d’appello nella parte in cui essa ha confermato la condanna dell’attrice a due terzi delle spese di lite del giudizio di primo grado, per il resto compensandole, e per la parte in cui ha considerato la legittimità della condanna alle spese del giudizio di appello, condannandola anche a quelle del giudizio di legittimità.

12. Questa Corte, conseguentemente, decidendo nel merito, compensa le spese del giudizio di primo e secondo grado tra le parti, sussistendo le gravi ragioni correlate alla infondatezza dell’ulteriore maggior pretesa di parte attrice, di cui all’art. 92 c.p.c.; mentre, per le spese del presente giudizio, pone a carico della compagnia assicuratrice resistente la quota di 1/2 di quelle liquidate nell’ordinanza revocata, compensandole per la restante parte.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del ricorso, revoca l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 7059/2017 del 9/2/2017, depositata il 20/3/2017;

decidendo nel merito, compensa le spese dei due giudizi di merito tra le parti e, quanto alle spese del giudizio di cassazione, compensa le spese per la metà parte, ponendo a carico della Zuritel S.p.A. la restante quota di 1/2 di quelle liquidate nell’ordinanza revocata;

dichiara non dovuto il contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Terza civile, il 10 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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