Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10831 del 05/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 05/05/2010, (ud. 07/04/2010, dep. 05/05/2010), n.10831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CALIULO LUIGI,

CORRERA FABRIZIO, SGROI ANTONINO, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

D.A., D.G., D.C., DA.

G., in qualità di eredi di D.B.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 119/2002 del TRIBUNALE di MASSA, depositata il

10/03/2006 R.G.N. 709/99;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2010 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito l’Avvocato CALIULO LUIGI;

udito il P.M. in persona dei Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. D.A., D.G., D.C. e Da.Gi., quali eredi di D.B.G., con ricorso depositato il 26 giugno 1997, chiedevano al Pretore di Massa Carrara, giudice del lavoro, la condanna dell’Inps ad adeguare – giusta la sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 1989, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della L. n. 218 del 1952, art. 29, comma 3, – l’importo nominale dei contributi versati dal dante causa presso l’assicurazione facoltativa di vecchiaia e a corrispondere le conseguenti maggiori somme sui ratei della rendita di cui il medesimo era stato titolare. Il Pretore con sentenza del 13 aprile 1999 rigettava il ricorso ritenendo la genericità delle allegazioni relative alla prestazione goduta, ma tale decisione veniva riformata dal Tribunale di Massa Carrara, che, con sentenza del 10 marzo 2006, condannava l’Inps ad adeguare l’importo nominale dei contributi per il periodo successivo all’entrata in vigore della predetta L. n. 218 del 1952, secondo gli indici ISTAT, ai sensi dell’art. 150 disp. att. c.p.c., e a corrispondere ai ricorrenti le maggiori somme dovute.

2. In particolare, il Tribunale, premesso che dall’esame degli atti risultavano verificati i fatti costitutivi della pretesa, riteneva che a seguito della sentenza della Corte costituzionale sopra richiamata che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 29, comma 3, cit. nella parte in cui non prevedeva un meccanismo di adeguamento dei contributi versati – e della mancata adozione di conseguenti provvedimenti normativi da parte del Legislatore, poteva individuarsi quale criterio idoneo per l’adeguamento in questione quello dettato per la rivalutazione dei crediti di lavoro e previdenziali.

3. Contro questa sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Gli intimati non hanno svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo denuncia violazione della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 69, comma 5. Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito non ha considerato che in base a tale disposizione che la Corte costituzionale con la successiva sentenza n. 3 del 2007 ha ritenuto non in contrasto con principi costituzionali – gli incrementi pensionistici conseguenti alla rivalutazione dei contributi facoltativi decorrono solo dal 1^ gennaio 2001.

2. Con il secondo motivo si lamenta, in via subordinata, che il Tribunale abbia riconosciuto sugli incrementi pensionistici sia la rivalutazione monetaria sia gli interessi legali, in violazione del divieto di cumulo di cui alla L. n. 412 del 1991, art. 16.

3. Il primo motivo è fondato.

E’ opportuno ricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza 21 marzo 1989 n. 141, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della citata L. n. 218 del 1952, art. 29, comma 3, nella parte in cui non prevede un meccanismo di adeguamento dell’importo nominale dei contributi versati dal giorno della sua entrata in vigore in poi.

Sottolineava la Corte costituzionale che anche l’assicurazione facoltativa era ispirata a fini di previdenza, perchè svolgeva la funzione di assicurare una pensione mediante versamenti volontari a lavoratori non compresi nell’obbligo di assicurazione e anch’essi appartenenti alle categorie meno abbienti, e di consentire ai lavoratori soggetti all’obbligo di aumentare la propria pensione.

Osservava che la funzione previdenziale si era mantenuta anche in seguito e in particolare all’atto dell’emanazione della disposizione allora impugnata. Quest’ultima (L. n. 218 del 1952, art. 29) aveva considerato il fenomeno della svalutazione monetaria fino alla data della sua entrata in vigore (anche se aveva limitato la disposta rivalutazione, secondo dati parametri, ai contributi versati nell’assicurazione facoltativa a tutto l’anno 1947). Ad avviso della Corte costituzionale, proprio la mancata considerazione anche per il futuro del fenomeno della svalutazione, già in atto, nell’ambito di un sistema correlante le prestazioni all’importo dei contributi (tanto più in una normativa che di tale fenomeno si dava carico per il passato), e la conseguente mancata adozione di un congegno di rivalutazione per gli anni successivi all’entrata in vigore della legge stessa, inficiavano la norma impugnata di irragionevolezza.

Infatti, “avuto riguardo al fine previdenziale perseguito dall’assicurazione facoltativa (omogeneo, del resto, rispetto a quello perseguito dalla assicurazione obbligatoria), l’omissione oggetto di censura rende la norma stessa non rispondente al fine medesimo sotto il profilo dell’effettività, in esso naturalmente implicito ed attuato per le categorie degli assicurati obbligatoriamente”.

Il legislatore è intervenuto a disciplinare la materia, a seguito della pronuncia adottata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 141 del 1989, solo con la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 69, comma 5, il quale, con riferimento al passato, ha previsto che i contributi versati all’assicurazione facoltativa in questione a partire dal 1^ gennaio 1952 e fino al 31 dicembre 2000 (e similmente i contributi versati a titolo di “mutualità pensione” di cui alla L. 5 marzo 1963, n. 389) “sono rivalutati, per i periodi antecedenti la liquidazione della pensione e secondo l’anno di versamento, in base ai coefficienti utili ai fini delle retribuzioni pensionabili, di cui alla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 3 e dal 1^ gennaio 2001 decorrono gli aumenti dei relativi trattamenti pensionistici”.

Analoga peraltro è la disciplina prevista per il futuro – eccettuata, naturalmente, la limitazione di decorrenza degli aumenti pensionistici -, in quanto è stabilita dal 1^ gennaio 2001 la rivalutazione annuale dei contributi con le stesse modalità.

Il chiaro tenore della complessiva disposizione dell’art. 69, comma 5, di cui la prima parte è rivolta a porre rimedio per il passato alla mancata previsione della rivalutazione dei contributi e la seconda a fissare una nuova disciplina per il futuro, impone di ritenere che legislatore, con una norma retroattiva, abbia esaurientemente disciplinato anche per il passato la rivalutazione dei contributi versati all’assicurazione facoltativa e i relativi effetti, espressamente limitando alle rate pensionistiche maturate a partire dal gennaio 2001 l’incidenza della prevista rivalutazione dei contributi.

In relazione a detta disposizione, e particolarmente per la parte in cui essa esclude per il periodo anteriore al gennaio 2001 gli incrementi pensionistici derivanti dalla rivalutazione dei contributi, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 3 del 2007 susseguente alla rimessione operata da questa Corte, ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità della norma, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., osservando che la predetta limitazione degli incrementi di pensione al solo periodo successivo al gennaio 2001 è adeguatamente controbilanciata dal vantaggioso coefficiente di rivalutazione adottato e dall’estensione del periodo coperto dalla rivalutazione, sicchè, in relazione alla sentenza n. 141 del 1989 che non imponeva specifiche modalità di attuazione del principio dell’adeguamento del valore nominale dei contributi, il legislatore ha attuato una ragionevole applicazione di quel principio, in un ambito generale di politica economica improntata al controllo delle disponibilità finanziarie idonee a sorreggere il sistema della previdenza.

Esclusa, pertanto, alla stregua delle suddette considerazioni del giudice delle leggi, la incostituzionalità della norma correttamente applicata nella sentenza qui impugnata, le censure dell’Istituto ricorrente devono trovare accoglimento, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (cfr. Cass. n. 18571 del 2007; n. 15271 del 2007; n. 16959 del 2007), essendo pacifico che la domanda attorea si riferisce ad incrementi precedenti alla data del 1 gennaio 2001;

resta così assorbito il secondo motivo.

4. La sentenza impugnata va quindi cassata e, decidendosi la causa nel merito non occorrendo ulteriori accertamenti, va respinta la domanda proposta dagli odierni intimati.

5. Non occorre provvedere sulle spese del giudizio, in applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 269 del 2003, convertito in L. n. 326 del 2003, non applicabili nella fattispecie ratione temporis).

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Nulla per le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2010

 

 

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