Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1083 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 21/01/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 21/01/2021), n.1083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9907/2020 R.G. proposto da:

O.F.O., rappresentato e difeso dall’Avv. Rita Labbro

Francia, con domicilio eletto in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 164/20

depositata il 14 febbraio 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 novembre

2020 dal Consigliere Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che F.O.O., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, illustrato anche con memoria, avverso la sentenza del 14 febbraio 2020, con cui la Corte d’appello di Lecce ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 5 aprile 2018, con cui il Tribunale di Lecce aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

Considerato che è inammissibile l’atto con cui il Ministero, non avendo tempestivamente proceduto al deposito del controricorso, si è costituito in giudizio ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non essendo previsto, nel procedimento camerale dinanzi a questa Corte, l’intervento delle parti all’adunanza camerale, e non essendo consentita la presentazione di memorie, in mancanza della rituale costituzione in giudizio (cfr. Cass., Sez. I, 25/10/2018, n. 27124; 15/11/2017, n. 27140);

che con l’unico complesso motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, commi 2 e 3, e art. 35-bis, comma 9, sostenendo che, nel rigettare la domanda, la sentenza impugnata ha proceduto ad una valutazione superficiale delle dichiarazioni da lui rese e della situazione di pericolo cui egli resterebbe esposto in caso di rimpatrio, avendo motivato soltanto de relato il giudizio d’inattendibilità dei fatti narrati, avendo richiamato fonti datate e risalenti e non avendo tenuto conto delle motivazioni politiche e religiose sottese agli atti persecutori perpetrati ai suoi danni da una famiglia potente, con la collaborazione degli organi di polizia;

che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, la Corte si è inoltre sottratta all’adempimento del proprio dovere di cooperazione istruttoria officiosa, avendo escluso la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata derivante da un conflitto armato senza dar conto delle informazioni fornite al riguardo dalle fonti internazionali;

che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la Corte d’appello è caduta in contraddizione, avendo ritenuto ammissibile l’applicazione della misura in presenza di fattori soggettivi, quali le ragioni che lo avevano indotto alla fuga, ma avendo rifiutato la concessione della protezione, in virtù del carattere familiare della vicenda narrata e della conseguente insussistenza di una situazione di vulnerabilità;

che, nell’escludere il pericolo di un danno alla salute, la sentenza impugnata ha negato rilievo all’emergenza sanitaria collegata alla diffusione della c.d. febbre di Lassa, in virtù d’informazioni desunte da fonti non aggiornate al momento della decisione, ed ha omesso di valutare la situazione ancor più drammatica determinata dall’epidemia causata dalla diffusione del virus Covid-19;

che il motivo è parzialmente fondato;

che il mero richiamo alla valutazione compiuta dalla Commissione territoriale e dal Tribunale in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente non comporta la nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione, avendo la Corte d’appello esplicitato le ragioni della propria adesione all’apprezzamento risultante dalla decisione amministrativa e dall’ordinanza di primo grado, mediante l’individuazione dei principali profili di contraddittorietà ed inverosimiglianza della vicenda narrata;

che la sentenza pronunziata in sede di gravame deve infatti considerarsi legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo tale da consentire di ricavare, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, un percorso argomentativo adeguato e corretto (cfr. Cass., Sez. I, 19/07/2016, n. 14786; Cass., Sez. V, 11/05/2012, n. 7347; Cass., Sez. III, 11/06/2008, n. 15483);

che peraltro, relativamente alla protezione sussidiaria, l’esclusione della credibilità della vicenda personale allegata dal ricorrente può ritenersi sufficiente a giustificare il rigetto della domanda in riferimento alle fattispecie previste dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) del ma non risulta di per sè idonea a legittimare il diniego della protezione ai sensi della lett. c) della medesima disposizione;

che le prime due fattispecie, pur non richiedendo la sussistenza del fumus persecutionis necessario per il riconoscimento dello status di rifugiato, presuppongono infatti anch’esse un certo grado di individualizzazione del rischio rappresentato, ai fini del quale riveste una portata decisiva la configurabilità di un nesso causale con i fatti riferiti, con la conseguenza che, una volta esclusa l’attendibilità di questi ultimi, non risulta necessario indagare ulteriormente in ordine al contesto in cui si sarebbero asseritamente verificati;

che la terza fattispecie, in quanto incentrata sulla minaccia derivante da una situazione di violenza indiscriminata collegata ad un conflitto armato, può invece prescindere dal coinvolgimento diretto del richiedente negli scontri, risultando sufficiente che il conflitto abbia raggiunto un’intensità ed una violenza tali da mettere in pericolo la vita o l’incolumità chiunque risieda nell’area interessata, per il solo fatto di soggiornarvi (cfr. Cass., Sez. I, 6/07/2020, n. 13940; Cass., Sez. VI, 20/06/2018, n. 16275; 20/03/2014, n. 6503);

che, pertanto, fatta eccezione per il caso in cui sia in dubbio la stessa provenienza del richiedente dall’area indicata, l’affermazione dell’inattendibilità dei fatti allegati, nella parte relativa alle sue vicende personali, non preclude il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ai fini della quale viene in rilievo la situazione generale esistente nella predetta area, al cui accertamento il giudice deve procedere anche d’ufficio, in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria posto a suo carico dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, (cfr. Cass., Sez. I, 28/07/2020, n. 16122; 29/05/2020, n. 10286; 24/05/ 2019, n. 14283);

che non può dunque condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui ha confermato il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria sulla base del solo giudizio d’inattendibilità della vicenda narrata dal ricorrente, omettendo di procedere all’acquisizione d’informazioni in ordine alla situazione d’instabilità politico-sociale della Nigeria ed ai rischi cui è esposta la popolazione civile per effetto dell’attività dei gruppi terroristici di matrice islamica, fatti valere dal ricorrente con l’atto di appello;

che la ritenuta inattendibilità della vicenda personale riferita dal ricorrente deve considerarsi invece sufficiente ad escludere la fondatezza dei timori da lui prospettati anche ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, il quale trova comunque giustificazione anche in altre ragioni, individuate dalla Corte d’appello nell’omessa allegazione di una condizione di vulnerabilità personale e nella mancata dimostrazione di un apprezzabile livello d’integrazione sociale e lavorativa nel nostro Paese;

che tali rilievi si pongono perfettamente in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’applicazione della misura in questione richiede una valutazione individuale, da condursi caso per caso, del livello di integrazione sociale e lavorativa raggiunto dal richiedente in Italia, comparato alla situazione personale in cui versava prima dell’abbandono del Paese di origine ed alla quale si troverebbe nuovamente esposto in conseguenza del rimpatrio, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare una privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, in misura tale da comprimerne il contenuto oltre il limite rappresentato dal nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (cfr. Cass., Sez. Un. 13/11/2019, n. 29459; Cass., Sez. I, 30/03/2020, n. 7599; 23/02/2018, n. 4455);

che, avuto riguardo alla mancata allegazione da parte del ricorrente di uno stato di salute già compromesso da patologie pregresse o in atto, la sentenza impugnata non merita censura neppure nella parte in cui ha escluso la possibilità di conferire rilievo alla diffusione in Nigeria della c.d. febbre di Lassa, richiamando le rassicurazioni fornite dalle autorità nigeriane in ordine alla portata circoscritta del fenomeno ed alla capacità del sistema sanitario nigeriano di contrastare e limitare i contagi;

che infatti, come precisato da questa Corte, la situazione generale del Paese di origine può assumere itztattls rilievo esclusivamente in relazione alla sua incidenza sulla vita privata e familiare del richiedente, quale riflesso di una condizione di vulnerabilità personale da lui vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe nuovamente esposto in caso di rimpatrio, prendendosi altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (cfr. Cass., Sez. I, 3/04/2019, n. 9304; Cass., Sez. VI, 7/02/2019, n. 3681);

che, in contrario, non può attribuirsi una portata decisiva alle più aggiornate informazioni fornite dalle fonti indicate dal ricorrente, che segnalano un incremento della diffusione dell’epidemia, trattandosi di un fenomeno che, ancorchè idoneo ad esporre a rischio la salute del ricorrente, non incide specificamente sulla sua situazione personale, riguardando l’intera popolazione del Paese di origine, e non dà pertanto luogo ad una condizione di vulnerabilità, nel senso risultante dalla giurisprudenza di legittimità;

che la questione concernente l’omessa valutazione, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, del rischio derivante dalla diffusione della epidemia causata dal virus Covid-19, non può trovare ingresso in questa sede, non essendo stata trattata nella sentenza impugnata, la quale si è limitata a prendere in esame esclusivamente l’emergenza sanitaria derivante dalla diffusione della c.d. febbre di Lassa, e non avendo il ricorrente precisato in quale fase ed in quale atto del giudizio di merito il relativo timore sia stato prospettato (cfr. Cass., Sez. II, 24/01/2019, n. 2038; 9/08/2018, n. 20694; Cass., Sez. VI, 13/06/2018, n. 15430);

che la sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dalle censure accolte, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Lecce, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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