Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10817 del 08/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 10817 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: FILABOZZI ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 24554-2007 proposto da:
FONDAZIONE

ENASARCO,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIALE DI VILLA PAMPHILI 59, presso lo studio
dell’avvocato MARIA SALAFIA, rappresentata e difesa
dall’avvocato SALAFIA ANTONIO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

335

PELLER MARCO CARLO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE G. MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato
GRASSO ROSALBA,

che lo rappresenta e difende

Data pubblicazione: 08/05/2013

unitamente all’avvocato MORRONE SALVATORE, giusta
delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 318/2007 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 02/05/2007 R.G.N. 748/2006;

udienza del 31/01/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
FILABOZZI;
udito l’Avvocato SALAFIA ANTONIO;
udito l’Avvocato D’AGOSTINO ORONZO per delega GRASSO
ROSALBA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per
raccoglimento del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

r.g. n. 24554/07
udienza del 31.1.2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Marco Peller ha chiesto che venisse accertato il proprio diritto alla corresponsione della pensione di

nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.
Il Tribunale di Ivrea ha respinto la domanda con sentenza che, sull’appello dell’assicurato, è stata
riformata dalla Corte d’appello di Torino, che ha condannato la Fondazione Enasarco a
corrispondere al ricorrente la detta pensione ritenendo che la norma regolamentare dovesse
interpretarsi nel senso di garantire un trattamento pensionistico agli agenti che si fossero trovati
nell’impossibilità di svolgere la loro specifica attività lavorativa, e non una qualsiasi attività
lavorativa, come sarebbe stato desumibile stando al solo tenore letterale della disposizione in
esame.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Fondazione Enasarco affidandosi a tre motivi di
ricorso, illustrati anche con memoria, cui resiste con controricorso Marco Peller.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 12 disp. prel. c.c., nonché vizio di
motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto
che l’art. 21 del Regolamento delle attività istituzionali della Fondazione Enasarco, approvato con
d.m. 24 settembre 1998, richieda, ai fini della concessione della pensione di inabilità, che
l’interessato si trovi non nella impossibilità di svolgere una qualsiasi attività lavorativa, come risulta
dal tenore letterale della norma, ma nell’impossibilità di svolgere la loro specifica attività lavorativa
(di agente di commercio), e chiedendo a questa Corte di stabilire “se sia consentito all’interprete,
allorquando il significato tecnico giuridico delle espressioni letterali adoperate per manifestare la
volontà legislativa della norma oggetto di interpretazione sia chiaro ed univoco, dare alla norma
stessa un significato diverso da quello reso palese dall’espressione letterale usata senza incorrere
nella violazione e/o falsa applicazione dei criteri ermeneutici successivi e alternativi stabiliti
dall’art. 12 disp. prel. cod. civ.”.
2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 21 e 22 del Regolamento delle attività
istituzionali della Fondazione Enasarco, censurando la sentenza impugnata per aver attribuito al

inabilità prevista dall’art. 21 del Regolamento Enasarco nel caso di agente che si venga a trovare

richiedente una prestazione (pensione di inabilità) in mancanza del requisito sanitario prescritto
dalla norma regolamentare (incapacità di svolgere qualsiasi attività lavorativa) e/o una prestazione
(pensione di invalidità parziale) in mancanza del requisito contributivo, e chiedendo a questa Corte
di stabilire “se sia possibile, senza incorrere nella violazione o falsa applicazione degli artt. 21 e 22
del Regolamento Enasarco d.m. 24.9.1998, riconoscere il diritto alla pensione di inabilità in
presenza di una incontestata residua esistenza di capacità lavorativa generica e sulla sola base del
riconosciuto venir meno della capacità lavorativa specifica di agente di commercio, assumendo che

diversi requisiti e a diversa disciplina) e se sia possibile riconoscere una prestazione di inabilità in
mancanza del requisito sanitario o la pensione di invalidità in mancanza del requisito contributivo
siccome si assume avvenuto nella fattispecie di causa”.
3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 1324, 1362, 1363 e 1367 c.c., nonché vizio
di motivazione, riproponendo le censure di cui ai punti precedenti sotto il profilo della violazione
delle regole di ermeneutica contrattuale e chiedendo a questa Corte di stabilire “se sia consentito
all’interprete di un atto negoziale di autonomia privata, quale può in subordine essere inteso il
Regolamento Enasarco d.m. 24.9.1998 … attribuire all’Ente dal quale promana il Regolamento e
con esso le disposizioni chiamate a regolare la fattispecie una volontà diversa da quella fatta palese
in modo chiaro ed inequivoco dal senso letterale della espressione “qualsiasi attività lavorativa”
utilizzata nella disposizione oggetto di interpretazione (art. 21 Regolamento) facendo ricorso a
criteri di ermeneutica contrattuale successivi e alternativi a quello letterale e senza fornire alcuna
motivazione in ordine alla ritenuta non adeguatezza del dato letterale ad esprimere l’effettiva
volontà dell’estensore dell’atto unilaterale” e “se sia consentito all’interprete di un atto negoziale di
autonomia privata … interpretare la norma in contestazione (art. 21 Regolamento) con riferimento
solo ad alcune norme regolamentari e non all’intero contesto nel quale le stesse erano inserite e
fornendo comunque della stessa una interpretazione che priva la norma interpretata di ogni effetto e
significato”.
4.- Il primo e il secondo motivo di ricorso devono ritenersi inammissibili. Va rilevato, infatti, che il
regolamento delle attività istituzionali della Fondazione Enasarco, emanato ai sensi dell’art. 1 del
d.lgs. n. 509 del 1994 ed approvato con d.m. 24 settembre 1998, provenendo da una persona
giuridica di diritto privato (art. 1 d.lgs. cit.), non può essere considerato come un regolamento ai
sensi dell’art. 1, n. 2 delle preleggi e, quindi, come norma di diritto invocabile dal ricorrente per
cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; si è infatti in presenza di un organismo
espressamente definito come persona giuridica di diritto privato dall’art. 1, comma 2, d.lgs n.
504/94, senza che tale natura privatistica sia contraddetta dall’obbligo di iscrizione di cui al comma

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l’inabilità e l’invalidità siano lo stesso istituto (pur se denominati in modo diverso, sottoposti a

3 del medesimo art. 1 e dalla prevista necessità che gli atti statutari e regolamentari, a mente del
successivo art. 3, comma 2, siano approvati dal Ministero vigilante (cfr. Cass. n. 16381/2012, Cass.
n. 11792/2005, nonché, con riferimento agli statuti e regolamenti degli enti pubblici, Cass. n.
10581/1998, Cass. n. 5038/1998, Cass. n. 21/1986, Cass. n. 3311/1985, secondo cui le disposizioni
dei regolamenti interni e degli statuti degli enti pubblici non hanno valore di norme giuridiche,
esaurendo la loro operatività ed efficacia nell’ambito dell’attività interna degli enti medesimi, con la
conseguenza che, in relazione all’interpretazione delle suddette disposizioni, la sentenza di merito

o per vizi di motivazione)
Ne consegue che la ricorrente ha inammissibilmente formulato i primi due motivi di ricorso sotto il
profilo della violazione dell’art. 12 disp. prel. cod. civ., nonché degli artt. 21 e 22 del Regolamento
Enasarco, approvato con d.m. 24 settembre 1998, sul paradigma del vizio di violazione e falsa
applicazione di norme di diritto. E’ parimenti inammissibile la denuncia, attinente pur sempre alla
pretesa violazione dei criteri ermeneutici stabiliti dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., che viene
riproposta nel primo motivo come vizio di omessa motivazione.
5.- Il terzo motivo, con il quale si denuncia la violazione degli artt. 1324, 1362, 1363 e 1367 c.c., è
fondato. Secondo principi costantemente affermati da questa Corte (cfr.

ex plurimis Cass. n.

460/2011, Cass. n. 14864/2009, Cass. n. 2399/2009, Cass. n. 1387/2009), nell’interpretazione degli
atti unilaterali, quali sono anche i regolamenti interni formati da un ente previdenziale, i criteri
ermeneutici principali sono quelli del senso letterale delle parole e dell’interpretazione complessiva
delle clausole le une per mezzo delle altre, non potendo aversi riguardo alla comune intenzione
delle parti, di cui all’art. 1362, primo comma, c.c., che non esiste. E’ stato altresì precisato che
nell’ambito dei criteri interpretativi risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle
parole, conseguendone che, ove quest’ultimo canone risulti sufficiente, l’operazione ermeneutica
deve ritenersi utilmente conclusa; il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va poi verificato
alla luce dell’intero contesto contrattuale e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra
loro, dovendo procedersi al rispettivo coordinamento a norma dell’art. 1363 c.c. e con riguardo a
tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale (cfr. ex plurimis Cass. n. 18180/2007,
Cass. n. 26690/2006, Cass. n. 15949/2004).
Nel caso di specie, la Corte territoriale, pur richiamando il tenore letterale delle norme
regolamentari che disciplinano la concessione della pensione di inabilità (anche in relazione alle
norme che ne prevedono la revoca), si è discostata dai principi sopra indicati con l’affermazione che
l’art. 21 del Regolamento (secondo cui “Si considera inabile l’agente che, a causa di infermità o
difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi

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non è censurabile in sede di legittimità se non per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale

attività lavorativa”), al di là di quello che sembrerebbe indicare il tenore letterale della disposizione
(“Il tenore letterale della disposizione, indubbiamente, sembrerebbe indicare trattarsi di incapacità
assoluta generica”), avrebbe riguardo al concetto di “capacità lavorativa specifica” e stabilirebbe,
dunque, un “collegamento diretto con l’espletamento dell’attività lavorativa di agente di
commercio”; ciò che sarebbe confermato anche dal disposto del secondo comma dell’art. 21,
secondo cui “gli agenti che abbiano subito l’inabilità permanente e assoluta di cui al comma
precedente, comportante lo scioglimento di tutti i contratti di agenzia, e che abbiano almeno cinque

pensione annua di inabilità …”, laddove il requisito dei cinque anni di anzianità contributiva e
l’ulteriore elemento richiesto, dello scioglimento di tutti i contratti facenti capo all’agente,
dimostrerebbero proprio l’esigenza di un collegamento causale tra lo stato di invalidità e
l’impossibilità di espletare l’attività lavorativa specifica dell’agente di commercio. Ulteriore
conferma di tale interpretazione, secondo la Corte territoriale, si rinverrebbe nella disposizione di
cui all’art. 25 del Regolamento, secondo cui la ripresa dell’attività lavorativa da parte dell’agente
comporta la revoca della pensione e la ricostruzione della posizione previdenziale presso
l’Enasarco, dovendo considerarsi, al riguardo, che “l’attività lavorativa idonea a produrre tali
conseguenze non può che essere quella di agente e rappresentante di commercio, in quanto essi
sono tutti obbligatoriamente iscritti al Fondo di previdenza della Fondazione”.
6.- Così decidendo, la Corte territoriale ha tuttavia del tutto svalutato, pur richiamandolo, il tenore
letterale della disposizione di cui all’art. 21 del Regolamento Enasarco, ed in particolare
l’espressione adoperata nella suddetta disposizione, secondo cui si considera inabile l’agente che, a
causa di difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere
“qualsiasi attività lavorativa”, e dunque un’attività lavorativa “quale che sia”, e non solo quella che
si esplica nell’attività di agente di commercio. Né ha considerato che al concetto di capacità
lavorativa specifica fa specifico riferimento altra disposizione del Regolamento, l’art. 22, che, ai
fini della pensione di invalidità, richiede una riduzione in misura pari almeno a due terzi della
“capacità lavorativa nella attività di agente effettivamente esercitata”, così che non è possibile
confondere due prestazioni che sono dirette a tutelare due situazioni completamente diverse: da un
lato, quella dell’agente che si trovi, a causa di difetto fisico o mentale, nella assoluta e permanente
impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa; dall’altro, quella dell’agente che abbia subito
una riduzione della propria capacità lavorativa come agente, pur continuando ad essere in grado di
svolgere altre attività, o la stessa attività di agente, sia pure in più ridotta misura.
Anche il raffronto con le altre clausole del Regolamento non conduce ai risultati cui è pervenuta la
Corte territoriale. Il secondo comma dell’art. 21 – secondo cui “gli agenti che abbiano subito

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anni di anzianità contributiva di cui uno nell’ultimo quinquennio, acquisiscono il diritto a una

• l’inabilità permanente e assoluta di cui al comma precedente, comportante lo scioglimento di tutti i
contratti di agenzia, e che abbiano almeno cinque anni di anzianità contributiva di cui uno
nell’ultimo quinquennio, acquisiscono il diritto a una pensione annua di inabilità …” – si limita,
infatti, soltanto a stabilire il requisito contributivo al quale è condizionata la concessione del
beneficio ed a precisare che, a questi fini, lo stato di inabilità deve essere tale da comportare lo
scioglimento di “tutti i contratti di agenzia”. Allo stesso modo, l’art. 25 non fa altro che precisare
che la ripresa dell’attività lavorativa da parte dell’agente comporta la revoca della pensione di

ottenere il riconoscimento dell’invalidità permanente parziale” (confermando, quindi, la diversità
tra le due prestazioni e tra i presupposti che sono alla base dell’una e dell’altra).
7.- Né può sottacersi che l’espressione utilizzata dall’art. 21 per definire lo stato di inabilità che dà
diritto al relativo trattamento pensionistico ricalca pedissequamente la formula adoperata dal
legislatore nell’art. 2 della legge n. 222 del 1984 per la pensione ordinaria di inabilità (per la quale
è pure richiesta l'”assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”, sia
pure intesa quale attività che sia confacente alle attitudini dell’assicurato, non dequalificante e
idonea ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa ex art. 36 Cost.: cfr. Cass. n. 1026/2001) e che
tale rilievo assume carattere dirimente, considerato che il fondo di previdenza degli agenti e dei
rappresentanti di commercio, gestito dall’Enasarco, ha carattere integrativo dell’assicurazione
generale obbligatoria e che a questa, dunque, va fatto riferimento quando si tratta di definire
concetti che trovano identica definizione sia nell’una che nell’altra assicurazione.
8.- In definitiva, il motivo in esame va accolto, dovendo ritenersi che, con la decisione impugnata,
la Corte territoriale abbia attribuito all’espressione contenuta nell’art. 21 del Regolamento Enasarco
(“qualsiasi attività lavorativa”) un significato diverso da quello fatto palese dal senso letterale delle
parole, e confermato anche dal coordinamento delle varie clausole del Regolamento tra loro, con
violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.
La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti
di fatto (come risulta dalla motivazione della detta sentenza, il Peller, pur non potendo più svolgere
l’attività di agente di commercio, non si trova, infatti, nell’assoluta e permanente impossibilità di
svolgere qualsiasi attività lavorativa), la causa va decisa nel merito (art. 384, secondo comma,
c.p.c.) con la pronuncia di rigetto della domanda proposta contro la Fondazione Enasarco.
.

9.- Il difforme esito dei giudizi di merito e la ritenuta inammissibilità delle censure svolte con il
primi due motivi di impugnazione inducono a compensare per giusti motivi le spese dell’intero
processo.

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inabilità e la ricostituzione della posizione previdenziale, “fatto salvo il diritto dell’interessato ad

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo, accoglie il terzo, cassa la sentenza
impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di Marco Peller; compensa tra le parti le
spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 31 gennaio 2013
..„-11.Presidepte

tamilith

Il Consigliere estensore

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