Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10814 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. III, 05/06/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 05/06/2020), n.10814

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20510-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS), in persona del

procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA,

V.S.GIOVANNI IN LATERANO 226/210, presso lo studio dell’avvocato

BIANCA MARIA CASADEI, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELA

GABRIELLA NOCCO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

D.G.;

– intimata –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del

procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA,

V.S.GIOVANNI IN LATERANO 226/210, presso lo studio dell’avvocato

BIANCA MARIA CASADEI, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELA

GABRIELLA NOCCO;

– controricorrente all’incidentale –

contro

D.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 787/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 29/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha chiesto

l’accoglimento del motivo 2) del ricorso principale e per il rigetto

del ricorso incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha chiesto l’accoglimento del motivo 2) del

ricorso principale, rigetto del 1 e assorbito il 3; rigetto del

ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

D.G. conveniva in giudizio l’Agenzia delle entrate e il concessionario per la riscossione ETR Esazione Tributi s.p.a., esponendo di aver avuto avviso di un’illegittima iscrizione ipotecaria, fondata su pretese tributarie cui erano sottesi due avvisi di accertamento annullati con sentenza del giudice tributario passata in giudicato, e chiedendo, pertanto e per quanto qui ancora rileva, il risarcimento dei conseguenti danni;

il Tribunale, davanti al quale resistevano entrambi i convenuti, accoglieva la suddetta domanda, affermando la responsabilità solidale dell’ente impositore e del concessionario, e statuiva, altresì, la condanna degli stessi al pagamento di un ulteriore importo a titolo di responsabilità processuale aggravata, posta la persistente resistenza dei responsabili, sia in fase stragiudiziale che durante il giudizio, nonostante l’incontestabilità delle risultanze;

la Corte di appello rigettava i gravami proposti sia dall’Agenzia delle entrate che dal concessionario divenuto Equitalia ETR s.p.a., osservando, in particolare, che quest’ultimo non poteva considerarsi un ignaro ed irresponsabile esecutore materiale di disposizioni altrui, posto che i crediti cui era sottesa l’ipoteca erano stati oggetto di definitivo annullamento in sede giurisdizionale, rilevabile dal riscossore telematicamente, e che a quell’annullamento era seguita diffida da parte dell’attrice, sicchè una minima diligenza avrebbe dovuto indurre l’esattore al diverso comportamento corretto, anche processuale, se del caso sollecitando il titolare del credito allo sgravio formale;

aggiungeva la Corte territoriale che la lesione del diritto primario di disporre liberamente dei propri beni aveva cagionato un disagio e una sofferenza risarcibili previa liquidazione equitativa di tali pregiudizi, di difficile quantificazione;

avverso questa decisione ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate riscossione, subentrata al concessionario, articolando tre motivi;

resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate che ha proposto, altresì, ricorso incidentale contenente due motivi, corredato da memoria e avversato, a sua volta, da controricorso della ricorrente principale;

non ha svolto difese D.G..

Diritto

RILEVATO

che:

con il primo motivo di ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116, c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe erroneamente formato il proprio convincimento:

– mancando di considerare che la sentenza del giudice tributario che aveva annullato gli avvisi di accertamento era stata pronunciata in un contraddittorio, tra l’attrice e l’ente impositore, cui era rimasto estranea la (parte) deducente;

– affermando che sarebbe stata annullata la cartella di pagamento notificata dalla deducente, mentre il giudice tributario aveva annullato gli avvisi di accertamento;

– affermando che la deducente avrebbe potuto verificare l’annullamento in parola telematicamente, mentre l’unico documento condiviso per via telematica tra deducente ed ente impositore sarebbe stato il ruolo;

– mancando di considerare che l’ente impositore, costituendosi in primo grado, aveva affermato ancora l'(allora) attuale interesse a garantire la riscossione, negando vi fosse giudicato ostativo;

– mancando di considerare che l’ente impositore aveva comunicato lo sgravio del ruolo solo nella pendenza del giudizio di secondo grado; con il secondo motivo di ricorso principale si prospetta la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 24, 25, 39, 40, art. 60, comma 1, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che il concessionario non avrebbe potuto sospendere l’efficacia del ruolo, laddove responsabile della pretesa di credito era solo l’Agenzia delle entrate e, al contempo, nessuna censura sarebbe stata sollevata avverso l’atto dell’iscrizione ipotecaria, proprio del concessionario, mero delegato alla riscossione;

con il terzo e subordinato motivo di ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2043 c.c., art. 96 c.p.c., poichè, ferma la carenza di colpa della deducente, non sarebbe stata data prova dei danni, inoltre liquidati a titolo non patrimoniale al di fuori delle tipizzate ipotesi ordinamentali;

con il primo motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2059,2697,1227, c.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, lett. e-bis, nonchè art. 21 poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che i danni sarebbero stati accordati senza prova e, trattandosi di pregiudizi non patrimoniali, al di fuori dei casi tipizzati di legge, fermo restando che l’attrice avrebbe colposamente introdotto due giudizi, davanti al giudice tributario, per ottenere l’annullamento degli avvisi di accertamento sopra menzionati, sicchè, sino alla definizione del secondo, sarebbe stato astrattamente possibile il sopravvenire di altro giudicato prevalente, favorevole all’amministrazione, e la deducente avrebbe, invece, immediatamente provveduto allo sgravio appena definito il secondo di quei due giudizi, mentre l’iscrizione ipotecaria, in quanto non impugnata, e pertanto definitiva, avrebbe dovuto essere attuata;

con il secondo motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, poichè la Corte di appello avrebbe errato accogliendo immotivatamente la domanda risarcitoria in difetto di prova dei danni;

Rilevato che:

preliminarmente deve evidenziarsi che la rappresentanza e difesa in giudizio dell’Agenzia delle entrate riscossione da parte di avvocato del libero foro, è legittima secondo quanto chiarito dall’arresto di questa Corte, a Sezioni Unite, del 19 novembre 2019 n. 30008, cui si può rimandare;

nel merito cassatorio, i primi due motivi di ricorso principale, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;

va ribadito che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli invocati artt. 115 e 116 c.p.c., opera sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè, in questa chiave, la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che dev’essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione (qui non dedotto a fonte di una duplice pronuncia conforme da parte dei giudici di merito), e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 12/10/2017, n. 23940), salva l’inammissibilità di cui all’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5;

ciò posto, la violazione dell’art. 116 c.p.c., è idonea a integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda il sopra ricordato principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta a un diverso regime; mentre la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come analogo vizio solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha finito per attribuire maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., 10/06/2016, n. 11892, Cass., Sez. U., 05/08/2016, n. 16598, pag. 33);

le norme invocate sono dunque estranee alle critiche svolte, in particolare, con la prima censura;

i due motivi sono anche infondati nella complessiva prospettiva dell’erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, in tesi supposta con gli stessi;

va subito chiarito che l’affermazione dell’annullamento della cartella, invece che degli avvisi di accertamento, effettuata dalla Corte territoriale, si traduce in un errore del tutto irrilevante, essendo evidente che dev’essere intesa nel senso che era stata esclusa la sussistenza del credito tributario e, pertanto, venuto meno il titolo;

la caducazione del titolo (ovvero del ruolo), conseguente all’annullamento dei correlati avvisi, è stata correttamente ritenuta, dalla Corte di appello, una “regula iuris” oggettivamente opponibile all’esattore, a nulla rilevando la sua, giusta, mancata partecipazione al relativo giudizio con il legittimo contraddittore (ente impositore), posto che non è ipotizzabile, proprio per questo, alcuna pretermissione che ne giustifichi l’inopponibilità, bensì solo l’oggettiva efficacia conseguente alla scissione, tipica della riscossione esattoriale, tra titolare del credito e riscossore;

per questa ragione è stato precisato che la contestazione della pretesa tributaria (anche quando attuata mediante impugnazione dell’iscrizione ipotecaria conseguente alla cartella di pagamento) può essere svolta direttamente nei confronti dell’ente creditore e il concessionario è vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di “adiectus solutionis causa”, mentre se l’azione è proposta nei confronti del concessionario, questi, se non vuole rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, ha l’onere di chiamare in causa l’ente creditore, in quanto non ricorre litisconsorzio necessario, sicchè l’erronea individuazione del legittimato passivo non determina l’inammissibilità della domanda (Cass., 08/01/2015, n. 97, in coerenza con Cass., 25/07/2007, n. 16412);

ciò posto, è stato già affermato da questa Corte, in analoga fattispecie, che “anche nel campo tributario, l’attività della pubblica amministrazione deve svolgersi nei limiti posti, non solo dalla legge ma anche dalla norma primaria del “neminem laedere”, per cui è consentito ai giudice ordinario – al quale è pur sempre vietato stabilire se il potere discrezionale sia stato, o meno, opportunamente esercitato – accertare se invece vi sia stato, da parte dell’amministrazione, un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo” (Cass., Sez. U., 11/10/2016, n. 20426, che rimanda a Cass., Sez. U., 09/07/2014, n. 15593);

ne consegue che il giudice di merito potrà e dovrà in concreto accertare se il concessionario abbia agito con colpa, ovvero senza quella “normale prudenza” che viene richiamata, riguardo all’iscrizione ipotecaria, in rapporto di specie a genere rispetto alla generale fattispecie aquiliana (Cass., 15/11/2016, n. 23271, pag. 11), dalla disciplina comune contenuta nell’art. 96 c.p.c., comma 2;

nel caso, entrambi i giudici di merito, concordemente hanno accertato (cfr. pagg. 4 e 6 della sentenza qui gravata) che malgrado l’incontestabile esclusione giudiziale della sussistenza del sotteso credito tributario, l’ente impositore e il concessionario per la riscossione, sia in fase stragiudiziale che nel corso del giudizio, hanno continuato a sostenere la legittimità del proprio operato, esitato nel preavviso d’iscrizione ipotecaria impugnata, nei termini discussi, in uno alla richiesta risarcitoria;

la Corte territoriale ha rilevato che il contenuto della sentenza era rilevabile telematicamente e che ad essa era seguita inutile attività di diffida;

questo accertamento in fatto non è sindacato, nè sindacabile limitandosi ad affermare apoditticamente la fattuale condivisione telematica del solo ruolo, non sospeso, tra i due soggetti originariamente convenuti, posto che, al contempo, non viene incisa la ragione decisoria afferente all’attività di diffida già intervenuta precedentemente al giudizio;

nè rileva la circostanza per cui, in sede di costituzione di primo grado, l’Agenzia delle entrate avesse escluso un giudicato tributario e affermato l’attualità dell’interesse alla misura conservativa nella prospettiva della riscossione;

ciò in quanto resta fermo l’autonomo obbligo dell’agente della riscossione ad agire, nell’esercizio della sua propria attività, secondo l’idonea diligenza (identificabile concretamente, nella disciplina comune, anche nella colpa lieve, secondo Cass., 23/08/2011, n. 17523);

per la stessa ragione, nulla sposta il tempo di comunicazione dello sgravio e l’efficacia del ruolo, ovvero del titolo in forza del quale poter iscrivere, secondo la normale prudenza, la garanzia ipotecaria legale;

e a maggior ragione risulta del tutto inconferente il richiamo – effettuato, come visto, anche nel primo motivo di ricorso incidentale – alla mancata impugnazione dell’atto d’iscrizione ipotecaria di per sè: altro sono i vizi che possano inficiare, in ipotesi, l’atto in parola, altro è averlo effettuato colposamente rispetto alla risultata inesistenza del relativo credito;

è poi del tutto ovvio che resta salva, per il concessionario, la domanda di regresso, qui non risultante, nei confronti dell’ente impositore per la misura della condotta causalmente e colposamente riferibile allo stesso e alle sue proprie obbligazioni di diligenza (Cass., 15/02/2019, n. 4558, in fattispecie anch’essa analoga);

il terzo motivo di ricorso principale, e i due motivi di ricorso incidentale, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondati per quanto di ragione;

va premesso che, come in parte anticipato, nella seconda censura si deduce, da parte della difesa erariale, la mancata impugnazione dell’iscrizione ipotecaria, profilo come detto irrilevante;

nella stessa censura, inoltre, si prospetta una dinamica processuale (doppia impugnazione degli avvisi da parte della contribuente) che non è neppure dimostrato se e come fosse stata dedotta e supportata nelle fasi di merito, con conseguente inammissibilità “parte qua”, prima che infondatezza rispetto alla mancanza di diligenza stanti le diffide stragiudiziali già evidenziate e discusse;

colgono invece nel segno le censure qua – si dolgono del riconoscimento di danni non patrimoniali senza idonea base normativa e, contestualmente, senza prova;

la Corte territoriale discorre (a pag. 7) di un generale diritto alla libera disponibilità dei beni, ma si tratta di profilo attinente al danno patrimoniale, del quale ultimo null’altro è dato sapere;

quanto al danno non patrimoniale, risarcibile nel caso di lesione di diritti fondamentali ovvero costituzionalmente rilevanti (Cass., 07/03/2019, n. 6598), lo si rapporta a non meglio precisati “disagi e turbamenti” che:

a) non si rapportano a un allegato e come tale specificato diritto fondamentale;

b) non possono ritenersi “in re ipsa” e debbono essere provati, sia pure indiziariamente, rispetto alle svolte allegazioni, anche con riferimento alla gravità della lesione ovvero alla non futilità del danno (cfr. anche Cass., n. 23271 del 2016, cit., pag. 9, in fattispecie analoga);

quanto sopra impone la cassazione della sentenza e la rimessione al giudice del rinvio che valuterà, all’esito, l’eventuale e complessiva resistenza in giudizio dei convenuti in chiave di responsabilità processuale aggravata;

spese parimenti al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e secondo motivo del ricorso principale, accoglie per quanto di ragione il terzo motivo di ricorso principale e i due motivi di ricorso incidentale, cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bari perchè, in diversa composizione, pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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