Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1081 del 20/01/2020

Cassazione civile sez. II, 20/01/2020, (ud. 27/09/2019, dep. 20/01/2020), n.1081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25439-2015 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI

113, presso lo studio dell’avvocato ROSA ALBA GRASSO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANIA PERTEGATO;

– ricorrente –

contro

V.P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE

ASOLONE N. 8, presso lo studio dell’avvocato MILENA LIUZZI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO SARTORI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 850/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 01/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/09/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 1 aprile 2015 la Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato la legittimità del recesso esercitato da V.P.M. dal contratto preliminare di vendita concluso in data 21 ottobre 2002 e ha condannato la promittente venditrice, B.M., al pagamento, in favore della prima, della somma di Euro 41.316,00, oltre accessori di legge.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che dalle prove testimoniali assunte era emerso che il 16 dicembre 2002, presso lo studio del notaio Ba., individuato per il rogito, la B. aveva preteso che, nel contratto, venisse dichiarato il solo valore catastale dell’immobile, pari a circa metà del prezzo concordato, mentre la V. aveva richiesto che venisse indicato il prezzo effettivo; b) che, in particolare, secondo quanto riferito dalla teste S., la B., a seguito della mancata accettazione della sua richiesta da parte della V., se ne era andata; c) che, peraltro, era emerso che nello studio notarile era presente un funzionario Fineco, il quale aveva con sè gli assegni circolari per l’importo di 160.000,00 Euro (assegni intestati alla B. per l’importo di 100.000,00 Euro e alla V. per il restante), destinati a sommarsi ai 12.000,00 Euro che la V. deteneva in contanti; d) che il funzionario si era offerto di accompagnare le contraenti presso una banca vicina al fine di cambiare in contanti gli assegni intestati alla V. e che, tuttavia, la B. non aveva accettato; e) che, secondo la credibile ricostruzione dell’avv. Ba. che aveva assistito la V., quest’ultimo episodio era avvenuto intorno alle 15,30, ossia in un momento nel quale le banche erano aperte; f) che la contraria dichiarazione dei testi M. e C.P., rispettivamente padre e figlio, che avevano indicato un orario successivo (16,30 – 17,30), oltre ad essere minata dal rapporto di convivenza del secondo con la B., era meno compatibile – rispetto alla deposizione dell’avv. Ba. – col fatto che l’incontro presso il notaio fosse iniziato alle 12,15; g) che, in definitiva, il fatto che la B. non avesse atteso presso lo studio notarile il compimento dell’operazione doveva essere qualificato come comportamento contrario a buona fede.

3. Avverso tale sentenza la B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso la V.. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1, commi 1 e 2, conv. con la L. n. 197 del 1991, degli artt. 1385 e 1218 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dal fatto che l’offerta di pagamento della promissaria acquirente non era conforme alle previsioni contrattuali e legislative, in quanto: a) non esiste, nei confronti del terzo portatore, un obbligo di negoziazione dell’assegno circolare da parte di una banca diversa da quella emittente; b) se anche la B. si fosse recata presso una vicina banca per fare annullare gli assegni e farne emettere di nuovi a suo nome o conseguire denaro contante, comunque la banca non sarebbe stata tenuta nè ad annullare i primi nè ad emetterne altri; c) in ogni caso, alla luce della complessiva portata dell’operazione, anche il versamento della somma di 12.000,00 Euro in contanti non era rispondente alla normativa antiriciclaggio; d) anche la somma di 100.000,00 Euro non era nella disponibilità della V., perchè le sarebbe stata consegnata dal funzionario Fineco solo all’atto della sottoscrizione del contatto di mutuo ipotecario, logicamente successiva alla compravendita.

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè del D.L. 143 del 1991, art. 1, commi 1 e 2, per avere la Corte territoriale ritenuto ammissibili e rilevanti le prove articolate dalla B., laddove, come osservato dal giudice di primo grado, proprio la loro articolazione dimostrava l’infondatezza della pretesa di controparte.

3. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1337,1375 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto contrario a buona fede il rifiuto della B. di ricevere somme in contanti, in violazione della normativa antiriciclaggio, e di recarsi presso uno sportello bancario per trasformare in denaro assegni circolari intestati alla controparte.

4. Con il quarto motivo si lamentano violazione e falsa applicazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1, nonchè degli artt. 1385 e 1457 c.c., e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per il mancato rilievo che, alla data dell’incontro delle parti dinanzi al notaio, il termine di pagamento previsto dal contratto preliminare era scaduto.

5. Con il quinto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 246 c.p.c. e art 51 del codice deontologico forense, per avere la Corte d’appello ritenuto l’avv. Ba. non solo capace di testimoniare, nonostante fosse stato il difensore della V. sino alla data dell’ordinanza ammissiva delle prove da parte della Corte d’appello, ma anche maggiormente attendibile rispetto agli altri testimoni ascoltati.

5. Il ricorso è inammissibile.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (v., ad es., Cass. 27 luglio 2017, n. 18641).

Ciò posto, nell’atto di ricorso non si rinviene traccia dell’impugnazione dell’autonoma ratio decidendi, rappresentata dal fatto che la B. sarebbe andata via poichè la V. non aveva accettato di indicare, nell’atto di compravendita, un importo inferiore rispetto al corrispettivo destinato ad essere versato.

Il fatto che topograficamente tale rilievo sia collocato all’inizio della motivazione della sentenza impugnata; il fatto che, nella ricostruzione dei fatti operata da quest’ultima, alla mancata accettazione segua l’allontanamento della B.; il fatto, infine, che il tema del pagamento del corrispettivo sia introdotto nella pagina seguente con un “altresì”; tutti questi elementi rivelano, in modo univoco, da un punto di vista oggettivo, il convincimento della Corte territoriale che la mancata conclusione del contratto definitivo fosse riconducibile, non ad una condotta inadempiente della V., ma alla scelta della controparte, evidentemente interessata, nonostante le contrarie formali asserzioni, ad incassare parte del corrispettivo, senza che ciò emergesse dall’atto.

Come detto, tale specifico percorso argomentativo, idoneo a sorreggere autonomamente la decisione, non è stato oggetto di alcun motivo di impugnazione.

6. Ne consegue che il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, oltre che dichiarata tenuta al raddoppio del contributo unificato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, a spese generali e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020

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