Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1081 del 18/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 18/01/2017, (ud. 24/11/2016, dep.18/01/2017),  n. 1081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28752-2014 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO SIACCI

38, presso lo studio dell’avvocato GIORGIA PASSACANTILLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO MARTELLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 669/11/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 07/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA CRUCITTI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

S.A. ricorre, affidandosi a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna -in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento emesso D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 4, relativo ad irpef per l’anno 2006- aveva riformato, accogliendo l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, la sentenza di primo grado favorevole alla contribuente.

In particolare, il Giudice di appello riteneva che la contribuente, la quale aveva omesso di presentare la dichiarazione dei redditi dal 2003 al 2006, pur essendo titolare di un reddito da lavoro dipendente, di un’autovettura e di un appartamento, non si era presentata, senza addurre alcun impedimento, al contraddittorio con l’Ufficio e che i documenti, forniti solo con il ricorso introduttivo del giudizio, non potevano essere considerati a favore della contribuente.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituali comunicazioni.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e dell’art. 32 laddove la C.T.R. aveva ritenuto con riguardo ai documenti, prodotti solo in giudizio e non nel contraddittorio con l’Ufficio, che gli stessi non potessero essere considerati a favore della contribuente.

1.1. La censura è inammissibile per inconducenza con il decisimi laddove il Giudice di appello, pur avendo svolto l’argomentazione censurata, ha comunque valutato e posto a base del suo convincimento tutta la documentazione allegata dalla contribuente in giudizio.

2. Con il secondo motivo – rubricato: violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e dell’art. 115 c.p.c. – la ricorrente censura la sentenza impugnata laddove non aveva considerato i fatti storici portati dalla documentazione allegata e che questi non erano stati oggetto di contestazione in sede processuale da parte dell’Agenzia.

3. Con il terzo motivo si denuncia la sentenza impugnata di nullità per motivazione totalmente insufficiente e contraddittoria e comunque meramente apparente, in violazione dell’art. 111 Cost. dell’art. 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e della L. n. 212 del 2000, art. 7.

4. I motivi, da trattarsi congiuntamente siccome attinenti allo stesso passo motivazionale della sentenza impugnata, non sono fondati.

4.1. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, disciplina il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. n. 413 del 1991, e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (comma 5), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle – di solito elevate – sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Resta salva, in ogni caso, ai sensi dell’art. 38 cit., comma 6, la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori: Cass. n. 5365 del 2014), o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. nn. 20588 del 2005, 9539 del 2013).

4.2. Nella specifica materia, questa Corte (Cass. n. 1909/2007) ha ritenuto che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali “clementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perchè già sottoposta ad imposta o perchè esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma”. Ed in via generale che l’accertamento sintetico, con metodo induttivo, consentito all’amministrazione finanziaria dalle norme contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4 e 5, consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva). La suddetta presunzione semplice genera peraltro l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà. (Cass. n. 5991/2006- richiamata di recente da Cass. n. 2015/2014).

4.3. Ciò appare sufficiente per il rigetto del secondo motivo laddove si deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c., dovendosi escludere che i fatti storici portati dalla documentazione prodotta in giudizio dalla contribuente potessero essere acquisiti al processo in virtù del principio di non contestazione. Ma la censura è infondata anche con riferimento all’ulteriore violazione di legge dedotta. Questa Corte (v. Cass. n. 8995/2014 richiamata dalla successiva Cass. n. 25104/2014) ha, infatti, così chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38: “A norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente e costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacita contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate al fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati”.

Nella specifica ipotesi di liberalità questa Corte, inoltre, ha statuito che “nell’ambito dell’accertamento sintetico la prova delle liberalità che hanno consentito l’incremento patrimoniale deve essere documentale e la motivazione della pronuncia giurisdizionale deve fare preciso riferimento ai documenti che la sorreggono ed al relativo contenuto” (cfr.Cass. n.24597/ 2010; Cass.6397/2014).

4.5. La sentenza impugnata, nel ritenere che la documentazione prodotta non avesse chiarito sufficientemente nè i passaggi di denaro, nè il titolo della dedotta erogazione di somme da parte dei genitori della contribuente, nè ancora il tipo di operazione compiuta per l’acquisto dell’autovettura, e nel concludere per l’inidoneità della documentazione al fine del superamento della presunzione di cui all’art. 38 citato, è non solo compiutamente motivata (con rigetto, quindi, anche del terzo motivo) ma anche conforme ai superiori principi.

5. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese di lite liquidate come in dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese di lite liquidate in complessivi Euro 1.100,00 oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

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