Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10806 del 04/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 04/05/2017, (ud. 22/02/2017, dep.04/05/2017),  n. 10806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20995/2015 proposto da:

ATAC SPA – AZIENDA PER LA MOBILITA’ DI ROMA CAPITALE (P.I. (OMISSIS))

in persona dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI ROGAZIONISTI 16, presso

lo studio dell’avvocato MARINA DI LUCCIO, che la rappresenta e

difende in virtù di procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AGRI,

1, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO NAPPI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato PASQUALE NAPPI, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1762/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 22/02/2017 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 4 marzo 2015, la Corte di Appello di Roma, riformando la decisione del primo giudice, accoglieva la domanda proposta da G.T. nei confronti dell’ATAC s.p.a. condannando quest’ultima al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 6.045,87, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, a titolo di indennità di trasferta;

che per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l’ATAC s.p.a. affidato a due motivi cui resiste con controricorso la G.;

che è stata depositata la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

che l’ATAC ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., in cui vengono ribadite le argomentazioni di cui ai motivi di ricorso;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del CCNL 23.7.76 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere il giudice del gravame deciso sulla scorta di un precedente di questa Corte (Cass. n. 18479/2014) relativo a fattispecie affatto diversa e senza tenere conto che dal tenore letterale del richiamato art. 20 nel concetto di trasferta doveva ritenersi insito lo spostamento eventuale, occasionale e comunque temporaneo dal luogo ove di norma viene prestata il lavoro, spostamento che doveva avvenire di volta in volta, a seguito di specifico ed individuale ordine ricevuto per ragioni di servizio evidenziandosi, quindi, come l’elemento caratterizzante la trasferta istituto di carattere straordinario ed eccezionale, rappresentando una deviazione (per esigenze straordinarie e provvisorie) dalla normale organizzazione del lavoro che prevede che ogni dipendente debba prestare la propria attività presso l’impianto di appartenenza – sia la duplicità di luoghi lavorativi, da una parte quello abituale di lavoro, dall’altra il luogo cui si viene, episodicamente, destinati, elemento quest’ultimo assente nella fattispecie all’esame; con il secondo motivo viene dedotto omesso esame di questioni decisive per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere il giudice del gravame ritenuto generiche le contestazioni mosse ai conteggi dall’ATAC che, invece, aveva quantificato in Euro 4.963,20 l’indennità eventualmente dovuta in considerazione delle effettive giornate lavorative da utilizzare come base di calcolo;

che il primo motivo è infondato alla luce del prevalente orientamento di questa Corte secondo cui “Ai fini della configurazione della trasferta del lavoratore (da cui consegue il suo diritto a percepire la relativa indennità) che si distingue dal trasferimento (il quale comporta l’assegnazione definitiva del lavoratore ad altra sede diversa dalla precedente), è necessaria la sussistenza del permanente legame del prestatore con l’originario luogo di lavoro, mentre restano irrilevanti, a tal fine, la protrazione dello spostamento per un lungo periodo di tempo e la coincidenza del luogo della trasferta con quello di un successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine della trasferta medesima. L’accertamento degli inerenti presupposti è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato” (Cass. n. 6240 del 21/03/2006 – nella specie, questa S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva rigettato la domanda di un dipendente di una società autoferrotranviaria intesa ad ottenere il riconoscimento dell’indennità di trasferta conseguente all’ammissione di un corso di riqualificazione presso un luogo di lavoro diverso dalla sede ordinaria di servizio, in cui aveva poi lavorato continuativamente per alcuni anni ed era stato, quindi, successivamente trasferito, rilevando l’adeguatezza della sua motivazione con la quale erano stati considerati difettanti gli elementi essenziali per la configurazione della trasferta, con particolare riguardo alla conservazione dell’originaria sede di servizio e alla certezza del futuro rientro, nel mentre la mancata adozione di un formale atto di trasferimento e di assegnazione alle nuove mansioni non era stato ritenuto sufficiente ad integrare una trasferta; vedi anche: Cass. n. 9744 del 05/07/2002 n. 14470 del 19/11/2001; più di recente, Cass. n. 18479 del 01/09/2014); orbene, di tali principi la Corte di appello ha fatto corretta applicazione avendo rilevato che la destinazione di fatto della G. alla diversa sede ((OMISSIS)) rispetto a quella di appartenenza ((OMISSIS)) era stata temporanea (nonostante la sua durata di due anni) come si evinceva chiaramente nel provvedimento di assegnazione e confermato dal rientro della lavoratrice nella sede originaria alla fine di detto periodo di assegnazione;

che il secondo motivo è inammissibile in quanto – pur con una intitolazione del motivo conforme al testo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012 – la parte, in realtà, critica la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale, non è più censurabile (si veda Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub Specie nullitatis, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione); ed infatti l’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria) e, tuttavia, il riferimento al fatto secondario non implica – e la citata sentenza n. 8053 delle S.U. lo precisa chiaramente che possa denunciarsi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori essendo sufficiente che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti; che, nel caso de quo, i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale; sicchè non può certo trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dalla ricorrente;

che, per quanto esposto, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo con attribuzione agli avvocati Pasquale Nappi e Massimo Nappi per dichiarato anticipo fattone; che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent. n. 3774 del 18 febbraio 2014); inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%, con attribuzione agli avvocati Pasquale Nappi e Massimo Nappi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2017

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