Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10802 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. III, 05/06/2020, (ud. 04/10/2019, dep. 05/06/2020), n.10802

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4189/2018 proposto da:

B.M., BO.MA., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

STRESA N. 53, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PINTO,

rappresentati e difesi dall’avvocato PIERO GALLIMBERTI;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS), in persona del Curatore e legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOMMASO SALVINI

55, presso lo studio dell’avvocato CARLO D’ERRICO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAVINO SPIGA;

– controricorrente –

e contro

G.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1361/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PIERO GALLIMBERTI;

udito l’Avvocato CARLO D’ERRICO;

udite l’Avvocato FEDERICA SCAFARELLI per delega orale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto di citazione del 25 maggio 2004, il Fallimento (OMISSIS) evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Venezia, B.M. e Bo.Ma. chiedendo che venisse dichiarata l’inefficacia, ai sensi della L. Fall., art. 64, del contratto di compravendita del 27 novembre 2000, con il quale V.L., a mezzo del proprio procuratore speciale, aveva venduto ai convenuti la casa di proprietà per il prezzo apparente di Lire 80 milioni. In via subordinata, chiedeva la dichiarazione d’inefficacia ex art. 67, del contratto perchè il prezzo asseritamente pagato era di gran lunga inferiore a quello di mercato.

2. Si costituivano in giudizio i convenuti B.M. e Bo.Ma. eccependo la nullità dell’atto di citazione per difetto di procura e, nel merito, deducevano che il prezzo effettivamente corrisposto era di Lire 183 milioni. Chiedevano, comunque, la chiamata in causa di S.M. nella qualità di procuratore speciale e G.R., figlia della fallita, per essere dagli stessi garantiti e proponevano domanda di restituzione delle somme versate a tali soggetti.

3. Autorizzata la chiamata in causa, si costituivano in giudizio i terzi chiamati S. e G. che concludevano per il rigetto delle domande dell’attore e dei chiamanti.

4. Con sentenza n. 701 del 2013 il Tribunale di Venezia accoglieva la domanda del fallimento (OMISSIS) e revocava la compravendita, con condanna dei convenuti al rilascio del bene immobile e dei relativi frutti maturati, dalla data della domanda giudiziale, oltre interessi e rivalutazione. Condannava S., terzo chiamato, a restituire ai convenuti l’importo di Euro 2582 e la G. a restituire a ciascuno dei convenuti l’importo di Euro 26.597, oltre interessi, rivalutazione e spese di lite.

5. Secondo il Tribunale la Bo. aveva versato a S., in virtù della procura speciale a vendere, la somma di Lire 80 milioni, mentre non era dimostrato che tale importo era transitato nei conti della fallita (OMISSIS).

6. Contro tale decisione proponevano separati atti di appello G.R., con atto di citazione del 27 luglio 2013, B.M., con atto di citazione del 23 luglio 2013 e Bo.Ma., con atto di citazione del 27 luglio 2013. Disposta la riunione e sospesa l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello di Venezia, con decisione del 30 giugno 2017, qualificava l’atto a titolo oneroso, ex art. 67 e rigettava l’appello proposto da Bo.Ma. e B.M. e, in accoglimento di quello proposto da G.R., rigettava le domande proposte nei confronti di quest’ultima, dai precedenti appellanti che condannava al pagamento delle spese di lite, unitamente alla G., nei confronti del Fallimento (OMISSIS) appellato e provvedeva sulle spese di lite per gli altri.

7. Avverso tale decisione, propongono ricorso per cassazione B.M. e Bo.Ma., con unico atto, affidandosi a cinque motivi che illustrano con memoria. Resistono con separati controricorsi il Fallimento (OMISSIS), che deposita memoria ex art. 378 c.p.c. e G.R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè degli artt. 2697,2704, 2719 e 1419 c.c. e si lamenta il mancato riconoscimento dell’efficacia di prova precostituita ai documenti depositati dagli odierni ricorrenti, aventi ad oggetto la simulazione relativa al prezzo della compravendita, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Il giudice d’appello avrebbe erroneamente negato efficacia probatoria ai documenti prodotti dalle parti, in particolare alla quietanza rilasciata da G.R., trattandosi di documento non esibito in originale e privo di data certa. Al contrario, le copie fotostatiche di scritture hanno la stessa efficacia di quelle autentiche, qualora non siano state disconosciute (art. 2719 c.c.). Sotto tale profilo non sarebbe sufficiente la contestazione dell’efficacia probatoria del documento formulata dal Fallimento (OMISSIS). Nello stesso modo, la lettera di impegno all’acquisto, con la quale gli odierni ricorrenti assumevano l’obbligo di acquistare dalla V., per il prezzo di Lire 183 milioni, non sarebbe stata adeguatamente valutata in virtù dell’eccezione di non conformità all’originale formulata dal Fallimento (OMISSIS). L’ulteriore violazione riguarderebbe la quietanza di pagamento per l’importo di Lire 103 milioni per il quale la data certa avrebbe dovuto essere dedotta da quella apposta dall’ufficio postale, poichè l’art. 2704 c.c., prevede che tale data deve considerarsi certa dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca, in modo egualmente certo, la anteriorità della formazione del documento.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 115 e 116, nonchè degli artt. 2697, 2704 e 1414 c.c. e la mancata ammissione in giudizio della prova testimoniale proposta dai ricorrenti e riguardante la simulazione relativa del prezzo di compravendita (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3). La Corte d’Appello ha ritenuto che il prezzo della compravendita era quello indicato nel rogito notarile, pari a Lire 80 milioni, e non l’ulteriore somma di Lire 103 milioni versata dagli odierni ricorrenti a G.R.. Tali elementi risulterebbero dalla ricostruzione meglio chiarita nel precedente motivo, sulla base della lettera di impegno alla vendita, con allegata planimetria e sarebbero riscontrati dalla dichiarazione rilasciata dalla G. in data anteriore a quella di fallimento. Il prezzo reale della compravendita sarebbe attestato dalla lettera del 18 gennaio 2011. Riguardo alla simulazione del prezzo di compravendita, era stata formulata richiesta di prova testimoniale con le memorie istruttorie sensi dell’art. 184 c.p.c., del 27 aprile 2006. La richiesta riproposta anche in appello era stata rigettata, sia dal Tribunale, che dalla Corte territoriale rilevando che secondo l’orientamento di legittimità la simulazione del prezzo avrebbe potuto essere dimostrata soltanto con un documento avente data certa e non attraverso la prova testimoniale. Tale principio sarebbe infondato, dovendosi ritenere consentito all’acquirente dimostrare con testimoni il prezzo realmente corrisposto ovvero l’anteriorità del contratto dissimulato. In ogni caso, la quietanza di pagamento per l’importo di Lire 103 milioni, in considerazione del timbro postale che le conferisce data certa, avrebbe dovuto portare ad una differente valutazione.

3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione la L. Fall., art. 67 e dell’art. 2697 c.c. e art. 112 c.p.c. e la erronea applicazione della presunzione della conoscenza dello stato di insolvenza in caso di inesistenza di tale stato (art. 360 c.p.c., n. 3). Secondo la Corte territoriale i ricorrenti non avrebbero fornito la prova contraria a quella presuntiva dello stato di insolvenza. Tale prova consisterebbe nella dimostrazione dell’insussistenza, al momento dell’atto, di elementi rilevatori dello stato di insolvenza ovvero la prova della sussistenza di circostanze da cui dedurre che l’impresa si trovava in una situazione di normale esercizio. Tali elementi secondo parte ricorrente – sarebbero stati dimostrati documentalmente attesa l’assenza di protesti a carico della venditrice, la regolarità nel pagamento della retribuzione dipendenti, la mancanza di debiti erariali, la libertà dell’immobile da vincoli ipotecari, la regolarità nel pagamento delle rate di mutuo. Si tratterebbe di circostanze di fatto non contestate dal Fallimento (OMISSIS).

4. Il giudice di appello avrebbe erroneamente motivato il proprio convincimento sulla base di due elementi: l’acquisto del bene a prezzo sproporzionato e il travisamento di un capitolo di prova relativo allo stato di insolvenza che la Bo. avrebbe formulato.

5. Il primo aspetto sarebbe errato perchè le risultanze processuali consentirebbero di dimostrare il pagamento della somma complessiva di Lire 183 milioni e tale elemento sarebbe idoneo a superare ogni convinzione di senso contrario.

6. Quanto al secondo profilo il giudice non avrebbe potuto ricavare argomenti di prova con valore confessorio dall’oggetto del capitolo. Il giudice di merito avrebbe equivocato senza considerare che la prova dell’insussistenza di una circostanza di fatto impone alla parte di formulare un capitolo di prova in senso affermativo al fine di sollecitare una risposta negativa.

7. I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente perchè strettamente connessi e sono inammissibili.

8. In primo luogo le censure sono dedotte in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, poichè la parte, richiede a questa Corte di legittimità una inammissibile nuova valutazione del materiale istruttorio prospettando una ricostruzione alternativa e più appagante, non trascrivendo o allegano i documenti menzionati e non individuano la fase processuale nella quale gli stessi sarebbero stati ritualmente esibiti.

9. Quando il ricorso si fonda su documenti, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

10. “Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6-3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).

11. Di questi tre oneri, il ricorrente ha parzialmente assolto solo il secondo. Il ricorso, infatti, non riassume nè trascrive il contenuto degli atti; generalmente non indica con quale atto ed in quale fase processuale (atto di citazione, memorie ex art. 183 c.p.c., ordine di esibizione, ecc.) siano state prodotte e la localizzazione dell’atto non è idonea, non essendo sufficiente individuare il documento come inserito nel fascicolo dell’attore o del convenuto.

12. Ciò impedisce di valutare la rilevanza e la decisività dei documenti che si assume non essere stati esaminati dalla Corte d’Appello.

13. Inoltre, viene dedotta per buona parte dei documenti la non contestazione da parte del fallimento, senza trascrivere o allegare i documenti menzionati e, soprattutto, il contenuto degli scritti difensivi di controparte al fine di consentire alla Corte di verificare l’esistenza di una non contestazione rilevante ai sensi dell’art. 115 c.p.c..

14. Trova applicazione il principio secondo cui il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (Sez. 6-3, Ordinanza n. 12840 del 22/05/2017, Rv. 644383-01).

15. Pertanto, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, richiede l’allegazione di due elementi: i fatti che dovrebbero essere contestati e ciò attiene alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti e la prova dell’assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza attraverso la specifica indicazione del contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto.

16. Le censure, in definitiva, riguardano tutte il merito, la valutazione dei documenti indicati e la (presunta) prevalenza di taluni rispetto a quelli presi in esame dai giudici di merito e si limitano ad una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio, inibita in sede di legittimità.

17. A prescindere da ciò, il primo motivo non è specifico, perchè non si confronta con la decisione impugnata che si fonda, non sulla questione della conformità all’originale del documento o sull’assenza di data certa, ma sulla circostanza che la qualità di G.R., di incaricata dalla madre, V.L. per l’incasso dell’importo derivante dalla compravendita dell’immobile, non sarebbe stata dimostrata. Quanto alla lettera di impegno, aggiunge la Corte territoriale, “nulla dimostra circa l’effettivo adempimento all’impegno alla corresponsione del prezzo ivi indicato”. Tali profili non sono contestati con il ricorso.

18. Pertanto, come evidenziato in memoria, tali documenti, indipendentemente dai vizi riscontrati dalla Corte territoriale, sarebbero comunque non rilevanti ai fini della decisione, poichè non consentirebbero di dimostrare che la G. aveva agito quale incaricata della V. per incassare le somme e che tale versamento sia affettivamente avvenuto nei termini dedotti dai ricorrenti.

19. In ogni caso l’accertamento della data di una scrittura privata costituisce una valutazione in fatto, di esclusiva competenza del giudice, non sindacabile in sede di legittimità (Cass., 16 febbraio 2017, n. 4104), mentre la valenza della fotocopia inficiata dalla contestazione della controparte per richiede, in tale evenienza, il deposito dell’originale.

20. La censura, inoltre, non si confronta con la decisione impugnata riguarda il profilo della data certa, perchè sul punto la corte ha rilevato che “neppure possibile riferire la parte sottostante di detta documento (con timbro postale 13 ottobre 2001) alla parte soprastante, tanto più in considerazione della notevole distanza temporale (quasi un anno) tra le date indicate nelle due parti. Tale argomentazione, in fatto, non è correttamente contrastata.

21. Il secondo e terzo motivo sono, altresì, inammissibili perchè generici. Non è dedotta alcuna concreta violazione di norme di legge con riferimento all’ammissione della prova testimoniale, limitandosi i ricorrenti a dedurre che, in materia di simulazione del prezzo, non vi sarebbe alcuna norma di legge che preveda l’inammissibilità assoluta della prova testimoniale, “riguardo all’assolvimento dell’onere probatorio in capo all’acquirente”. La prospettazione, pertanto, non si confronta con i precedenti di legittimità richiamati dalla Corte territoriale.

22. Per il resto la decisione del giudice di appello ha fatto corretta applicazione dell’art. 2722 c.c., che prevede che quando i contraenti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto, la prova è sottoposta, nei rapporti tra le parti, alle limitazioni della prova testimoniale fissata da tale norma, avendo ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto (Cass. 18 febbraio 2015, n. 3234).

23. Con il quarto motivo si lamenta la violazione della L. Fall., art. 67 e degli artt. 2908 e 820 c.c. e l’errata conferma della condanna al pagamento dei frutti maturati dalla domanda, sino al rilascio del bene immobile (art. 360 c.p.c., n. 3).

24. Secondo la Corte territoriale l’effetto costitutivo della sentenza di inefficacia della compravendita si produce dalla data della domanda. Tale principio, corretto in astratto, non terrebbe conto del fatto che l’azione revocatoria si riferisce un bene immobile non fruttifero per cui la retroazione degli effetti dell’azione revocatoria al momento della domanda sarebbe soltanto una finzione giuridica. La conseguenza dovrebbe essere che, ai sensi dell’art. 2901 c.c., non vi sarebbe alcun effetto restitutorio del bene revocato. Pertanto, il riconoscimento dei frutti determinerebbe soltanto un indebito arricchimento del Fallimento (OMISSIS).

25. Il quarto motivo è inammissibile in quanto nuovo. La parte avrebbe dovuto trascrivere, allegare o documentare di avere sottoposto la specifica questione al giudice di appello che si occupa della decorrenza dei frutti maturati, ma non anche della questione specifica sottoposta alla Corte di legittimità (non sarebbe possibile riconoscere alcun frutto a favore della procedura concorsuale fino al passaggio in giudicato della sentenza o anche sino alla definizione della procedura espropriativa immobiliare, con conseguente arbitraria fissazione di un termine per il rilascio).

26. A prescindere da ciò, la censura è infondata, perchè la Corte territoriale ha fatto applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di revocatoria sensi della L. Fall., art. 67, gli interessi sulla somma da restituire decorrono dalla domanda giudiziale (Cass. 22 marzo 2007, n. 6991).

27. Con il quinto motivo si deduce la violazione l’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2033 c.c., in relazione alla reiezione della domanda di condanna di G.R. alla restituzione delle somme consegnate dagli acquirenti (art. 360 c.p.c., n. 3). Erroneamente il giudice di appello avrebbe rilevato un vizio di ultrapetizione nella sentenza di primo grado, evidenziando che gli odierni ricorrenti non avevano mai dedotto il pagamento di un indebito in favore di G.R.. Al contrario, i ricorrenti avevano ritualmente formulato la domanda di condanna della G. alla restituzione di quanto corrisposto, trattandosi di domande che, nell’ipotesi di accoglimento della domanda proposta dal fallimento, sarebbero divenute prive di titolo giustificativo. Tale domanda sarebbe stata formulata nella comparsa di risposta, sia di B.M., che di Bo.Ma., mentre la dichiarazione di incasso resa da G.R., munita di data certa, attesterebbe la ricezione della somma di 103 milioni.

28. Il motivo è inammissibile perchè i ricorrenti avrebbero dovuto trascrivere e allegare di avere reiterato la domanda di pagamento dell’indebito anche in appello, mentre la censura si riferisce a quanto richiesto in primo grado con la comparsa di costituzione e risposta.

29. A prescindere da ciò la censura è inammissibile ai sensi dell’art. 100 c.p.c.. La corte di appello fonda la propria decisione di accoglimento del gravame proposto da G.R. su tre autonome argomentazioni rilevando che la domanda avrebbe dovuto essere rivolta nei confronti della V., oggi fallimento avendo gli stessi ricorrenti sostenuto che la G. avrebbe agito quale “procuratrice-rappresentante” della madre. In secondo luogo non vi sarebbe la prova del versamento dell’importo di Lire 103 milioni a titolo di corrispettivo della compravendita del bene immobile della V.. In terzo luogo ricorrerebbe l’ipotesi di domanda nuova non essendo stata proposta alcuna domanda ai sensi dell’art. 2041 c.c., davanti al giudice di primo grado.

30. I ricorrenti non impugnano la prima argomentazione e contestano in maniera errata (come evidenziato con riferimento al secondo motivo) la seconda argomentazione. Inoltre le doglianze riferite alla terza argomentazione sono dedotte in violazione l’art. 366, n. 6, perchè la trascrizione dei documenti riportata alle pagine 30 e 31 del ricorso è insufficiente. In particolare, si assume che, nel caso di accoglimento della domanda revocatoria la datazione della somma di Euro 51.500 “diverrebbe del tutto indebita e dovrebbe essere restituita”. La locuzione e equivoca e non riporta le conclusioni formulate, nè in primo grado, nè in appello.

31. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione vanno integralmente compensate tra le parti in considerazione delle alterne vicende processuali.

32. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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