Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10800 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/06/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 05/06/2020), n.10800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1091-2019 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

STEFANO SALVATORE LUCIDO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 247/2018 del GIUDICE DI PACE di TRAPANI,

depositata il 06/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TEDESCO

GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

M.C. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza del giudice di pace di Trapani, che ha rigettato la propria opposizione contro ordinanza della Prefettura di Trapani, che ha disposto la confisca del proprio veicolo.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso dovesse essere accolto con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il collegio osserva che la proposta del relatore non ha considerato che, nella specie, il ricorso è stata proposto contro la sentenza del giudice di pace, che è appellabile e non direttamente ricorribile in cassazione e ciò comporta che ricorra comunque una delle ipotesi previste dall’art. 375 c.p.c., comma 1, numero 5, e perciò non occorre rimettere la causa alla pubblica udienza della sezione semplice, agli effetti dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3. “In tema di giudizio di cassazione, anche dopo le novità introdotte nell’art. 380-bis c.p.c. dal D.L. n. 168 del 2016, conv., con modif., dalla L. n. 197 del 2016, il procedimento può essere definito con rito camerale ove ricorra un’ipotesi diversa da quella opinata nella proposta del relatore, atteso che la detta disposizione stabilisce che la Corte deve rimettere la causa alla pubblica udienza soltanto se ritiene che non ricorrano le ipotesi previste dall’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5.” (Cass. n. 7605/2017).

Il ricorso è inammissibile.

Occorre infatti rilevare che, per effetto delle modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 26 alla L. n. 689 del 1981, art. 23 avverso le sentenze pubblicate dopo il 2 marzo 2006 nei procedimenti iniziati ai sensi della citata disposizione, il rimedio proponibile è l’appello (Cass., S.U., 27339/2008; n. 16868/2017; n. 19050/2017).

Occorre altresì chiarire che il presente procedimento è iniziato dinnanzi al Giudice di pace di Trapani dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, che ha abrogato il citato art. 23 e ha disposto, all’art. 6, comma 1, che “le controversie previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22 (opposizione ad ordinanza-ingiunzione), sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo”.

E’ vero che il D.Lgs. n. 150 del 2011 non contiene una specifica disposizione nel senso dell’appellabilità delle sentenze emesse nei giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione, e tuttavia, per effetto della previsione dell’applicabilità, alle suddette controversie, del rito del lavoro, non è dubitabile che le sentenze di primo grado siano tuttora appellabili e non ricorribili per cassazione.

Il medesimo decreto legislativo, art. 2, infatti, dispone, al comma 1, che “nelle controversie disciplinate dal Capo 2 (rubricato Delle controversie regolate dal rito del lavoro), non si applicano, salvo che siano espressamente richiamati, l’art. 413 c.p.c., art. 415 c.p.c., comma 7, artt. 417, 417-bis e 420-bis c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 3, Artt. 425, 426 e 427 c.p.c., art. 429 c.p.c., comma 3, art. 431 c.p.c., dal comma 1 al comma 4 e comma 6, art. 433 c.p.c., art. 438 c.p.c., comma 2, e art. 439 c.p.c.”; il che comporta che alle medesime controversie siano invece applicabili le disposizioni del codice di rito concernenti la disciplina dell’appello, ad eccezione di quelle di cui all’art. 433 c.p.c., concernente la individuazione del “giudice d’appello”, all’art. 438 c.p.c., comma 2, contenente il rinvio all’art. 431 c.p.c., in tema di esecutorietà della sentenza, e all’art. 439 c.p.c., concernente il cambiamento del rito in appello (Cass. n. 10369/2014; n. 20984/2013).

In conclusione, il rimedio proponibile avverso la sentenza qui impugnata era l’appello e non il ricorso per cassazione.

Dunque, il ricorso (diversamente dalla proposta) deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso; dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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