Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 108 del 07/01/2020

Cassazione civile sez. I, 07/01/2020, (ud. 27/06/2019, dep. 07/01/2020), n.108

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21176/2018 proposto da:

A.B., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Oddone Rosa, giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via Dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 30/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/06/2019 dal Consigliere Dott. VELLA PAOLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Torino ha rigettato il ricorso proposto dalla cittadina nigeriana A.B., di etnia isham e religione cristiana, per ottenere lo status di rifugiato, ovvero la protezione umanitaria o quella umanitaria, in quanto costretta a lasciare il suo Paese (Benin City) per timore di essere uccisa come il proprio padre.

2. Il rigetto è stato fondato sulla mancata deduzione di elementi concreti a supporto delle domande spiegate, tenuto conto anche dell’insussistenza di uno stato di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno nella zona di provenienza (in base alle COI acquisite: sito del Ministero degli esteri, Rapporti di Amnesty international 2015-2016-2017 e Relazioni EASO 2017) e dell’assenza di un “serio motivo umanitario”.

3. Avverso detta decisione la richiedente ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui il Ministero ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), “o comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, in relazione al fatto che la Nigeria non sarebbe attraversata da violenza indiscriminata e da conflitto armato, poichè in realtà il contrario risulterebbe dallo stesso sito del Ministero degli esteri ((OMISSIS)) e dalle analisi condotte dalla giurisprudenza.

5. Anche il secondo mezzo lamenta la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, per avere il tribunale omesso di valutare la condizione di vulnerabilità della ricorrente che, “tornando nel suo Paese si troverebbe immessa nuovamente nel rischio derivante dalle sue vicende di vita, gravide di rischio e di violenza”.

6. Entrambi i motivi sono affetti da inammissibilità perchè del tutto generici, afferenti questioni di merito e contenenti censure motivazionali difformi dal paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (come riformulato ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis), il quale contempla l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, ai cui fini il ricorrente è onerato di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 07/04/2014 n. 8503; conf., ex plurimis, Cass. 29/10/2018 n. 27415).

7. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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