Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10790 del 04/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 04/05/2010, (ud. 19/02/2010, dep. 04/05/2010), n.10790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3601-2009 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO

30, presso lo studio dell’avvocato CAMICI GIAMMARIA, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli Avvocati

LANZETTA ELISABETTA, GUGLIELMO TITA, giusta mandato speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 19015/2008 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA del 14/05/08, depositata il 10/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. GIOVANNI MAMMONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

La Corte d’appello di Torino, confermando la sentenza di primo grado appellata dall’Inps, riconosceva il diritto del dipendente di detto Istituto S.G., cessato dal servizio, alla riliquidazione del trattamento di quiescenza (indennità di buonuscita) e del trattamento pensionistico integrativo con il computo anche dell’indennità di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 15, comma 2, e dell’assegno di garanzia della retribuzione, successivamente denominato salario di professionalità.

L’inps ricorreva per cassazione e l’impugnazione con sentenza 10.7.08 n. 19015 era accolta parzialmente, e cioè solo relativamente alla questione afferente all’indennità di buonuscita, con conseguente pronuncia nel merito di rigetto della relativa domanda.

Il lavoratore proponeva ricorso per revocazione deducendo la sussistenza di un errore di fatto rilevante ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, consistente nell’omessa considerazione del fatto che l’Inps in sede di memoria ex art. 378 c.p.c. aveva desistito dai motivi di ricorso relativi proprio alla buonuscita.

L’Inps resisteva con controricorso, chiedendo che il ricorso fosse dichiarato inammissibile o rigettato.

Il consigliere relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c. che è stata comunicata al Procuratore generale ed è stata notificata ai procuratori costituiti.

Il ricorrente ha depositato memoria.

A fondamento del ricorso, si espone che l’Inps nella memoria depositata in cancelleria ex art. 378 c.p.c., dopo avere richiamato e considerato i precedenti della Cassazione con cui si era riconosciuta la computabilità ai fini dell’indennità di buonuscita di tutti gli emolumenti non connessi al raggiungimento di un risultato, aveva affermato “di non dover più insistere su tale aspetto della controversia” e aveva concluso l’atto difensivo con la seguente proposizione “si insiste” (parole queste in carattere maiuscolo e poste al centro di una riga) “per il parziale accoglimento del ricorso e il consequenziale annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui riconosce computabili ai fini della pensione integrativa, indennità di funzione L. n. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2 ed assegno di garanzia della retribuzione (già denominato salario di professionalita)”.

Quanto allo svolgimento del processo si ricorda ancora che nella propria memoria ex art. 378 c.p.c. il resistente Pellegrini avevano insistito per la reiezione in toto del ricorso dell’Inps e che all’udienza di discussione i difensori delle parti si erano richiamati agli atti di causa ed in particolare alle conclusioni, domande ed osservazioni di cui alle memorie ex art. 378 c.p.c..

Il ricorso per revocazione è inammissibile.

L’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza di cassazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391 bis c.p.c., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al giudizio di detta Corte (gli atti del giudizio di legittimità), concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità. L’errore revocatorio, inoltre, non solo non deve cadere su questione in tale sede controversa, ma anche in genere non è configurarle quando la decisione della Corte sia conseguenza di una valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, asseritamente errata, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. n. 10.5.06 n. 10807, 18.5.06 n. 11657, 23.5.06 n. 12154, 27.3.07 n. 7469, 22.6.07 n. 14608, 26.2.08 n. 5076, 25.6.08 n. 17443; S.u.

30.10.08 n. 26022).

Nella specie deve escludersi la postulabilità di un errore avente il carattere dell’evidenza e desumibile sulla base del mero raffronto tra decisione ed effettive risultanze degli atti di causa. Dalla stessa esposizione dei fatti di cui al ricorso si evince infatti che non intervenne una formale dichiarazione di rinuncia dell’Inps ad una parte dei motivi di ricorso. In effetti si era in presenza della mera affermazione dei difensori dell’Inps di “insistere” solo relativamente ad una parte del ricorso, stante la giurisprudenza sfavorevole all’Istituto intervenuta sulle altre questioni poste dal ricorso stesso. Si tratta di un tipo di enunciazione che, quantunque eventualmente suscettibile anche di una interpretazione di tipo estensivo, è compatibile con un’interpretazione di maggiore rigore e aderente al suo contenuto obiettivo, tale da attribuire alla stessa un valore solo sul piano dell’illustrazione delle problematiche poste dalla causa e della perorazione difensiva, che è quello tipico e connaturale delle memorie difensive ed anche della discussione orale.

Del resto si afferma nel ricorso per revocazione che nella memoria del controricorrente si era concluso per il totale rigetto del ricorso dell’Inps e che nella discussione orale la difesa delle medesime parti si era richiamata ai propri scritti difensivi, sicchè neanche il controricorrente aveva attribuito valore decisivo al tenore della memoria dell’Inps.

Deve escludersi, comunque, anche la concreta rilevanza dell’ipotizzato errore, consistente nella mancata consapevolezza da parte dei giudicanti della rinunzia dell’Inps ad una parte del ricorso. E’ vero che appare ormai prevalente l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la rinuncia ad alcuno soltanto dei motivi del ricorso per cassazione può essere formulata dal difensore anche se munito di semplice procura per il giudizio (Cass. 3.2.88 n. 1046, 5.1.95 n. 155, 25.2.95 n. 2196, 18.4.98 n. 3949, 23.10.03 n. 15962, contro Cass. 12.5.79 n. 2745, 8.2.88 n. 1341, 6.5.97 n. 3941, 6.2.98 n. 1295, 9.3.98 n. 2585, 14.4.99 n. 3667). Deve, però, osservarsi che le sentenze espressione di tale orientamento appaiono prevalentemente far riferimento all’ipotesi di un concorso di motivi idonei ciascuno a determinare la cassazione della sentenza (o del capo in contestazione), onde il rilievo delle stesse sentenze che viene in discussione una scelta tecnica diretta alla più opportuna difesa della parte, che l’impugnazione resta sorretta da altri motivi, e non vi è alcuna disposizione del diritto (v. in particolare le sentenze 2196/95 e 15962/03 cit.). Nella specie, invece, l’asserita rinuncia avrebbe implicato l’abbandono totale dell’impugnazione con riguardo ad una parte autonoma della decisione, con acquiescenza alla statuizione di merito relativamente a determinate pretese delle controparti.

Nè la sentenza di questa Corte n. 5.1.95 n. 155, richiamata nella memoria, aveva ad oggetto una fattispecie sovrapponibile a quella ora all’esame, poichè in quel caso il difensore della parte aveva espressamente dichiarato nella memoria difensiva di desistere dalla richiesta di accoglimento di un determinato motivo e conseguentemente la Corte – pur sempre peraltro procedendo ad un’interpretazione e valutazione dell’atto – aveva ritenuto che fosse ravvisabile una inequivocabile volontà di rinunciare al motivo di censura.

Può concludersi che viene chiesto, nella presente sede revocatoria, di procedersi a una nuova e diversa interpretazione e valutazione delle difese svolte dall’Inps nel giudizio di legittimità, ma ciò, in base ai già riportati principi di diritto, non è possibile e quindi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio seguono soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio che liquida in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro 2.000 (duemila) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2010

 

 

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