Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1079 del 20/01/2020

Cassazione civile sez. II, 20/01/2020, (ud. 08/04/2019, dep. 20/01/2020), n.1079

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19107/2015 R.G. proposto da:

B.G.P., in proprio e quale erede di G.E.,

rappresentato e difeso dall’avv. Gian Paolo Manno, elettivamente

domiciliato in Roma, via Tommaso D’Aquino, n. 83, presso lo studio

dell’avv. Tommaso Longo;

– ricorrente –

contro

S.F., rappresentato e difeso dall’avv. Valentino Giuseppe

Rapazzo, con studio legale in Roma, via XX Settembre, n. 3, presso

il quale elegge domicilio;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 453/2015,

depositata in data 31/03/2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 aprile

2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– il Tribunale di Genova, con sentenza dell’8.2.2010, rigettava la domanda proposta da Progetto Casa s.r.l., in persona del procuratore speciale S.F. (ora Ditta individuale S.F.), di condanna al pagamento del saldo del corrispettivo dei lavori di ristrutturazione dalla stessa impresa effettuati su alcuni beni immobili di proprietà di B.G.P. e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, dichiarava risolto il contratto di appalto stipulato tra le parti per il grave inadempimento dell’impresa appaltatrice consistito nella sostituzione della struttura portante del tetto in legno con una metallica, in violazione del Piano Regolatore Generale del Comune. Il giudice di primo grado condannava, quindi, la Progetto Casa s.r.l. alla restituzione, in favore del B., della somma di Euro 1.631,66, oltre al risarcimento del danno quantificato in Euro 21.558,57;

– a seguito di appello interposto dallo S., la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 453/2015, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosceva in favore dell’Impresa appaltatrice un credito residuo pari a Euro 3.353,22, escluso quanto al committente il danno rapportato al costo di demolizione del tetto. A fondamento della sentenza il giudice del gravame poneva la considerazione secondo cui, dall’esame degli atti introduttivi, emergeva che la contestazione circa l’inutilizzabilità delle opere realizzate dalla Progetto Casa s.r.l. e, in particolare, il rifacimento del tetto, era stata sollevata dal B. solo in sede di CTU e, dunque, tardivamente e in tal senso venivano definite le posizioni di dare ed avere delle parti;

– per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Genova ha proposto ricorso il B. sulla base di due motivi;

– l’intimato S. ha resistito con controricorso contenente anche ricorso incidentale, fondato su unico motivo;

– entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente principale denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto tardiva l’eccezione di inutilizzabilità della copertura realizzata dalla Ditta S.. A detta del ricorrente, l’eccezione era stata sollevata dal B. sin dalla comparsa di costituzione depositata il 19.01.2006 e doveva, dunque, ritenersi tempestiva.

Con il secondo motivo il ricorrente principale lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame “circa un fatto controverso e decisivo del giudizio”, per non avere la Corte di merito motivato in ordine all’inadempimento da parte dell’impresa appaltatrice quanto al rifacimento del tetto in violazione del Piano Regolatore Generale, in palese contrasto con il progetto predisposto dalla stessa impresa appaltatrice.

I due motivi – che vanno trattati congiuntamente, avendo entrambi ad oggetto la questione della difformità del tetto rispetto alle disposizioni del Piano Regolatore Generale – meritano accoglimento. In via preliminare si deve osservare che entrambe le censure evocano il paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 al di fuori dei limiti che nella ricostruzione del suo significato, sono stati individuati da Cass. Sez. Un. nn. 8053 e 8054 del 2014. Con la conseguenza che i mezzi, quali esplicitati in concreto, devono essere ri-qualificati, secondo il principio di diritto che “L’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato” (ex multis, Cass. 27 ottobre 2017 n. 25557).

All’uopo è dirimente la contraddizione che si ravvisa nella circostanza che si imputa alla sentenza impugnata non di avere omesso l’esame di un fatto, bensì, come è scritto specificamente nell’ultima parte della pagina 4 del ricorso, che “nella comparsa di costituzione e risposta 19 gennaio 2006, a pag. 9, riga 3 e segg., la difesa dell’ing. B. annotava: “per tali motivi i pannelli della casa padronale non sono più in grado di assolvere alla loro funzione, nè riparazione alcuna potrebbe ripristinare la loro originaria funzionalità””.

In tal modo – una volta rilevato che prima di tale assunto si enuncia che la sentenza impugnata ha dato luogo ad un grave errore “derivante dalla mancata lettura degli atti di causa” – il motivo non deduce un vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, cioè l’omesso esame di un fatto principale o secondario, ma, all’evidenza, un vizio di violazione di legge ovvero di norma processuale dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, atteso che, inerendo il motivo di appello alla domanda sottesa alla proposizione dell’appello, il preteso omesso esame degli atti di causa integrava appunto vizio di violazione di legge ovvero un error in procedendo.

Tanto chiarito, la sentenza gravata ha accertato che l’impresa appaltatrice aveva, in corso d’opera, sostituito la struttura in legno del tetto con altra in metallo e che tale soluzione non era consentita dal Piano Regolatore Generale del Comune.

A fronte del rilievo di tale difformità nell’esecuzione dei lavori rispetto alle prescrizioni dello strumento urbanistico comunale, la Corte ha poi evidenziato che tale vizio non era esaminabile in quanto non dedotto dal committente negli atti introduttivi, nei quali lo stesso si lamentava del solo erroneo posizionamento dei pannelli del tetto. Ora, quando con il ricorso per cassazione venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali si basa il ricorso medesimo, indipendentemente dall’eventuale sufficienza e logicità della motivazione adottata in proposito dal giudice di merito, atteso che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale.

In proposito va condiviso il principio da ultimo ribadito da Cass. n. 20716 del 2018 proprio in tema di vizio di omessa pronuncia, anche sulla scia di Cass. Sez. Un. 8077 del 2012 (contra, Cass. n. 11828 del 2014, che però non affronta i principi di fondo affermati dalla Cass. Sez. Un. 8077 cit. sui poteri di questa S.C. come giudice anche – del fatto processuale in tema di accertamento della validità degli atti e, a maggior ragione, della loro interpretazione finalizzata proprio alla verifica dell’esistenza o meno dell’error in procedendo denunciato).

Riaffermato, dunque, che spetta al giudice di legittimità, a fronte della denuncia di un error in procedendo, accertare il tenore degli atti processuali, nel caso di specie dalla lettura della comparsa di costituzione e risposta, datata 19 gennaio 2006, risulta che già in detto atto il ricorrente aveva denunziato i vizi relativi al rifacimento del tetto, facendo espressamente riferimento al fatto che il materiale utilizzato dalla ditta appaltatrice fosse il metallo (pag. 8 e 9 della comparsa) e chiarendo che “la copertura del tetto” dovesse essere “completamente rifatta” (pag. 13 della comparsa).

Ciò comporta l’erroneità della pronuncia impugnata sul punto per avere ritenuto che nella comparsa di costituzione in primo grado non erano stati denunciati dal committente i vizi inerenti alla sostituzione della struttura in legno del tetto.

Per completezza argomentativa, si ribadisce che sussiste mutatio libelli quando la parte introduca nel processo un tema di indagine e, quindi, di decisione, completamente nuovo perchè fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio, tali da disorientare la difesa predisposta dalla controparte e da alterare, pertanto, il regolare svolgimento del contraddittorio (cfr. Cass. n. 1286 del 1980 e Cass. n. 1585 del 2015).

In questi termini la circostanza che il B. abbia dapprima giustificato la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto di appalto in considerazione – tra l’altro – dell’inidoneità della copertura del tetto a svolgere la funzione che le è propria e, poi, all’esito della c.t.u., l’abbia ancorata, in guisa puntuale, alla non conformità del tetto rispetto alle disposizioni del Piano Regolatore Generale del Comune, di certo non è valsa ad introdurre in giudizio un tema di indagine del tutto nuovo ovvero fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prefigurati nell’atto introduttivo.

Non era, infatti, necessario da parte del committente una denuncia, fin dalla comparsa di costituzione e risposta in primo grado, specifica ed analitica delle difformità e dei vizi dell’opera, tale da consentire l’individuazione di ogni anomalia di quest’ultima, essendo, per converso, sufficiente una pur sintetica indicazione delle difformità suscettibile di conservare l’azione di risoluzione anche con riferimento a quei difetti accertabili, nella loro reale sussistenza, solo in un momento successivo e, dunque, all’esito della consulenza, essendo stato dal committente dedotto fin dalla comparsa in primo grado che la copertura del tetto dovesse essere completamente rifatta.

D’altra parte, come è noto, il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (Cass. n. 26159 del 2014 e Cass. n. 28203 del 2018);

– passando all’esame del ricorso incidentale, con l’unico motivo il ricorrente incidentale denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte di merito riconosciuto, in favore del B., una voce di danno da quest’ultimo non provata. A detta del ricorrente incidentale, la Corte di merito avrebbe liquidato un danno pari a Euro 16.781,34 per la “Riprogettazione secondo tariffa professionale, riempimento e somme per attività propedeutica alla progettazione, in applicazione alle tariffe professionali”, in mancanza di alcuna documentazione in atti che attestasse una spesa del B. volta alla progettazione di dette opere.

Il motivo è inammissibile.

Come più volte ribadito da questa Corte (da ultimo, Cass. n. 30566 del 2018) la proposizione di censure non pertinenti rispetto al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possano rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, giacchè il requisito di specificità implica la necessaria riferibilità alla decisione di cui si chiede la cassazione, non essendo ammissibili nel giudizio di legittimità doglianze non aventi specifica attinenza alle ragioni che sorreggono la sentenza sottoposta ad impugnazione.

Nella specie, la Corte di merito ha rigettato il motivo di appello relativo al danno liquidato in Euro 16.781,34 riconosciuto al B. in relazione all’inidoneità del calcestruzzo utilizzato per le vasche, sulla base del rilievo che la ditta appaltatrice non aveva contestato nè le modalità di calcolo del danno secondo le tariffe nè la congruità della somma (v. pag. 7 della sentenza impugnata).

Orbene, il ricorrente incidentale non ha censurato l’effettiva ragione della decisione, fondata sulla mancata censura sul punto della precedente decisione, limitandosi ad affermare come non vi sia alcuna documentazione in atti che attesti l’avvenuta spesa del B. per la progettazione delle opere.

Conclusivamente, il ricorso principale va accolto, dichiarato inammissibile quello incidentale.

La sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Genova che procederà all’esame dei vizi denunciati dal committente alla luce dei principi sopra illustrati.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, a norma dell’art. 385 c.p.c., u.p..

Poichè il ricorso incidentale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

Diversamente per il ricorso principale che ha trovato accoglimento.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Genova.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte di Cassazione, il 8 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020

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