Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10786 del 16/05/2011

Cassazione civile sez. I, 16/05/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 16/05/2011), n.10786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.P., + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in Roma,

via Andrea Doria 48, presso l’avv. Abbate Ferdinando Emilio, che li

rappresenta e difende per procura in atti;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma, cron. n. 1473, in

data 29 febbraio 2008, nella cause riunite iscritte ai nn. 53833,

53834, 53835, 53839, 53841, 53843, 53844, 53845, 53846, 53847, 53848

del 2006;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9

dicembre 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;

udito, per i ricorrenti, l’avv. Roda Ranieri, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che nulla

ha osservato;

LA CORTE:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi

dell’art. 380 bis c.p.c, la seguente relazione comunicata al Pubblico

Ministero e notificata all’avvocato dei ricorrenti:

“IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

Fatto

RITENUTO IN FATTO

CHE:

1. B.P. ed altri ventotto ricorrenti hanno proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello di Roma in data 29 febbraio 2008 in materia di equa riparazione L. n. 89 del 2001, ex art. 2;

1.1. la Presidenza del Consiglio dei Ministri intimata non ha svolto difese;

OSSERVA:

2. il primo motivo appare manifestamente fondato, in quanto, risultando dal decreto impugnato che il giudizio presupposto si è svolto davanti al Tar Lazio in seguito a ricorso proposto nell’aprile 1993 ed è stato definito con sentenza pubblicata il 3 dicembre 2004, per una durata complessiva di undici anni e otto mesi, ed avendo il giudice del merito determinato in tre anni la durata ragionevole del giudizio, il periodo di durata non ragionevole avrebbe essere dovuto essere determinato in otto anni e otto mesi e non già in soli otto anni, come invece stabilito dalla Corte d’appello, in quanto la valutazione di ragionevolezza della durata deve essere compiuta sinteticamente con riferimento all’intero svolgimento dell’intero processo (Cass. 2004/3143; 2005/28864; 2006/10810) e non potendosi escludere l’equa riparazione, a titolo di danno non patrimoniale, qualora il ritardo nella definizione del processo comprenda anche periodi inferiori all’anno (Cass. 2005/19788; 2009/25973);

anche il secondo motivo appare manifestamente fondato, in quanto gli interessi sulla somma liquidata a titolo di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, vanno riconosciuti dal momento della domanda proposta dinanzi alla Corte di appello (Cass. 2003/2382; 2005/18105;

2006/8712); appare assorbito il terzo motivo relativo alla liquidazione delle spese processuali, dovendosi comunque procedere ad una nuova liquidazione delle medesime in conseguenza del prospettato accoglimento degli altri motivi;

3. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”; B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio, in relazione al primo motivo, ha rilevato la carenza di interesse all’impugnazione in capo ai ricorrenti, a ciascuno dei quali è stato comunque riconosciuto dal giudice di merito un equo indennizzo, pari ad Euro 8.000,00, superiore a quello di Euro 7.916,00 che – anche conteggiando nel termine di durata non ragionevole il periodo di otto mesi escluso dal giudice di merito per una complessiva durata non ragionevole di otto anni e otto mesi – avrebbe dovuto essere riconosciuto in base ai criteri più di recente applicati da questa Corte, in conformità ai principi fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e stabiliti nella misura di Euro 750,00 per anno di ritardo per i primi tra anni di durata non ragionevole e di Euro 1.000,00 per ciascun anno successivo (Cass. 2009/16086; 2009/21840; 2010/819);

osservato che con riferimento al secondo motivo devono condividersi le argomentazioni esposte nella relazione che precede e che pertanto, dichiarato inammissibile il primo motivo, deve essere accolto il secondo motivo, restando assorbito il terzo, con conseguente annullamento del decreto impugnato in ordine alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; che, in particolare, gli interessi legali da applicare sull’indennizzo liquidato ai ricorrenti devono essere conteggiati a decorrere dalla data della domanda e non da quella del decreto di condanna, come ritenuto dalla Corte di merito; considerato altresì che le spese del giudizio di merito e di quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352) e tenuto conto della pluralità di ricorrenti, che però nel giudizio presupposto avevano agito unitariamente (cfr. Cass. 2010/10634), con distrazione delle spese di entrambi i giudizi in favore dei difensori dei ricorrenti medesimi, dichiaratisi antistatari;

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo, assorbito il terzo.

Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, dispone che gli interessi legali da conteggiarsi sull’indennizzo liquidato in favore dei ricorrenti B.P., + ALTRI OMESSI decorrano dalla domanda.

Condanna inoltre la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 7.950,00, di cui Euro 3.000,00 per competenze ed Euro 1.450,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 3.500,00 di cui Euro 3.300,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge con distrazione, per le spese del giudizio di merito, in favore dei procuratori dei ricorrenti, avvocati Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisi antistatari, e per le spese del giudizio di cassazione in favore del difensore dei ricorrenti, avv. Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2011

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