Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1078 del 20/01/2020

Cassazione civile sez. un., 20/01/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 20/01/2020), n.1078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sezione –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23150/2019 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PIETRO VILLARI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI

CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 62/2019 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 20/06/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/12/2019 dal Consigliere ENZO VINCENTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del primo motivo

del ricorso ed accoglimento del secondo;

udito l’Avvocato Pietro Villari.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza depositata il 20 giugno 2019, la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha assolto il Dott. B.G. da una delle due incolpazioni formulate nei suoi confronti, ritenendolo responsabile dell’altra e lo ha, quindi, condannato alla sanzione disciplinare dell’ammonimento.

2. – In particolare, il Dott. B. è stato ritenuto responsabile dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. m), in relazione al D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 1 e 2, art. 4, lett. a), e b), e art. 23, “perchè in qualità di sostituto procuratore della DDA di Catanzaro, coassegnatario del procedimento penale n. 1018/2010/21 iscritto il 15 febbraio 2010 per i reati di tentato omicidio e associazione di tipo mafioso, ed unico sottoscrittore delle deleghe di indagine – con provvedimento del 20 maggio 2011 per negligenza grave ed inescusabile, autorizzava la prosecuzione da parte dei Carabinieri di (OMISSIS) di attività di videoripresa in aree del Comune di (OMISSIS), adottando un provvedimento in casi non consentiti dalla legge, poichè relativo a investigazioni svolte dopo l’archiviazione del procedimento penale (con decreto del GIP del 15.12.2010) ed in assenza di riapertura delle indagini (art. 414 c.p.p.). Con tale determinazione comprometteva il diritto alla protezione dei dati personali delle persone ritratte dalle telecamere (le cui immagini formavano oggetto di illecita raccolta e trattamento) ed esponeva l’amministrazione all’intimazione di pagamento per prestazioni riguardanti atti d’indagine inutilizzabili (servizio di noleggio di telecamere per circa 1 milione di Euro)”.

2.1. – La Sezione disciplinare, a sostegno della decisione, ha osservato che: a) la prova della responsabilità era di “di natura documentale in quanto emerge in maniera immeditata ed incontrovertibile dalla lettura del provvedimento oggetto della contestazione disciplinare”, avendo l’incolpato apposto “l’annotazione manoscritta “V si autorizza” sulla richiesta del 13.05.2011 presentata dal Comando dei Carabinieri di (OMISSIS), in tal modo ratificando integralmente il contenuto della stessa, ivi compresa la parte in cui gli organi p.g. rilevavano la necessità di procedere ad ulteriori attività di monitoraggio”; b) la circostanza che l’annotazione anzidetta “fosse stata apposta proprio accanto all’oggetto della nota riportante “Richiesta di cessazione intercettazioni video” e che la stessa nota si concludesse con le richieste di “valutare la opportunità di disporre la cessazione del servizio di intercettazione video” e “autorizzare il ritardato deposito dei supporti magnetici utilizzati” non escludeva che essa “fosse riferita anche alla ulteriore richiesta di prosecuzione delle attività captative, pure contenuta nella nota in questione, laddove nella stessa si formalizzava la necessità di proseguire il monitoraggio in alcune aree specificamente indicate, al fine di poter verificare la sussistenza di eventuali sviluppi dei traffici illeciti”; c) non era rilevante, quindi, che l’errore fosse “consistito nel limitarsi a leggere l’oggetto della nota e non il suo contenuto ovvero nell’omettere di controllare se il procedimento per il quale era avanzata la richiesta fosse ancora aperto (e in regola con i termini di indagine)”, giacchè, in ogni caso, si trattava “di una condotta che, per grave e inescusabile negligenza, determinava lo svolgimento di attività investigative illegittime, in quanto svolte dopo la definizione del procedimento ed in assenza di riapertura delle indagini ai sensi dell’art. 414 c.p.p., con pregiudizio tanto per il diritto alla protezione dei dati personali delle persone ritratte dalle telecamere quanto per i diritti patrimoniali dell’amministrazione esposta all’intimazione di pagamento per prestazioni riguardanti atti d’indagine inutilizzabili”; d) nè poteva escludere la responsabilità disciplinare dell’incolpato “l’asserito affidamento che lo stesso nutriva nei confronti della p.g. operante e che, con ogni probabilità, lo induceva a tralasciare le opportune verifiche prima di apporre l’autorizzazione”, essendo egli, con colpa grave (non dovendo necessariamente sussistere il dolo ai fini della sussistenza dell’illecito disciplinare contestato), “venuto meno ai suoi doveri fondamentali di sorvegliare diligentemente la legalità delle indagini, guidare la polizia giudiziaria come prevede il codice di rito e, quindi, prevenire il compimento di atti inutilizzabili e soprattutto di atti generatori di danno erariale”; e) quanto, infine, alla sanzione da applicare, “le circostanze addotte dalla difesa in merito al carattere ingannevole della nota della polizia giudiziaria e in merito alla mole di lavoro gravante sul magistrato in quel periodo pur se non idonee ad elidere la responsabilità dell’incolpato consent(ivano) di irrogare la sanzione minima dell’ammonimento”.

3. – Ricorre avverso tale decisione il Dott. B.G., affidando l’impugnazione a due, articolati, motivi, nonchè a successivi motivi nuovi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciato “(t)ravisamento della prova determinante; contraddittorietà e mancanza di motivazione su aspetti in fatto determinanti e tempestivamente devoluti al Giudice disciplinare”.

La Sezione disciplinare, con motivazione “assertiva”, avrebbe travisato la prova documentale erroneamente ascrivendo alla mera annotazione “V si autorizza”, apposta a margine dell’indicazione dell’oggetto della nota dei Carabinieri in data 13 maggio 2011, natura di “proroga delle attività di videosorveglianza” sulla zona ove insisteva l’esercizio commerciale “(OMISSIS)”, nonostante che l’anzidetta nota non presentasse “alcuno degli elementi essenziali e indefettibili” (ossia, “l’indicazione di un termine in scadenza”, “il periodo di tempo per cui prorogare”, “il nuovo termine finale di scadenza fino al quale prorogare”) perchè potesse ritenersi “una richiesta di proroga”, là dove, peraltro, “nè l’oggetto indicato in intestazione, nè le richieste finali indicate in conclusione” della nota presentavano “alcun cenno ad una proroga”, per cui l’inciso “relativo ad attività in corso poteva ben essere riferito ad altra indagine”.

La motivazione della sentenza impugnata sarebbe, altresì, incongrua e illogicamente contraddittoria “rispetto alle premesse di fondo e generali” che avevano portato all’assoluzione per l’altro capo di incolpazione, che si fondava sul rilievo, decisivo, che il Dott. B. aveva autorizzato “lo svolgimento dell’attività di intercettazione, secondo quanto richiesto dagli organi di PG di (OMISSIS), per un periodo di quaranta giorni”, non potendo, quindi, essergli addebitato di “aver omesso di revocare l’attività di indagine”, avendo egli agito “nella convinzione che le attività captative sarebbero terminate entro i quaranta giorni previsti dal provvedimento di autorizzazione”.

Di qui, peraltro, la violazione di legge per essere la motivazione adottata dal giudice disciplinare solo apparente, avendo mancato di confrontarsi con le argomentazioni difensive dell’incolpato e di riconoscere, quindi, la natura “di mera comunicazione di cessazione di attività e di richiesta di ritardo nel deposito dei relativi esiti” della nota dei Carabinieri e, di conseguenza, l’assenza di colpa in mancanza di un previo provvedimento legittimante la prosecuzione dell’attività di polizia giudiziaria.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.1.1. – Giova rammentare, e ribadire, il consolidato orientamento di questa Corte (Cass., S.U., 30 settembre 2014, n. 20568; Cass., S.U., 19 marzo 2019, n. 7691; Cass., S.U., 12 aprile 2019, n. 10380) secondo cui il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia effettiva e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia manifestamente illogica, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente incompatibile con altri atti del processo (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

In particolare, il vizio di omessa motivazione può essere dedotto solo quando il giudice di merito ha ingiustificatamente negato l’ingresso nella sua decisione ad un elemento di prova, risultante dagli atti processuali, dotato di efficacia scardinante dell’impianto motivazionale, non invece quando il giudice di merito ha dato, coerentemente ed esaustivamente, una valutazione degli elementi di prova diversa da quella prospettata dal ricorrente; parimenti, l’illogicità manifesta e la contraddittorietà della motivazione sussistono quando gli altri atti del processo, specificamente indicati nel gravame, inficiano radicalmente, dal punto di vista logico, l’intero apparato motivazionale e non invece quando sono stati coerentemente ed adeguatamente valutati nel provvedimento di merito, seppure in modo diverso rispetto alla tesi prospettata.

Tale orientamento giurisprudenziale trova sintesi nel principio secondo cui il ricorso avverso le decisioni della Sezione disciplinare del CSM non può essere rivolto ad un riesame dei fatti che hanno formato oggetto di accertamento e di apprezzamento da parte della Sezione stessa, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, adeguatezza e logicità della motivazione che sorregge la decisione (Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9557). E’ difatti preclusa alle Sezioni Unite la rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33683).

1.1.2. – La motivazione adottata dal giudice disciplinare (cfr. sintesi al p. 2.1. dei “Fatti di causa”, cui si rinvia integralmente) si sottrae alle censure del ricorrente, giacchè, in base ad un percorso argomentativo adeguato e intelligibile, sviluppato anche in riferimento alle difese rappresentate dall’incolpato nel corso del giudizio (e, dunque, lungi dal palesarsi soltanto come “apparente” o “assertiva”), ha posto in evidenza, senza palesare intrinseche contraddizioni o illogicità manifeste, come assumesse rilievo determinante, ai fini dell’affermazione della responsabilità disciplinare, la stessa prova documentale consistente nella nota dei Carabinieri della Stazione di (OMISSIS) del 13 maggio 2011 (cfr. anche doc. all. 1 f. ricorrente), riferita al procedimento penale n. 1018/10 (rispetto al quale non è affatto contestata la circostanza dell’intervenuta archiviazione – in data 15 dicembre 2010 – ben prima dell’anzidetta nota), alla quale il Dott. B. aveva apposto, in data 20 maggio 2011, il visto autorizzativo (“V si autorizza”): nota in cui non solo si formulava la richiesta di cessazione di intercettazioni video e di ritardato deposito dei supporti magnetici utilizzati, ma si rappresentava anche la necessità di proseguire le attività di captazione in aree ben individuate.

Sicchè, le doglianze di parte ricorrente sono inammissibilmente orientate a proporre una diversa lettura delle risultanze probatorie (calibrata sulla carenza, che esibirebbe la “nota”, dei requisiti di una effettiva proroga delle attività di intercettazione, peraltro autorizzate solo per 40 giorni) rispetto a quella fornita dal giudice disciplinare, la quale, senza incorrere nei vizi denunciati, attribuisce rilievo (al di là delle formule o dei termini utilizzati) ad una effettiva richiesta di prosecuzione di attività di videosorveglianza, espressa in una nota specifica della polizia giudiziaria (differente da quella che originariamente riguardava l’attività di indagine autorizzata per 40 giorni, oggetto dell’incolpazione per la quale vi è stata l’assoluzione), non sovrapponibile alle ulteriori richieste formulate nello stesso contesto documentale.

“(c)ontraddittorietà della motivazione e omessa valutazione di prova documentale. Mancanza di motivazione sulla gravità ed inescusabilità della colpa”.

La motivazione della sentenza impugnata sarebbe contraddittoria, anzitutto, perchè l’affermazione di responsabilità non si concilierebbe con la “ritenuta assenza totale di colpevolezza del PM nella prosecuzione delle attività oltre i quaranta giorni”; sarebbe, altresì, apparente in quanto non terrebbe conto delle circostanze di fatto emergenti dagli atti (“la nota dei c.c. non è una proroga e vi è un contesto fraudolento che muove l’azione dei CC”), nè esplicita le ragioni della ritenuta gravità ed inescusabilità dell’elemento soggettivo dell’illecito.

In ogni caso, la contraddittorietà e illogicità della motivazione emergerebbe dal fatto che in essa, da un lato, si riconosce “che la nota dei CC… aveva un contenuto capzioso, strumentalmente mimetico e diretto ad ottenere un esito diverso (proroga attività) da quello pur esplicitamente richiesto (ritardato deposito atti)”, ossia che fosse “ingannevole”, mentre, dall’altro, si ritiene comunque sussistente la colpa grave ed inescusabile.

Il giudice disciplinare avrebbe, inoltre, omesso di valutare una prova documentale decisiva – ossia il decreto che dispone il giudizio del Luogotenente dei Carabinieri, “autore della nota in argomento”, per effettuazione di intercettazioni ambientali all’interno del locale (OMISSIS) senza autorizzazione giudiziaria – che dimostrerebbe il “carattere subdolo” della nota dei c.c. su cui l’incolpato aveva apposto la dicitura “V si autorizza”, nonchè il “disegno illecito” del suo autore, da cui l’intento “ingannevole” volto “a sorprendere l’affidamento del PM nella Polizia Giudiziaria”, che sino a quelle momento “non v’era ragione di ritenere mal riposto”.

Ciò sarebbe ulteriormente confermato – come messo in rilievo con i “motivi nuovi” successivamente proposti dal ricorrente – dalla prova documentale (non considerata dalla Sezione disciplinare) consistente nelle missive datate 9 e 20 luglio 2010, che l’incolpato aveva inviato ai Carabinieri di (OMISSIS), “Nucleo investigativo, gerarchicamente sovraordinato alla Stazione di (OMISSIS)”, con le quali “aveva richiesto dapprima notizie sull’esito delle indagini e poi il deposito di tutti gli atti”, ciò comprovando il “convincimento che anche le videosorveglianze, che dovevano avere durata di 40 soli giorni, fossero state regolarmente chiuse”.

Ne deriverebbe, quindi, un difetto di tenuta razionale della motivazione della sentenza impugnata, che, a fronte delle circostanze innanzi evidenziate (alle quali si deve aggiungere anche “il rilevante carico di lavoro del PM”, pur considerato dal giudice disciplinare, ma solo ai fini di graduazione della sanzione), avrebbe dovuto considerare necessario “l’impiego di una diligenza, non minima e ordinariamente esigibile, ma straordinaria e rafforzata, inevitabilmente mossa dal pregiudizio di un possibile intento ingannevole della polizia giudiziaria”, fino ad allora mostratasi del tutto affidabile.

2.1. – Il motivo è fondato per quanto di ragione.

Sono, infatti, da disattendere, per le ragioni già innanzi indicate, i profili di censura che ripropongono i temi difensivi legati alla natura, o meno, di proroga della nota in data 13 maggio 2011 e alla correlazione della stessa nota con l’originaria, e diversa, autorizzazione di attività di captazione per soli 40 giorni, mentre colgono nel segno le doglianze che criticano la motivazione della sentenza impugnata in punto di valutazione sull’elemento soggettivo dell’illecito e, segnatamente, sul requisito della negligenza inescusabile che deve connotare la condotta.

2.1.1. – L’illecito previsto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. m), riguarda “l’adozione di provvedimenti adottati nei casi non consentiti dalla legge, per negligenza grave e inescusabile, che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali”, caratterizzandosi, quindi, per la sussistenza sufficiente, ma necessaria ai fini dell’integrazione della fattispecie di illecito disciplinare -, dell’elemento psicologico della colpa grave (Cass., S.U., 9 novembre 2009, n. 23668).

L’adozione di provvedimenti illegittimi, determinanti la lesione di diritti personali o patrimoniali (in quest’ultimo caso in modo rilevante), deve realizzarsi in forza di una condotta gravemente negligente e inescusabile, là dove la gravità delle negligenza si correla, piuttosto, al profilo oggettivo della violazione di legge commessa, mentre il profilo della inescusabilità mette in campo situazioni variegate, siccome idonee a giustificare concretamente la negligenza in forza di un apprezzamento rimesso alla discrezionalità valutativa del giudice disciplinare e che ben possono riguardare sia aspetti direttamente inerenti al provvedimento da adottare (ad es. la peculiarità o difficoltà del caso), sia aspetti che toccano la sfera (personale o di ufficio) del magistrato.

2.1.2. – La Sezione disciplinare ha ritenuto che “le circostanze addotte dalla difesa in merito al carattere ingannevole della nota della polizia giudiziaria e in merito alla mole di lavoro gravante sul magistrato in quel periodo pur se non idonee ad elidere la responsabilità dell’incolpato consent(ivano) di irrogare la sanzione minima dell’ammonimento”.

Pertanto, il giudice disciplinare, anzitutto, ha ritenuto come fatti accertati in forza del suo apprezzamento il carattere “ingannevole” della nota datata 13 maggio 2011, nonchè il rilevante carico di lavoro del pubblico ministero in quel periodo.

Lo stesso giudice ha, quindi, circoscritto la valenza di detti elementi sul piano della graduazione della sanzione, escludendo che potessero incidere sull’affermazione di responsabilità disciplinare dell’incolpato, senza, tuttavia, farsi carico di raccordare e conciliare logicamente tale assunto con la portata propria degli elementi stessi, integranti circostanze che, oggettivamente considerate, sono suscettibili di rendere scusabile una condotta pur gravemente negligente, poichè idonee a sviare (segnatamente, il carattere ingannevole della nota) dal comportamento doverosamente richiesto o a renderlo, in quella particolare contingenza, inesigibile (la mole di lavoro).

In definitiva, la Sezione disciplinare, pur avendo adottato una motivazione in punto di gravità della negligenza connotante l’adottato provvedimento di autorizzazione a quanto richiesto (ulteriormente) con la nota del 13 maggio 2011, palesando di ritenerla sufficiente ed adeguata anche ai fini del giudizio sulla relativa inescusabilità, ha poi, illogicamente e in modo intrinsecamente contraddittorio rispetto a tale giudizio, dato rilievo a circostanze idonee (potenzialmente, ma oggettivamente) a rendere concretamente scusabile la condotta di negligenza grave esclusivamente sul piano della sanzione irrogabile, omettendo, altresì, di giustificare una siffatta circoscritta valutazione.

3. – Deve, quindi, essere dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso ed accolto, per quanto di ragione, il secondo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Sezione disciplinare del C.S.M., in diversa composizione, che dovrà provvedere a delibare, alla luce dei principi e rilievi innanzi esposti, la sussistenza, o meno, della inescusabilità della condotta gravemente negligente realizzata dall’incolpato con l’adozione del provvedimento autorizzativo del 20 maggio 2001.

PQM

dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo motivo per quanto di ragione;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Sezione disciplinare del C.S.M., in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020

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