Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10775 del 03/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 03/05/2017, (ud. 23/02/2017, dep.03/05/2017),  n. 10775

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4156-2016 proposto da:

MA.CA. SRL, in persona del legale rappresentante, nonchè il Sig.

M.C., elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio

dell’avvocato MASSIMILIANO MARSILI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALESSANDRO PACE giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante, DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO DI

BOLOGNA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 205/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 02/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2017 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 2 febbraio 2015, la Corte di Appello di Bologna confermava la decisione del primo giudice di rigetto dell’opposizione proposta da M.C. – in proprio e quale legale rappresentante della MA.CA. s.r.l. – avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 215/2004 emessa dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Bologna, per un importo di Euro 44.059,71, relativa all’omessa comunicazione nei termini di legge dell’assunzione di 35 lavoratori sprovvisti del prescritto libretto di lavoro, alla mancata consegna ai suddetti dipendenti all’atto dell’assunzione della dichiarazione L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 9 bis ed all’atto della corresponsione della retribuzione del prescritto prospetto paga;

che la Corte territoriale, per quello che ancora rileva in questa sede, reputava la sanzione applicata nel massimo dall’ordinanza -ingiunzione opposta – relativa all’assunzione al lavoro di oltre 5 dipendenti sprovvisti del prescritto libretto di lavoro – congrua, “considerati i criteri di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 11trattandosi di violazione sicuramente grave considerato il numero, assai elevato (35), dei lavoratori assunti senza il rispetto della vigente normativa”; del pari, riteneva congrue le altre sanzioni concernenti le ulteriori violazioni contestati essendo state applicate nella misura di circa un terzo di quelle massime; precisava, quindi, che non poteva valere a ridurre l’entità delle sanzioni la scelta del Legislatore di non considerare più sanzionabili alcune delle condotte contestate, come pure il fatto che la MA.CA. aveva preferito violazione le norme in questione pur di non mettere a rischio l’adempimento degli obblighi assunti nei confronti dell’ente appaltante;

che per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso il M. e dalla MA.CA. s.r.l. affidato ad un unico articolato motivo cui il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali resiste con controricorso;

che è stata depositata la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 198, art. 11 nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) assumendosi che l’Amministrazione aveva errato nel determinare le sanzioni moltiplicando l’importo previsto per ciascuna violazione per il numero dei lavoratori, omettendo l’applicazione del disposto della L. n. 689 del 1981, art. 8 che imponeva – trattandosi di violazione di norme di legge in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie – di calcolare l’ammontare della sanzione sulla scorta di quella prevista per la violazione più grave aumentata fino al triplo; in altri termini, la Corte di appello avrebbe dovuto applicare l’istituto della continuazione visto che le violazioni contestate alla MA.CA. ed al M. non potevano che essere ritenute espressione di un “medesimo disegno” essendo state poste in essere nell’ambito del subentro della MA.CA. s.r.l. nell’appalto per lo svolgimento del servizio di pulizia presso i locali della Prefettura di Bologna e concernevano la materia della previdenza ed assistenza obbligatorie; si evidenzia, inoltre, che la motivazione sulla cui scorta erano state ritenute congrue le sanzioni applicate era del tutto apodittica e non aveva tenuto in alcun conto degli specifici elementi addotti dagli opponenti ed in forza dei quali si doveva procedere ad una diversa determinazione degli importi dovuti alla luce dei criteri indicati dalla L. n. 689 del 1981, art. 11 (la gravità della violazione e l’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione);

che il motivo è infondato nella prima parte ed inammissibile nella seconda;

che vale ricordare come – contrariamente a quanto sostenuto nel motivo – la materia del collocamento al lavoro certamente è estranea all’ambito della materia previdenziale e assistenziale, cosicchè, alle violazioni amministrative ad essa inerenti, non è applicabile la L. n. 689 del 1981, art. 8, comma 2, nel testo di cui al D.L. 2 dicembre 1985, n. 688, art. 1 sexies (convertito, con modifiche, dalla L. 31 gennaio 1986, n. 11), che ha introdotto l’istituto della continuazione con riguardo ad una pluralità di violazioni amministrative – della stessa o di diverse norme di legge – in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, poste in essere, anche in tempi diversi, in esecuzione di un medesimo disegno;

che, quanto allo stesso art. 8, comma 1 esso prevede l’unificazione della sanzione per le sole violazioni commesse con un’unica azione od omissione (concorso formale di illeciti) e non anche quando la pluralità delle violazioni si riconduce a condotte distinte (concorso materiale di illeciti), rendendo, quindi, irrilevante che le più azioni od omissioni siano commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso;

che, in merito, la giurisprudenza della Corte è assolutamente pacifica nel senso che la previsione relativa all’istituto del cosiddetto “cumulo giuridico” tra sanzioni nella sola ipotesi di concorso formale (omogeneo od eterogeneo) tra le violazioni contestate – per le sole ipotesi, cioè, di violazioni plurime, ma commesse con un’unica azione od omissione – non è suscettibile di essere estesa alla diversa ipotesi del concorso materiale – di concorso, cioè, tra violazioni commesse con più azioni od omissioni -, senza che possa, ritenersi applicabile a tale ultima ipotesi, in via analogica, la normativa dettata dall’art. 81 c.p. in tema di continuazione tra reati, sia perchè il citato art. 8 prevede espressamente tale possibilità soltanto per le violazioni in materia di previdenza ed assistenza (con conseguente evidenza dell’intento del legislatore di non estendere la disciplina del cumulo giuridico agli altri illeciti amministrativi), sia perchè la differenza morfologica tra illecito penale e illecito amministrativo non consente che, attraverso un procedimento di integrazione analogica, le norme di favore previste in materia penale vengano estese alla materia degli illeciti amministrativi (cfr. Cass. n. 29691 del 29/12.2011; Cass. n. 12974 del 21/05/2008; Cass. n. 4435 del 28/02/2006; Cass. n. 16699 del 26/11/2002);

che la seconda parte il motivo è inammissibile, come detto, in quanto – pur con una intitolazione conforme al testo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) convertito in L. n. 134 del 2012 – in realtà, finisce col criticare la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile (si veda Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione); l’omesso esame, invero, deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria) e tuttavia il riferimento al fatto secondario non implica – e la citata sentenza n. 8053 delle S.U. lo precisa chiaramente – che possa denunciarsi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti; orbene, nel caso in esame ciò che viene denunciato è la omessa valutazione dei criteri indicati dalla L. n. 689 del 1981, art. 11 in relazione alle allegazioni del ricorrente e non l’omesso esame di fatti nella accezione sopra indicata sicchè il motivo finisce con il segnalare elementi diversi da quelli presi in considerazione della Corte di appello nella valutazione della congruità delle sanzioni e con il sollecitare un inammissibile riesame del merito;

che, per quanto esposto il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio liquidate in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2017

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