Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10773 del 03/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 03/05/2017, (ud. 23/02/2017, dep.03/05/2017),  n. 10773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14916-2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati GAETANO DE RUVO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati DANIELA ANZIANO e

SAMUELA PISCHEDDA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INTESA SAN PAOLO SPA, C.f. (OMISSIS), derivante della fusione per

incorporazione della SAN PAOLO IMI SPA E BANCA INTESA SPA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, L.G0 DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio

dell’avvocato DARIO MARTELLA, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FRANCO ZANETTA, MASSIMILIANO BIANCHI, GINO

CAVALLI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 450/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 04/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2017 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che Intesa Sanpaolo s.p.a. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Novara con il quale l’INPS aveva chiesto il pagamento della somma di Euro 363.378,88 a titolo di mancato riaccredito di ratei di pensione erogati dopo la morte dei beneficiari relativamente agli anni 1998 – 2008;

che l’adito giudice accoglieva parzialmente l’opposizione condannando l’istituto di credito al pagamento in favore dell’INPS della somma di Euro 170.849,27, decisione questa riformata dalla Corte di Appello di Torino, con sentenza del 4 giugno 2014, che, in parziale accoglimento del gravame proposto da Intesa Sanpaolo, condannava quest’ultima al pagamento della minor somma di Euro 2.389,14 oltre interessi;

che la Corte territoriale rilevava che, secondo gli artt. 2 e 6 della Convenzione stipulata dall’INPS con l’istituto di credito, incombeva sull’INPS l’onere di fornire la prova rigorosa della tempestività della comunicazione del decesso del pensionato e, quindi, della data d’interruzione del pagamento, mettendo la banca in condizione di potere bloccare a sua volta l’accredito in favore del defunto, oppure, in alternativa, di dimostrare come ed in quale data l’istituto di credito fosse venuta a conoscenza aliunde del decesso; quindi, riteneva che solo con riferimento a tre posizioni il pagamento dei ratei era avvenuto dopo la conoscenza dell’avvenuto decesso da parte della banca e per l’importo sopra indicato;

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’INPS affidato ad un unico articolato motivo cui resiste con controricorso Intesa Sanpaolo s.p.a.;

che è stata depositata la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale in relazione agli artt. 1362 c.c. e ss. nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione ad un punto decisivo del giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere la Corte di appello interpretato gli artt. 2 e 6 della Convenzione sottoscritta dall’INPS con gli istituti di credito discostandosi dalle regole di ermeneutica contrattuale in quanto dalla lettura combinata del contenuto di detti articoli risultava evidente come la banca fosse tenuta a rifondere all’INPS le somme che risultavano accreditate dopo la data di decorrenza di eliminazione della pensione e ciò a prescindere dal fatto che fosse o meno a conoscenza del decesso del pensionato sottolineandosi che la ratio di tale disposizione contrattuale era da rinvenire nella necessità di garantire l’equilibrio delle posizioni dei contraenti perchè, se da un lato, in forza della convenzione, le banche hanno l’opportunità di accedere ad un più vasto bacino di clientela oltre a lucrare il compenso per l’incarico di pagamento affidato, dall’altro – a fronte del vantaggio conseguito dagli istituti di credito – l’INPS riceve il beneficio della “assicurazione” con riguardo al recupero dei pagamenti indebiti; tale censura viene articolata anche sotto il profilo della motivazione insufficiente essendo stata omessa una valutazione complessiva dell’intero contenuto contrattuale;

che la prima parte del motivo è infondata e la seconda inammissibile; che, infatti, non ricorre la dedotta violazione delle regole di ermeneutica contrattuale alla luce dei principi affermati da questa Corte secondo cui in tema di interpretazione del contratto -operazione questa riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale – ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa; il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va poi verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al rispettivo coordinamento a norma dell’art. 1363 c.c. e con riguardo a tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni parte e parola che la compone, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (Cass. n. 9755 del 04/05/2011; Cass. n. 4670 del 26/02/2009; Cass. n. 4176 del 22/02/2007; Cass. n. 28479 del 22/12/2005);

che, nel caso in esame, non si è verificata alcuna violazione di tali criteri in quanto la Corte di appello ha correttamente interpretato gli artt. 2 e 6 della Convenzione sulla scorta del loro chiaro tenore letterale (l’art. 2 prevede che …In ogni caso la Banca è tenuta, indipendentemente dalle vicende della incapienza o dalla chiusura del conto corrente interessato, a rifondere all’INPS le somme che risultino accreditate dopo la data di decorrenza di eliminazione della pensione così come previsto dall’art. 6, punto 2, lett. c);…”; l’art. 6, punto 2 lett. c) stabilisce che “…la banca è tenuta di propria iniziativa o su richiesta, di norma per via telematica, da parte dell’INPS; c) a rifondere all’INPS le somme che risultino accreditate dopo la data di morte del pensionato, resa nota dalla sede INPS od a conoscenza della Banca stessa, nel conto corrente sul libretto di deposito a risparmio del pensionato deceduto) ed il cui combinato disposto non lascia spazio ad una interpretazione diversa da quella adottata nella impugnata sentenza;

che quanto alla seconda parte del motivo la stessa è inammissibile alla luce dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) convertito in L. n. 134 del 12 ed applicabile “ratione temporis”) nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte (SU n. 8053 del 7 aprile 2014) finendo con il criticare la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile (si veda Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione);

che, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.200,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2017

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