Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10768 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. I, 05/06/2020, (ud. 08/01/2020, dep. 05/06/2020), n.10768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 18604/2018 proposto da:

SIC Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Frascati 10, presso

lo studio dell’avvocato Michele Marella, che la rappresenta e

difende, in forza di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.V.; Comune di Bisceglie; D.C.V.;

D.L.A., D.L.I.T. nella qualità di eredi di

D.L.F.; D.L.L.; D.L.M.; D.N.M.;

D.P.; L.A.M.; M.R.;

M.F.; P.M.A.; Pe.Lu.; R.D.

nella qualità di erede di Mo.Ma.Pi.; V.F. e

V.N. nella qualità di eredi di Lo.Ro.;

– intimati –

nonchè da

Comune Di Bisceglie, in persona del Vice Sindaco facente funzioni di

Sindaco pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Egidio Pignatelli in forza di procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.V.;

– intimato –

nonchè da

D.L.A., D.L.I.T. nella qualità di eredi di

D.L.F., D.L.L., D.L.M.,

D.N.M., D.P., L.A.M., elettivamente

domiciliati in Roma Via B. Tortolini 30 presso lo Studio Placidi e

rappresentati e difesi dagli avvocati Antonio Belsito e Ernesto

Pensato, in forza di procura speciale in calce al controricorso;

– ricorrenti –

contro

D.C.V.; M.R.; M.R.

P.M.A.; Pe.Lu.; R.D. nella qualità di

erede di Mo.Ma.Pi.; SIC Immobiliare s.r.l.;

V.F. e V.N. nella qualità di eredi di Lo.Ro.;

– intimati –

e contro

T.V., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Pasteur 5,

presso lo studio dell’avvocato Enrico Giannubilo e rappresentato e

difeso dall’avvocato Biagio Lorusso, in forza di procura speciale su

foglio separato allegato ai tre distinti controricorsi;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 700/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 17/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/01/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI;

uditi gli Avvocati MICHELE MARELLA, BIAGIO LORUSSO ed EGIDIO

PIGNATELLI, quest’ultimo anche per delega degli Avvocati ANTONIO

BELSITO E ERNESTO PENSATO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione notificato il 7/12/2005 T.V. convenne in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Bari il Consorzio Maggiore Calò e il Comune di Bisceglie per ivi sentirli condannare in solido al pagamento dell’indennità di espropriazione del suo immobile sito in (OMISSIS), foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS), in seguito a procedura promossa ad iniziativa del Consorzio Maggiore Calò nell’ambito della realizzazione di un programma di riabilitazione urbana ai sensi della L. n. 166 del 2002, art. 27, comma 5.

Si costituirono in giudizio entrambi i convenuti.

Il Comune di Bisceglie eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva. Il Consorzio Calò chiese il rigetto della domanda, ritenendo congrua l’indennità offerta al T., nonostante la mancata detrazione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria di cui alla convenzione del 22/7/2004 e l’intervento di adeguata permuta.

La Corte di appello di Bari, con sentenza del 28/7/2009, affermò preliminarmente la carenza di legittimazione passiva del Comune di Bisceglie, chiamato in giudizio solo per aver emesso il decreto di espropriazione, e diede atto delle conclusioni a cui era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio, che aveva determinato in Euro 378.652,20 il valore del bene.

Considerati infondati i rilievi mossi all’elaborato peritale, ritenendo congrua la percentuale di permuta indicata dal Consulente tecnico nella misura del 40 %, la Corte distrettuale osservò, quanto al valore di mercato del bene, che nessun documento era stato prodotto dall’attore a sostegno della tesi secondo cui i locali ad uso commerciale avrebbero avuto un valore superiore a quello stimato.

La Corte di appello ritenne invece condivisibili le critiche proposte dal Consorzio, fondate sulla circostanza della non completa appartenenza del bene al T., in quanto dagli stessi titoli allegati alla consulenza di parte emergeva che il lastrico solare non era di sua proprietà, perchè non era menzionato nell’atto pubblico di donazione in suo favore stipulato in data 28/10/1987 e risultava oggetto di separato acquisto, nell’anno 1992, da parte della SIC Immobiliare, a cui l’aveva alienato una certa D.C.V., già proprietaria degli appartamenti al primo piano, al cui esclusivo servizio detto terrazzo era posto. Inoltre dalla documentazione prodotta dal Consorzio risultava l’inesistenza di collegamenti fra il terrazzo e l’unità immobiliare appartenente all’attore.

Tenuto conto di tale aspetto, la Corte barese ritenne di poter ragionevolmente determinare, sulla base di un valore del terrazzo pari alla metà della stima complessiva effettuata dal consulente tecnico d’ufficio, l’indennità di espropriazione in Euro 189.326,10.

2. Per la cassazione di tale decisione propose ricorso T.V., affidato a quattro motivi, a cui il Consorzio resistette con controricorso.

Con la sentenza n. 11869 del 9/6/2016 la Corte di Cassazione accolse il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassò la sentenza impugnata e rinviò, anche per le spese, alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione.

La Corte di Cassazione ritenne tardiva e inutilizzabile la documentazione prodotta dal Consorzio dopo la precisazione delle conclusioni; sostenne l’applicabilità della presunzione di appartenenza del lastrico solare al proprietario dell’edificio; osservò non vi era alcun bisogno di menzionare nel titolo di provenienza del fabbricato anche una delle sue parti essenziali, come il lastrico solare; aggiunse che la facoltà di sciorinare altrove il bucato, in tale titolo attribuita, ben si raccordava con l’impossibilità di accesso al lastrico suddetto, senza necessariamente implicare la sua appartenenza a terzi, che non poteva considerarsi provata neppure attraverso il riferimento a un atto di cessione intervenuto nell’anno 1992 inter alios, che ben poteva stato effettuato a non domino; precisò che non essendo stato accertato o affermato che il lastrico avesse una rilevanza autonoma sotto il profilo catastale (dovendosi, anzi, presumere il contrario) nell’ambito del giudizio di espropriazione le risultanze delle mappe catastali erano idonee a indirizzare l’intera procedura espropriativa nei confronti di colui che in esse era indicato come titolare del fondo, mentre i principi generali posti dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 48 e 55, comportanti il divieto di condanna dell’espropriante al pagamento diretto, con conseguente deposito delle somme presso la Cassa depositi e prestiti, rispondevano a precise esigenze di tutela del pubblico interesse, proprio per salvaguardare eventuali diritti vantati dai terzi sull’indennità, e per non esporre l’espropriante ad eventuali azioni di recupero per pagamenti indebiti.

3. T.V. ha riassunto il giudizio nei confronti del Comune di Bisceglie, del Consorzio Calò e – risultando questo ormai cessato – anche nei confronti dei consorziati e loro eredi.

Si è costituito un primo gruppo di consorziati, e cioè L.A.M., D.N.M., D.V.P. e cDi Liddo Pasquale ,.e.l.t.d.r.i.d.d.c.a.d.s.d.C.d.C.l.p.d.C.d.C.n.c.d.s.o.c.e.l.p.q.d.o.p.n.l.c.

A.d.s.s.s.a.d.c.S.I.s.c.h.a.d.l.n.d.o.p.p.a.p.p.p.i.C.u.d.n.i.a.d.a.e.h.s.c.n.e.p.l.r.c.d.t.

I.C.d.B.h.o.i.g.i.s.s.d.d.l.p.e.h.e.l.t.d.r.e.i.d.d.c.a.d.s.d.C.d.C.

S.s.c.v.g.d.c.

Di.Li.Al., D.L.M., D.L.I.T., quali eredi di D.L.F., hanno eccepito la nullità della loro chiamata in difetto di autorizzazione, la carenza di legittimazione passiva dei consorziati, negando la propria specifica legittimazione passiva in ragione della vendita eseguita dal loro dante causa a SIC Immobiliare nell’ottobre 2003, prima del decreto di esproprio, tanto da individuare tale soggetto, anche in forza di specifica scrittura del 30/10/2003 come unico obbligato in loro vece.

L.A.M., D.N.M., D.V.P. e D.L.L. hanno eccepito la tardività della riassunzione, il difetto di copia autentica della sentenza della Cassazione, la pronuncia della Cassazione nei confronti di soggetto giuridico, il Consorzio, ormai cessato e la prescrizione quinquennale di ogni pretesa nei loro confronti.

Sic Immobiliare ha svolto analoghe eccezioni e ha pure eccepito la nullità delle operazioni peritali del primo giudizio.

D.C.V. e P.M.A. hanno eccepito di non essere consorziati.

Sono invece rimasti contumaci Mo.Ma.Pi., Pe.Lu., M.R., M.F., V.F. e V.N., citati anch’essi come consorziati nonchè lo stesso Consorzio Maggiore Calò.

Con sentenza del 17/4/2018, la Corte di appello di Bari, disattese tutte le eccezioni preliminari di rito e di merito, ha accolto la domanda di T.V., accertando il suo diritto all’indennità di esproprio nella misura di Euro 378.652,20; ha conseguentemente ordinato al Consorzio, “e per esso ai Consorziati”, di procedere al deposito di tale somma presso la Cassa Depositi e Prestiti, detratto quanto eventualmente già versato con gli interessi legali sulla differenza; ha confermato il passaggio in giudicato dell’accertamento del difetto di legittimazione passiva del Comune di Bisceglie; ha condannato il Consorzio e i consorziati alla rifusione delle spese di tutti i gradi di giudizio in favore del T. nonchè ha posto a loro carico gli oneri della consulenza tecnica d’ufficio; ha compensato le spese fra T. e Comune.

3. Avverso la predetta sentenza del 17/4/2018, notificata in data 23/4/2018, hanno proposto ricorso per cassazione il Comune di Bisceglie con atto notificato il 21/6/2018, svolgendo unico motivo; L.A.M., D.N.M., D.V.P. e D.L.L., D.L.A., D.L.M., D.L.I.T., quali eredi di D.L.F. (di seguito, semplicemente, L. e altri), con atto notificato il 21/6/2018, svolgendo sette motivi; SIC Immobiliare con atto notificato il 18/6/2018, svolgendo cinque motivi.

Con tre distinti atti notificati il 16/7/2018 ha proposto controricorso T.V., chiedendo il rigetto delle avversarie impugnazioni e, quanto ai ricorsi dei consorziati, la preliminare integrazione del contraddittorio nei confronti del Consorzio Calò. Tutte le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

4. Con l’unico motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente Comune di Bisceglie denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 91,92 e 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè degli artt. 24 e 11 Cost., nonchè omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Il Comune ricorrente osserva che pur se la causa era stata introdotta il 7/12/2005, e quindi prima dell’entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 263 del 2005, il provvedimento di compensazione delle spese richiedeva comunque un adeguato supporto motivazionale, se non altro desumibile dal complesso della motivazione, ove invece non se ne trovava traccia alcuna, benchè la Corte barese avesse puntualmente confermato l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, quanto al difetto di legittimazione passiva del Comune di Bisceglie.

5. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente SIC Immobiliare denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2612 c.c. e segg. e art. 2082 c.c..

La ricorrente sostiene che la Corte di appello, disattese le diverse impostazioni che scorgevano nel Consorzio una società di capitali o di persone, ovvero una associazione non riconosciuta, lo ha qualificato come consorzio con rilevanza esterna ex art. 2615 c.c., comma 2, in tal modo violando il consolidato orientamento che qualifica i consorzi volontari di urbanizzazione/lottizzazione come enti di diritto privato assimilabili alle associazioni non riconosciute e indebitamente sussumendo la fattispecie nei consorzi fra imprenditori per lo scambio di beni e servizi, tanto più che la sentenza aveva escluso fra gli associati il perseguimento di un fine di lucro.

Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente SIC denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 36 c.c. e sostiene che poichè delle obbligazioni contratte dall’associazione rispondevano sia il fondo comune dell’associazione, sia il patrimonio di chi aveva agito per suo conto, quali soggetto garante ex lege e pertanto assoggettato alle regole in tema di fideiussione, la mancata notifica introduttiva del giudizio rescindente ai singoli consorziati per successione aveva determinato insanabili cadute sul piano della decadenza e prescrizione anche nei confronti di chi rivestiva la responsabilità rappresentativa e gestoria del Consorzio.

Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente SIC denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 101 e 102 c.p.c., art. 91 c.p.c. e artt. 24 e 111 Cost.. L’estinzione del Consorzio, se poteva essere ininfluente nell’ambito del giudizio rescindente, imponeva invece che il giudizio rescissorio fosse instaurato verso i singoli soci, cosa che però era avvenuta tardivamente. Inoltre la perdurante ultrattività del mandato difensivo conferito al difensore non valeva per il giudizio di cassazione, ove è necessaria una procura speciale successiva: ciò aveva determinato la giuridica inesistenza del rapporto processuale, determinata dal vizio di notifica del ricorso per cassazione e della procura speciale conferita al difensore dal rappresentante dell’ente estinto.

Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente SIC denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 383 c.p.c. e segg.. La ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello non avrebbe svolto verifiche catastali, che erano state oggetto di prescrizione da parte della sentenza rescindente (“previa verifica nel rispetto delle preclusioni già verificatesi, anche sotto il profilo catastale, del bene più volte sopra indicato”) e si era semplicemente basata su di un raffronto fra le contrapposte relazioni tecniche di parte.

Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente Immobiliare SIC denuncia violazione di legge in relazione all’art. 394 c.p.c. e si lamenta che il Giudice del rinvio abbia consentito, valutato e utilizzato l’inammissibile e non permessa produzione di una scrittura del 30/10/2003 di pretesa manleva a carico della SIC, che era stata disconosciuta.

6. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti L. ed altri denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 75,82,83,100, 299 e 300 c.p.c. e artt. 38,1957, 2613 c.c. e segg., artt. 2949 e 2495 c.c., violazione del principio del contraddittorio e omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

I ricorrenti osservano che il Consorzio Maggiore Calò si era estinto già in data 29/3/2010, dopo il regolare svolgimento del giudizio di primo grado e durante la pendenza del termine lungo per impugnare, ben prima quindi della notifica in data 16/9/2010 del ricorso per cassazione, ed era quindi inammissibile la sua costituzione avvenuta nel giudizio di legittimità; ciò avrebbe dovuto comportare la declaratoria di improduttività degli effetti della sentenza della Corte di Cassazione, resa nei confronti di un soggetto estinto e tempestivamente eccepita dai consorziati interessati.

Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 112 e 161 c.p.c., nonchè nullità della sentenza per vizio di motivazione.

I ricorrenti colgono nella sentenza impugnata il vizio di ultra o extra-petizione perchè il T., nel riassumere il giudizio, aveva dedotto la responsabilità dei consorziati ex art. 2909 c.c. e 111 c.p.c., quali aventi causa del Consorzio estinto il 29/3/2010, ma non aveva fatto valere una loro responsabilità diretta ex art. 2615 c.c., comma 2, invece ravvisata dalla Corte di appello.

Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti denunciano insanabile contraddizione fra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza e osservano che, ove si volesse scorgere nel dispositivo e nella statuizione ivi contenuta, rivolta ai Consorziati, dell’ordine di deposito delle somme a titolo di indennità di esproprio, in sostituzione del Consorzio, un riferimento alla vicenda successoria, allora si verrebbe a delineare un insanabile contrasto fra la motivazione, imperniata sulla loro responsabilità diretta, e il dispositivo.

In via alternativa e/o subordinata, con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione dei principi regolatori del giusto processo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, error in iudicando o error in iudicando de iure procedendi, nullità della sentenza e violazione del giusto processo. La decisione, a loro dire, era comunque viziata per l’adozione di una sentenza cosiddetta della “terza via” da parte della Corte di appello, in violazione delle regole del giusto processo.

Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2615 c.c., comma 2 e la mancata applicazione degli artt. 36, 38 e 1759 c.c., errores in iudicando e nullità della sentenza. Il Consorzio, avente finalità di realizzazione di un piano di edilizia sostitutiva, anche se con rilevanza esterna, non doveva essere ricondotto alla fattispecie dell’art. 2615 c.c., ma a quella dell’associazione non riconosciuta ex art. 38 c.c.; ne scaturiva la responsabilità solidale delle persone che avevano agito a nome e per conto dell’associazione, azione comunque non imputabile a nessuno dei consorziati; tale responsabilità possedeva natura sostanzialmente fideiussoria ed era pertanto soggetta alla relativa disciplina fra cui quella della decadenza ex art. 1957 c.c..

Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1372 c.c., sulla opponibilità a Sic Immobiliare della scrittura privata del 30/10/2003 tra quest’ultima e i consorziati; violazione dell’art. 112 c.p.c., omesso esame di un punto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5. I ricorrenti si riferiscono alla mancata opponibilità della predetta scrittura del 30/10/2003 a SIC Immobiliare e alla violazione del principio di correlazione fra domanda e pronuncia perchè la Corte di appello aveva considerato tale scrittura non nei riguardi della SIC, nei cui riguardi avevano inteso farla valere i consorziati, ma nei confronti del T., ritenendola ininfluente.

Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, I ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 383 e 384 c.p.c. e omessa motivazione su di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, nullità della sentenza e errores in iudicando. La Corte di appello non si sarebbe conformata al principio di rinvio che le aveva imposto di verificare la riferibilità del decreto di esproprio anche sotto il profilo catastale al bene sopra indicato e non aveva disposto la necessaria consulenza tecnica.

7. In linea preliminare la Corte deve esaminare l’eccezione di difetto di integrità del contraddittorio proposta dal controricorrente T..

7.1. Il controricorrente insiste per l’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti del Consorzio Maggiore Calò, già convenuto nel giudizio di opposizione alla determinazione dell’indennità di espropriazione e controinteressato nel primo giudizio svoltosi dinanzi a questa Corte di Cassazione, citato dinanzi al Giudice del rinvio, del quale il T. assume la persistente “vivenza” pur dopo l’apparente cancellazione in data 29/3/2010, senza preventiva liquidazione, dal Registro delle Imprese della CCIAA di Bari.

Si oppongono i ricorrenti L. ed altri, che anzi sostengono la nullità della pronuncia del giudice del rinvio e della stessa sentenza rescindente di questa Corte perchè emesse nei confronti di un soggetto ormai estinto; si oppone altresì la ricorrente Immobiliare SIC, sostenendo l’applicabilità al Consorzio della normativa in tema di associazioni non riconosciute e non di quelle in materia societaria e in tema di consorzi fra imprese con attività esterna.

7.2. I ricorsi non sono stati notificati al Consorzio Maggiore Calò in persona dell’ultimo legale rappresentante Saverio Sciancalepore (persona fisica che è l’attuale legale rappresentante della consorziata ricorrente Immobiliare SIC).

Il Consorzio era parte nel giudizio di primo grado, definito dalla Corte di appello di Bari con la sentenza del 28/7/2009; in data 29/3/2010, mentre pendeva il termine per proporre ricorso per cassazione, venne iscritta al Registro delle imprese la dichiarazione di estinzione del Consorzio, senza preventiva messa in liquidazione; il T. propose ricorso per cassazione; pur dopo la pretesa estinzione si costituì con procura speciale il Consorzio, difendendosi nel merito; con la sentenza n. 11869 del 2016 la Cassazione cassò con rinvio la sentenza impugnata; il T. riassunse sia nei confronti del Consorzio (ritenuto tuttora “in vita” per aver svolto svariate attività), sia nei confronti dei consorziati; il Consorzio non si costituì nel giudizio di rinvio e venne ritenuto contumace (sentenza impugnata, epigrafe, pag.1); la sentenza n. 700 del 17/4/2018 della Corte di appello di Bari, qui impugnata, è stata pronunciata anche nei suoi confronti e “per esso” dei Consorziati.

T. sostiene preliminarmente che il litisconsorzio non è integro; secondo Immobiliare SIC, vi sarebbe un vizio nel giudizio rescindente o almeno nel giudizio rescissorio; analogamente i consorziati L. e altri sostengono la nullità della sentenza di cassazione perchè pronunciata nei confronti del Consorzio estinto.

7.3. La questione preliminare si collega ad altre due questioni che attengono al contenuto delle doglianze dei ricorrenti, intimamente connesse: la prima è inerente alla disputata qualificazione giuridica del Consorzio, ritenuto dalla Corte barese un consorzio con attività esterna ex art. 2615 c.c. e dai ricorrenti una associazione non riconosciuta; la seconda è inerente al vizio di ultrapetizione (ovvero di contraddittorietà tra motivazione e dispositivo) a proposito del titolo in base al quale è stata pronunciata la condanna nei confronti dei consorziati (successione in universum jus ovvero responsabilità personale solidale e concorrente).

7.4. Ai fini della richiesta di integrazione del contraddittorio, questa Corte deve delibare, sia pur in sede ordinatoria, la questione della natura giuridica del Consorzio in questione e, correlativamente e consequenzialmente, degli effetti giuridici conseguiti alla sua cancellazione, senza liquidazione, dal Registro delle imprese.

A tal riguardo la Corte dubita dell’opinione espressa dal Procuratore generale in sede di discussione orale, volta ad avallare la configurazione adottata dalla Corte territoriale.

7.5. La giurisprudenza di questa Corte è infatti orientata a scorgere nei consorzi fra proprietari di immobili in materia edilizia e urbanistica una figura atipica, caratterizzata da una connotazione di realità, retta primariamente dagli accordi degli associati e, per quanto non previsto da tali accordi, dalla disciplina delle associazioni non riconosciute.

E’ stato così ancora recentemente affermato che i consorzi di urbanizzazione, quali aggregazioni di persone fisiche o giuridiche preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi, sono figure atipiche, nelle quali i connotati delle associazioni si coniugano con un forte profilo di realità, disciplinate principalmente dagli accordi tra le parti espressi nello statuto e, solo sussidiariamente, dalla normativa in tema di associazioni non riconosciute e di comunione (Sez. 6-1, n. 25394 del 09/10/2019, Rv. 655418-01; Sez. 1, n. 9568 del 13/04/2017, Rv. 643730-01; Sez. 1, n. 7427 del 14/05/2012, Rv. 622372-01).

7.6. La Corte di Cassazione, qualora venga dedotto un error in procedendo, è giudice anche del “fatto processuale” e può esercitare il potere-dovere di esame diretto degli atti, purchè compiutamente indicati, non essendo legittimata a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Sez. L, n. 20924 del 05/08/2019, Rv. 654799-01; Sez. U, n. 20181 del 25/07/2019, Rv. 654876-01).

7.7. Nella fattispecie, come risulta anche dal prodotto atto costitutivo, l’Ente in questione era stato costituito in forma di consorzio con attività esterna, senza scopo di lucro, ex lege 1 agosto 2002, n. 166, art. 27, comma 5, con la finalità di realizzare un piano attuativo di edilizia sostitutiva all’interno di una maglia del PRG del Comune di Bisceglie, caratterizzata da evidente degrado, scaturente da uno studio di lottizzazione approvato dal Comune, con la facoltà di compiere tutte le operazioni e svolgere tutte le attività connesse al raggiungimento degli scopi previsti dalla norma citata, compresa la facoltà di operare espropriazioni, avvalendosi di organizzazione appositamente predisposta.

7.8. La L. 1 agosto 2002, n. 166, art. 27, concerne i programmi di riabilitazione urbana promossi dagli enti locali, di intesa con gli enti e le amministrazioni competenti sulle opere e sull’assetto del territorio, riguardanti interventi di demolizione e ricostruzione di edifici e delle relative attrezzature e spazi di servizio, finalizzati alla riqualificazione di porzioni urbane caratterizzate da degrado fisico, economico e sociale, nel rispetto della normativa in materia di tutela storica, paesaggistico-ambientale e dei beni culturali, mediante opere che costituiscono i programmi possono essere cofinanziate da risorse private, rese disponibili dai soggetti interessati dalle trasformazioni urbane.

L’art. 27, comma 5, per quanto qui rileva, prevede che il concorso dei proprietari rappresentanti la maggioranza assoluta del valore degli immobili in base all’imponibile catastale, ricompresi nel piano attuativo, è sufficiente a costituire il consorzio ai fini della presentazione al comune delle proposte di realizzazione dell’intervento e del relativo schema di convenzione. Successivamente il sindaco, assegnando un termine di novanta giorni, diffida i proprietari che non abbiano aderito alla formazione del consorzio ad attuare le indicazioni del predetto piano attuativo sottoscrivendo la convenzione presentata. Decorso infruttuosamente il termine assegnato, il consorzio consegue la piena disponibilità degli immobili ed è abilitato a promuovere l’avvio della procedura espropriativa a proprio favore delle aree e delle costruzioni dei proprietari non aderenti.

7.9. Il ricordato consolidato indirizzo sulla natura dei consorzi di urbanizzazione non consente di ritenere applicabili alla fattispecie le norme sui consorzi, sia pure a rilevanza esterna, che comunque rappresentano una species di quelli disciplinati dalla Sezione I, del Capo II, del Titolo X del Libro V del codice civile, e quindi sono costituiti da imprenditori ex artt. 2602 c.c. e segg..

Nella fattispecie è poi da scartare che i consorziati abbiano inteso costituire una società consortile ex art. 2615-ter, (cui si applicherebbero sicuramente l’art. 2615 c.c., comma 2 e l’art. 2495 c.c.), cosa esclusa sia dalla Corte di appello, sia dall’esame diretto dell’atto costitutivo ut supra.

L’avvenuta iscrizione del Consorzio in questione al Registro delle imprese non possiede alcuna funzione costitutiva, sicchè allo stesso modo la cancellazione non esercita efficacia estintiva.

7.10. E’ pur vero che in passato questa Corte ha ritenuto applicabile il principio stabilito dell’art. 2495 c.c., comma 2, nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 6 del 2003, a norma del quale la cancellazione dal registro delle imprese determina l’estinzione della società anche al cospetto di rapporti non definiti, anche con riguardo alla cancellazione di un consorzio con attività esterna cancellato dal registro delle imprese (Sez. lav., 18/09/2007, n. 19347): si trattava tuttavia di un consorzio fra società e quindi fra imprese.

7.11. Non trovano pertanto applicazione nella fattispecie i principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte, a Sezioni Unite nelle sentenze gemelle del 12/3/2013 n. 6070, 6071 e 6072, secondo cui la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio; pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 c.p.c. e segg., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; qualora l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso; ove una società si estingua a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, i diritti e i beni si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa; i soci rispondono dei debiti nei limiti della responsabilità per essi prevista pendente societate, senza che l’attribuzione di una somma in sede di liquidazione possa costituire condizione della successione.

7.11. La Corte ritiene quindi che si debba preliminarmente procedere alla richiesta integrazione del contraddittorio nei confronti del Consorzio, sia perchè la sentenza impugnata è stata pronunciata (anche) nei suoi confronti, nella consapevolezza della dichiarazione di estinzione, sia perchè il controricorrente T. sostiene che la presunzione di estinzione era superata dalle “prove di esistenza successiva in vita” del Consorzio cancellato, prima fra tutte la sua costituzione nel giudizio di legittimità con procura speciale postuma all’estinzione, sia e soprattutto per la ritenuta applicabilità delle norme in tema di associazioni non riconosciute.

7.12. A tal riguardo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, lo scioglimento di un’associazione non riconosciuta, verificatosi nelle more del giudizio, non ne determina l’automatica perdita della capacità di stare in giudizio permanendo in vita l’associazione, quale centro di imputazione di effetti giuridici in relazione a tutti i rapporti ad essa facenti capo e non ancora esauriti (c.d. principio di “ultrattività” dell’associazione disciolta) tramite i precedenti titolari degli organi esponenziali in carica alla data di scioglimento, operanti in regime di prorogatio (Sez. 3, 27/11/2018, n. 30606; Sez. 2 21/05/2018, n. 12528, in motivazione; Sez. 1, 26/07/2016, n. 15417; Sez. lav., 07/07/1987, n. 5925; Sez. 1, 19/08/1992, n. 9656).

7.13. Alla luce di quanto esposto la Corte ritiene che debba essere integrato il contraddittorio con il Consorzio Maggiore Calò e che di conseguenza la causa debba essere rinviata a nuovo ruolo.

P.Q.M.

La Corte:

ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Consorzio Maggiore Calò e dispone il rinvio a nuovo ruolo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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