Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10756 del 16/05/2011

Cassazione civile sez. II, 16/05/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 16/05/2011), n.10756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. Est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.S. (OMISSIS) residente in (OMISSIS),

rappresentato e difeso per procura a margine del ricorso

dall’Avvocato Marano Eugenio, elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’Avvocato Carla Gentili in Roma, via Cola di Rienzo n. 44;

– ricorrente –

contro

B.G. (OMISSIS) residente in (OMISSIS)

rappresentata e difesa per procura a margine del controricorso

dall’Avvocato Patanè Ausilioabramo, elettivamente domiciliata presso

la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 791 della Corte di appello di Catania,

depositata il 10 settembre 2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

aprile 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

Udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.S., premesso di avere avanzato proposta irrevocabile di acquisto di un immobile di proprietà di B.G. così descritto “attico monovano + servizi + terrazza (30 mq) a livello sito nello stabile condominiale di via (OMISSIS)” per il prezzo di L. 68.000.000 e di avere poi accertato, dopo che tale proposta era stata accettata, che il bene era iscritto al catasto come “vano lavanderia” ed era privo del certificato di abitabilità, convenne dinanzi al tribunale di Catania B.G. chiedendo che il contratto fosse risolto per inadempimento della convenuta e che questa fosse condannata al pagamento della somma di L. 10.000.000, pari al doppio della caparra versata.

La convenuta, costituitasi in giudizio, chiese, a sua volta, che fosse accertata la legittimità del suo recesso dal contratto stante il mancato esito della diffida ad adempiere inviata alla controparte, con riconoscimento del suo diritto a ritenere la caparra ricevuta.

Il tribunale adito accolse la domanda dell’attore ma, investita del gravame, la Corte di appello di Catania, con sentenza n. 791 del 10 settembre 2004, in riforma di tale pronuncia, rigettò la domanda del R. ed accolse quella riconvenzionale della convenuta, affermando che da nessun elemento del contratto risultava che il bene compromesso dovesse avere una destinazione abitativa, non potendo ciò in particolare dedursi dalla sua qualificazione come attico, atteso che tale termine sta ad indicare non già una porzione di immobile ad uso abitativo, ma più semplicemente, “il piano costruito sopra la cornice di coronamento di un fabbricato”. Ne consegue che il bene effettivo, sia pure privo di requisiti di abitabilità, coincideva con quello descritto e voluto dalle parti nel preliminare e che, avendo il R. rifiutato di concludere il contratto definitivo, egli doveva considerarsi inadempiente e l’altra parte aveva diritto a ritenere la caparra ricevuta.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato 19 ottobre 2005, ricorre, affidandosi ad un solo motivo, R.S..

Resiste con controricorso B.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’unico motivo di ricorso denunzia “Violazione dell’art. 1460 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, censurando l’affermazione della sentenza impugnata in ordine alla coincidenza tra la descrizione dell’immobile fatta nella proposta di acquisto e quanto risulta dalla documentazione amministrativa dello stesso. In particolare, il giudice territoriale ha errato in tale suo giudizio in quanto non ha considerato che il bene, catastalmente, è descritto come “vano lavanderia e ripostiglio”, che non vi è dubbio che le parti, anche in ragione del prezzo pattuito, avessero inteso riferirsi ad esso come appartamento da destinare ad uso abitativo e che il termine ” attico “, nell’uso corrente del mercato immobiliare, ha il significato di appartamento posto all’ultimo piano per uso abitativo. Il motivo è manifestamente fondato.

La Corte territoriale ha motivato la propria conclusione circa l’irrilevanza del fatto che il bene compromesso fosse privo dei requisiti di abitabilità sul rilievo che la destinazione abitativa dell’immobile non era stata espressamente prevista dai contraenti nè essa poteva desumersi dal termine “attico” dagli stessi usato per la descrizione del bene in contratto, atteso che tale termine non contiene alcuna connotazione in proposito, stando ad indicare, più semplicemente, “il piano costruito sopra la cornice di coronamento di un fabbricato”.

Questo ragionamento non può essere condiviso e l’errore è facilmente individuabile nel fatto che esso accoglie e fa propria un’accezione neutra del termine “attico”, propria della architettura, ignorando del tutto, invece, che esso, nel linguaggio comune ed in quello proprio del campo delle compravendite immobiliari, ha l’inequivoco significato di indicare l’appartamento posto all’ultimo piano dell’edificio, cioè l’unità abitativa di maggior pregio dell’edificio, in quanto posta al piano più elevato, e giammai un lavatoio o un vano lavanderia. La Corte di merito ha inoltre omesso di considerare, nel compiere tale apprezzamento, la misura del prezzo stabilito dalle parti, da cui pure era agevole trarre la conclusione che il bene era stato dalle stesse considerato come destinato ad uso abitativo. La sentenza va pertanto cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito mediante il rigetto dell’appello proposto dalla convenuta e la conferma della pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda del R., risultando pacifico dagli atti di causa che il bene compromesso era privo di requisiti abitativi, essendo iscritto al catasto come “vano lavanderia”, e che, pertanto, era la promittente venditrice ad essere inadempiente, atteso che il bene da trasferire era diverso da quello pattuito. Costituisce orientamento del tutto pacifico di questa Corte, infatti, che la consegna di un bene privo dei requisiti di abitabilità, laddove le parti del compromesso abbiano invece fatto riferimento all’uso abitativo, integra una vendita aliud pro alio, che legittima il promissario acquirente a chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento dell’altra parte (Cass. n. 1701 del 2009; Cass. n. 1514 del 2006).

Le spese di giudizio, comprensive di quelle del grado di appello, vanno poste, per il principio di soccombenza, a carico della controricorrente.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’appello proposto da B.G. avverso la sentenza di primo grado; condanna la contro ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 1.850,00, di cui Euro 650,00 per diritti e Euro 1.100,00 per onorari, per il giudizio di appello e in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, per il giudizio di cassazione, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2011

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