Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10752 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 22/04/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 22/04/2021), n.10752

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1162/2020 proposto da:

B.H., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DUILIO BALOCCO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE PRESSO LA PREFETTURA

DI CAGLIARI, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui

Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 3173/2019 del TRIBUNALE di

CAGLIARI, depositato il 29/10/2019 R.G.N. 5193/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/12/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto del 29.10.2019 n. 3173 il Tribunale di Cagliari, rigettando il ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, proposto avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, ha respinto le istanze volte al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, avanzate in via gradata da B.H., cittadino del (OMISSIS).

2. Il ricorrente, nato nel (OMISSIS) nel villaggio di (OMISSIS), in sintesi, aveva dichiarato di avere lasciato il suo Paese nel 2013, arrivando in Italia dopo essere stato un anno in Algeria e tre in Libia; di avere vissuto con lo zio, fratello maggiore della madre, in quanto i suoi genitori erano morti quando era molto piccolo e non li aveva mai conosciuti; di essere stato maltrattato dal suddetto zio che mandava a scuola i suoi quattro figli mentre lo costringeva a lavorare con gli animali e lo picchiava continuamente; che una volta lo zio si accorse che mancavano cinque pecore e lo picchiò ancora più duramente dicendogli che lo avrebbe ucciso, per cui scappò e, conosciuto un uomo, decise di partire; di non avere denunciato il fatto perchè era stato già segnalato alla Polizia e picchiato, a seguito di una denuncia presentata nei suoi confronti in quanto aveva fatto entrare le pecore nel terreno di un altro proprietario terriero; di lavorare attualmente come pastore a (OMISSIS).

3. Il Tribunale di Cagliari, a sostegno della propria decisione, ha ritenuto che, a prescindere dalla credibilità del racconto, non erano ravvisabili le condizioni per concedere lo status di rifugiato, nè la protezione sussidiaria: in particolare, ha ritenuto che in Niger non vi fosse una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato; inoltre, ha evidenziato che non vi erano i presupposti per concedere la protezione umanitaria.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.H. affidato a quattro motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio relativo alle circostanze della violenza subita da inquadrare in un episodio di violenza sull’infanzia tutelabile nell’ambito della protezione internazionale D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 7, comma 2, lett. f).

3. Con il secondo motivo si censura la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere il Tribunale correttamente applicato le norme del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, comma 2, lett. f) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, delle norme della Convenzione sui diritti sull’infanzia e sull’adolescenza del 1989, ratificata in Italia con la L. n. 176 del 1991, omettendo di effettuare un vaglio approfondito ed attuale del contesto sociale nigerino in tema di violenza sull’infanzia e non ricorrendo ai propri poteri istruttori officiosi.

4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere il Tribunale correttamente applicato le norme sulla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), in conformità del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 7.

5. Con il quarto motivo si eccepisce la nullità per mancanza di motivazione e per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 comma 3, per avere negato il Tribunale la protezione umanitaria senza verificare in modo conforme agli insegnamenti della Corte Suprema i parametri di vulnerabilità e l’integrazione del richiedente.

6. I motivi, che per la loro connessione logico-giuridica, possono essere trattati congiuntamente, sono fondati e vanno accolti per quanto di ragione.

7. Ritenuto credibile il racconto quanto alla situazione familiare del richiedente, il Tribunale avrebbe dovuto effettivamente valutare se fosse ravvisabile una limitazione del godimento dei diritti fondamentali per atti di violenza domestica, così intesi dall’art. 3 della Convenzione di Istanbul dell’11.5.2011, ed accertare se questi fossero tollerati dalle autorità statuali ovvero frutto di regole consuetudinarie locali: ciò al fine della sussistenza della integrazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), in termini di rischio effettivo di “danno grave” per “trattamento inumano o degradante”, attraverso i poteri istruttori di cui dispone.

8. Infatti, ai sensi dell’art. 3, lett. b), della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 27 giugno 2013, n. 77, “l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare”, sicchè, anche tenendo conto del complessivo contenuto della Convenzione (vedi: Cass. 17 maggio 2017, n. 12333), il Tribunale avrebbe dovuto esercitare i propri poteri-doveri d’indagine officiosi e di acquisizione di informazioni aggiornate specificamente sulle violenze domestiche e sulla diffusione o meno di condizioni di schiavitù subite in Niger da parte di colui che, divenuto orfano, possa essere perseguitato per motivi familiari dai propri parenti.

9. Tale accertamento, riferito a questo aspetto, non risulta essere stato compiuto dai giudici del merito di talchè le censure, relativamente a tale profilo, sono fondate.

10. La sentenza impugnata dovrà, quindi, essere cassata, in relazione ai motivi di doglianza accolti, con rinvio della causa al Tribunale di Cagliari, in diversa composizione, il quale, nel procedere a nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa il provvedimento in relazione alle censure accolte e rinvia al Tribunale di Cagliari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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