Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10750 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 22/04/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 22/04/2021), n.10750

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 672/2020 proposto da:

I.K., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LOREDANA LISO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI FOGGIA, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cu: Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1345/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 12/06/2019 R.G.N. 1702/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/12/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Bari, con la sentenza n. 1345 del 2019, ha respinto il gravame proposto da I.K., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa sede che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione territoriale, aveva negato al richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato nonchè della protezione sussidiaria ed umanitaria.

2. Il ricorrente di etnia esan e di religione cattolico-cristiana, in sintesi, aveva dichiarato di avere lasciato il suo Paese nel (OMISSIS), arrivando in Italia dopo avere attraversato la Libia; di essere stato sfruttato dallo zio che, dopo averlo prelevato, lo aveva messo a lavorare in cambio di vitto e alloggio; che alle sue richieste di essere lasciato libero, lo zio gli ricordava che i suoi genitori occupavano alloggi di sua proprietà senza pagargli il fitto; che una volta, su ordine dello zio, si era recato in un posto ove gli era stata offerta una bevanda di colore rosso ed un frutto, chiamato Kola nut e poichè si era rifiutato di mangiarlo, era stato picchiato e minacciato; di temere, in caso di rientro nel Paese di origine, di essere ucciso dallo zio.

3. La Corte di appello, a sostegno della propria decisione, ha ritenuto la insussistenza delle condizioni per concedere la protezione sussidiaria e che il timore di non avere aderito ad una setta satanica era stato meramente soggettivo; inoltre, ha evidenziato che il richiedente non si era rivolto alla Polizia, che in Edo State non vi era una situazione di volenza indiscriminata e generalizzata e che non vi erano i presupposti per la protezione umanitaria.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione I.K. affidato a cinque motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di legge, con riferimento al combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) ed f) e artt. 7 e 8, perchè, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, dalle dichiarazioni rese era evidente ed incontestabile la situazione persecutoria di cui era vittima e dalla quale era scappato per il timore di essere ucciso.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto con riferimento al combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g e h) e art. 14, perchè la situazione in Nigeria non era assolutamente pacifica, come invece ritenuto dalla Corte di merito e, pertanto, non appariva sicuro il ritorno nel Paese di provenienza.

4. Con il terzo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 150 del 2001, art. 19, comma 8, per non avere erroneamente attivato la Corte di merito i propri poteri istruttori sulla reale situazione del Paese.

5. Con il quarto motivo si eccepisce il vizio di motivazione apparente nonchè la violazione dell’art. 3 D.Lgs. del 2007, in ordine alla valutazione di credibilità delle ragioni che avevano indotto il richiedente a lasciare il paese di origine.

6. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, per non avere valutato la Corte di merito, ai fini della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che la propria condizione di vita, in caso di rimpatrio, sarebbe stata del tutto precaria e vi sarebbe stata la lesione deì suoi diritti fondamentali.

7. Preliminarmente deve essere rigettato il quarto motivo che non si confronta con la ratio decidendi dell’impugnato provvedimento, ove non è stato ritenuto inattendibile tutto il narrato del richiedente e, in relazione alla parte ritenuta non credibile, la Corte si è attenuta ai criteri previsti dalla legge dando luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito (Cass. n. 14674/2020; Cass. n. 9811/2020).

8. Il primo motivo è, invece, fondato.

9. Invero, una volta ritenuto credibile il racconto quanto alla situazione familiare del richiedente, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare se vi fosse stata in concreto una limitazione del godimento dei diritti fondamentali per atti di violenza domestica, così intesi dall’art. 3 della Convenzione di Istanbul dell’11.5.2011, ed accertare se questi fossero tollerati dalle autorità statuali ovvero frutto di regole consuetudinarie locali: ciò al fine della sussistenza della integrazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), in termini di rischio effettivo di “danno grave” per “trattamento inumano o degradante”, attraverso i poteri istruttori di cui dispone.

10. Inoltre, ai sensi dell’art. 3, lett. b), della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 27 giugno 2013, n. 77, “l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare”, sicchè, anche tenendo conto del complessivo contenuto della Convenzione (vedi: Cass. 17 maggio 2017, n. 12333), la Corte avrebbe dovuto esercitare i propri poteri-doveri d’indagine officiosi e di acquisizione di informazioni aggiornate specificamente sulle violenze domestiche e sulla diffusione o meno di condizioni di schiavitù subite in Nigeria da parte di colui che possa essere perseguitato per il mancato pagamento di debiti contratti dai familiari.

11. Tale accertamento, riferito a questo aspetto, non risulta essere stato compiuto.

12. Analogamente il secondo ed il terzo motivo, da trattarsi per connessione congiuntamente, sono fondati.

13. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 17075 del 2018).

14. Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e, quindi, “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione Nazionale sulla base dei datti forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa” (cfr. Cass. n. 15959 del 2020).

15. E’, quindi, onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento.

16. In proposito, deve ribadirsi anche che l’indicazione delle fonti di cui all’art. 8, non ha carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione, anche via web, quali ad esempio i siti internet delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale (quali ad esempio Amnesty International e Medici senza frontiere) che spesso contengono informazioni dettagliate e aggiornate (cfr. Cass. n. 13449 del 2019 per esteso).

17. In modo estremamente sintetico, può quindi affermarsi che il giudice deve indicare, in modo specifico e dettagliato, fonti che abbiano un certo grado di credibilità e che facciano riferimento ad una situazione sociopolitica aggiornata del Paese di origine del richiedente.

18. Più recentemente (cfr. Cass. n. 15215 del 2020) è stato affermato il principio di diritto secondo il quale: “Le informazioni relative alla situazione esistente nel paese di origine del richiedente la protezione internazionale o umanitaria che il giudice di merito trae dalle C.O.I. o dalle altre fonti informative liberamente consultabili attraverso i canali informatici vanno considerate, in ragione della capillarità della loro diffusione e della facile accessibilità per la pluralità di consociati, alla stregua del fatto notorio; il dovere di cooperazione istruttoria che del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, pongono a carico del giudice, nella materia della protezione internazionale ed umanitaria, impone allo stesso di utilizzare, ai fini della decisione, C.O.I. ed altre informazioni relative alla condizione interna del paese di provenienza o rimpatrio del richiedente, ovvero della specifica area di esso, che siano adeguatamente aggiornate e tengano conto dei fatti salienti interessanti quel Paese o area, soprattutto in relazione ad eventi di pubblico dominio, la cui mancata considerazione costituisce, in funzione della loro oggettiva notorietà, violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2”.

19. Nella fattispecie, la Corte territoriale non ha richiamato, per escludere ogni ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e per ritenere che la condizione attuale della zona di provenienza della Nigeria, Paese di origine del richiedente, non fosse interessata da una situazione di conflitto armato interno o internazionale, comportante una situazione di violenza indiscriminata nell’attualità, alcuna fonte.

20. Nell’assolvere all’onere imposto dalla legge i giudici di seconde cure erano, però, tenuti a spiegare in base a quali specifiche fonti avessero ritenuto inesistente il rischio di subire gravi danni, paventati dal ricorrente, onde dare conto della puntualità e attualità della propria verifica e fare così in modo che la motivazione assumesse carattere effettivo (cfr. per tutte Cass. n. 8819 del 2020 e la giurisprudenza ivi citata).

21. La trattazione del quinto motivo, concernente la protezione umanitaria, resta, conseguentemente, assorbita.

22. La sentenza impugnata dovrà, quindi, essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo, rigettato il quarto ed assorbito il quinto; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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