Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10748 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 22/04/2021, (ud. 08/10/2020, dep. 22/04/2021), n.10748

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2083/2020 proposto da:

M.A., (alias A.M.), domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARTINO BENZONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI GORIZIA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 784/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 27/11/2019 R.G.N. 133/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/10/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 784/2019, confermando il provvedimento di primo grado, ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta da M.A., cittadino del (OMISSIS).

2. Per quanto ancora qui rileva, la Corte di appello ha osservato, in sintesi, che:

a) il ricorrente aveva dichiarato di essersi allontanato dal paese di origine a causa di una feroce faida familiare, di cui era vittima la sua famiglia per avere denunciato e fatto condannare colui che aveva ucciso, per motivi politici, il fratello del richiedente;

b) è condivisibile il giudizio espresso dalla Commissione territoriale e dal Tribunale circa la vaghezza della narrazione e la complessiva inattendibilità del racconto: nessuna prova è stata fornita circa la prossima liberazione dal carcere dell’omicida; non sono state riferite concrete minacce ricevute dal ricorrente e dai familiari per motivi di vendetta; non vi sono elementi per ritenere che, nella regione del Pakistan dove la famiglia si è trasferita, la stessa possa ritenersi in pericolo;

c) non sussistono dunque i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

d) quanto alla domanda di rilascio del permesso di soggiorno per gravi motivi umanitari, alla stregua della disciplina ratione temporis applicabile, oltre alla non credibilità del racconto del richiedente, va osservato che la mera allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza non è sufficiente, occorrendo verificare la sussistenza o meno di una condizione individuale di elevata vulnerabilità ove venga disposto il rientro del richiedente nel Paese di appartenenza; in difetto di tali allegazioni, non possono ritenersi di per sè decisivi i documenti prodotti sulla situazione lavorativa in Italia.

3. Per la cassazione di tale sentenza M.A. ha proposto ricorso affidato a tre motivi.

4. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo e il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per avere la Corte di appello ritenuto inattendibile la narrazione del richiedente omettendo di ricorrere ai poteri-doveri officiosi di indagine e omettendo di attivarsi per la ricerca della documentazione necessaria ai fini del decidere.

Il ricorrente si duole che il giudice di appello abbia trascurato di considerare che anche vicende di carattere privato (nel caso in esame, la faida familiare nata con l’uccisione del fratello) possono assumere rilievo pubblicistico per la mancata tutela fornita da parte delle istituzioni locali, per cui il giudice deve svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda di protezione internazionale, prescindendo dal principio dispositivo proprio del giudizio civile e delle relative preclusioni.

1. Con il terzo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere la Corte di appello ritenuto che la considerazione della non attendibilità del ricorrente potesse precludere anche l’esame della domanda di protezione umanitaria, che invece prescinde dalla veridicità o meno della narrazione del richiedente asilo circa i motivi del suo espatrio e per avere altresì la Corte di appello omesso di approfondire l’esame della condizione di vulnerabilità del ricorrente.

2. Il ricorso è infondato.

3. Secondo il più recente orientamento di questa Corte, qui condiviso, in via generale, le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria (art. 2, lett. g). E’ stato affermato che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave solo ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (cfr. Cass. nn. 24214 e 23281 del 2020, n. 9043 del 2019).

4. E’ stato pure precisato, sempre in tema di protezione sussidiaria, che, quando si deduca un fatto suscettibile di rilevare D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), riconducibile all’azione di privati, l’onere di allegazione del richiedente deve essere adempiuto in termini sufficientemente specifici, non potendosi, in mancanza, attivare l’obbligo di integrazione istruttoria officiosa del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 (Cass. n. 8930 del 2020, n. 23604 del 2017; v. pure Cass. 26823 del 2019).

5. Nel caso in esame, la Corte di appello ha evidenziato che le dichiarazioni dell’interessato erano connotate da una assoluta mancanza di specificazione circa la natura e la consistenza delle minacce asseritamente ricevute dalla sua famiglia. Le allegazioni erano dunque carenti. Nè il ricorrente risulta avere riferito ad un’inerzia o incapacità delle forze preposte al mantenimento della sicurezza sociale e alla repressione dei reati di garantirgli tutela. Invero, neppure risulta dalla sentenza impugnata che egli abbia allegato di avere sporto denuncia o di avere comunque chiesto tutela agli organi statuali preposti.

6. Tali rilievi hanno carattere assorbente. A fronte di tale difetto di allegazioni, non sussistevano i presupposti dell’obbligo di integrazione istruttoria ufficiosa D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3.

7. E’ inammissibile il terzo motivo. La natura residuale ed atipica della protezione umanitaria, se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro, implica la necessità di allegazioni circa l’esistenza di una situazione di vulnerabilità del richiedente.

8. Il ricorso, nel censurare l’omesso l’esame dei requisiti di vulnerabilità in relazione alla c.d. protezione umanitaria, in realtà si limita ad altrettanto generiche affermazioni, omettendo finanche di indicare quali fossero gli elementi più specifici, riferibili alla persona del richiedente, introdotti in giudizio e sottoposti all’esame del giudice di merito e non debitamente considerati.

9. Deve ribadirsi che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 27336 del 2018).

10. Il ricorso va dunque complessivamente rigettato. Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

12. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito (sent. n. 4315 del 2020) che la debenza di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione è “…normativamente condizionata a “due presupposti”, il primo dei quali – di natura processuale – è costituito dall’aver il giudice adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione, mentre il secondo appartenente al diritto sostanziale tributario – consiste nella sussistenza dell’obbligo della parte che ha proposto impugnazione di versare il contributo unificato iniziale con riguardo al momento dell’iscrizione della causa a ruolo. L’attestazione del giudice dell’impugnazione, ai sensi all’art. 13, comma 1-quater, secondo periodo, T.U.S.G., riguarda solo la sussistenza del primo presupposto, mentre spetta all’amministrazione giudiziaria accertare la sussistenza del secondo”.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

 

 

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