Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10745 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. I, 05/06/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 05/06/2020), n.10745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8252/2015 proposto da:

M.G., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in Roma,

via Albalonga 7, presso lo studio dell’avvocato Palmiero Clementino,

rappresentati e difesi dall’avvocato De Notariis Giovanni, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Ma.An.;

– intimato –

e contro

Comune di Castel San Vincenzo;

– intimato –

avverso la sentenza n. 289/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 03/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/02/2020 dal Cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con separati ricorsi, M.G. e + ALTRI OMESSI hanno convenuto in giudizio Ma.An. e il Comune di Castel San Vincenzo avanti alla Corte di Appello di Campobasso. Essi hanno presentato opposizioni alla stima di indennità di esproprio loro (distintamente) proposta in relazione a opere di captazione, adduzione e costruzione di uno stabilimento d’imbottigliamento di una acqua minerale naturale, a seguito di autorizzazioni concesse dal Comune ad Ma.An., quale imprenditore individuale.

Le diverse opposizioni, così formulate, hanno rilevato l’inadeguatezza dell’offerta di indennità di esproprio, posto il valore venale dei terreni interessati, nonchè l’incompletezza dell’offerta medesima, in ragione della mancanza di ogni proposta circa l’indennità di occupazione. Hanno altresì chiesto la determinazione del giusto importo delle dovute indennità, con connessa condanna di Ma.An. al pagamento delle relative somme.

2.- Riuniti i ricorsi, la Corte di Appello ha rigettato, con sentenza depositata in data 3 ottobre 2014, l’opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione, di cui all’offerta, nonchè – dichiarato il difetto di legittimazione passiva di Ma.An. – l’opposizione alla stima dell’indennità di occupazione.

3.- Quanto al primo punto (dell’indennità di esproprio), la Corte territoriale ha osservato che “nessuna delle parti in causa ha prodotto il decreto di esproprio: ne consegue il rigetto della domanda”.

L’emanazione del decreto costituisce – si è rilevato – una condizione dell’azione, la “cui mancanza impedisce l’accoglimento della domanda, escludendo la configurabilità del diritto che ne costituisce il fondamento”.

4.- In relazione alla richiesta intesa a ottenere l’indennità per occupazione di urgenza, la sentenza ha ritenuto essere Ma.An. soggetto “non legittimato passivamente, perchè è solo il titolare della ditta incaricata di realizzare l’opera pubblica”, secondo quanto emerge dal contenuto della convenzione da questi stipulata col Comune.

L'”accollo degli obblighi indennitari può essere utilmente invocato” si è argomentato al riguardo – “purchè non sia rimasto un fatto interno tra espropriante e affidatario”; “è necessario che, nell’attività che abbia portato il delegato in contatto con il soggetto passivo dell’esproprio, il delegato si sia correttamente manifestato non solo come titolare degli obblighi indennitari, ma soprattutto come investito dell’esercizio del potere espropriativo”.

D’altra parte – ha proseguito la pronuncia – “contro il Comune di Castel San Vincenzo gli attori, pure evocandolo, non hanno avanzato nessuna pretesa”; “i fatti esposti nel libello introduttivo della lite e le conclusioni in esso contenute” non legittimano a “interpretare tanto estensivamente la domanda”.

5.- Avverso questo provvedimento M.G., + ALTRI OMESSI. hanno presentato, con unico atto, ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Nè Ma.An., nè il Comune di Castel San Vincenzo hanno svolto difese nel presente grado del giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.- Il primo motivo di ricorso assume la violazione delle norme del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 22 bis, 50, 54 e di quella dell’art. 112 c.p.c..

Rilevano i ricorrenti che – nel respingere la domanda di opposizione alla stima dell’indennità di esproprio per mancata produzione del decreto di esproprio dei terreni in questione – la Corte di Appello ha errato perchè non ha considerato che l'”oggetto dell’opposizione alla stima fosse l’indennità di occupazione e l’acconto della indennità provvisoria di esproprio, offerta dalla ditta in misura ritenuta non congrua”.

6.- Il motivo non può essere accolto.

Nella sostanza, i ricorrenti affermano di essere “stati costretti a proporre opposizione alla stima”, perchè “dalla ditta espropriante” hanno “ricevuto soltanto l’offerta di indennità provvisoria di esproprio, notificata il 18.4.2006, decurtata del 40%, ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5”.

Appare dunque opportuno segnalare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “l’indennità provvisoria non è suscettibile di opposizione che, ai sensi e con le forme di cui alla L. n. 865 del 1971, è proponibile solo avverso la liquidazione definitiva dell’indennità”. L’azione, che così sia tuttavia proposta, “non può essere qualificata come opposizione a una determinazione definitiva dell’indennità, che non risulta effettuata, ma come una domanda di accertamento, diretta sin dall’origine alla fissazione della giusta indennità ex art. 42 Cost., con condanna dell’espropriante al deposito del suo importo presso la Cassa Depositi e Prestiti”.

Ora, questa “qualificazione” della domanda importa il dovere del giudice del merito di determinare l’indennità, così “prescindendo del tutto dalla verifica della congruità o meno dell’indennità provvisoria, che sia stata offerta”. Ciò, tuttavia, previa necessaria “verifica dell’intervenuta emanazione del decreto di espropriazione”: la ricorrenza del quale si pone propriamente come condizione dell’azione e, quindi, come condizione di procedibilità della domanda così come qualificata (cfr. ampiamente sul punto la pronuncia di Cass., 14 febbraio 2017, n. 3840).

7.- Il secondo motivo di ricorso assume vizio di omesso esame di fatto decisivo per l’esito del giudizio, nonchè violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 3-20, 26,27.

Rilevano in particolare i ricorrenti che la pronuncia impugnata ha errato nel negare la legittimazione passiva di Ma.An., perchè semplice incaricato di realizzare l’opera pubblica ovvero delegato dal Comune a compiere i lavori.

In realtà, la pronuncia ha omesso di considerare il fatto che la “ditta Ma. è titolare di concessione mineraria regionale per lo sfruttamento dell’acqua minerale, non già concessionaria dell’esecuzione di opere comunali”; quindi, è da escludere che Comune e Ma. corra un rapporto di delega.

D’altra parte, la normativa di cui al testo unico indica che “beneficiario dell’espropriazione è il soggetto che acquista la titolarità dei beni espropriati” e che questi, proprio perchè acquista la titolarità dei beni, è il “soggetto obbligato al pagamento delle indennità”.

8.- Il motivo merita di essere accolto.

La Corte di Appello si è invero limitata a fornire una interpretazione della convenzione intercorsa tra il Comune e Ma.An., senza prendere in alcuna considerazione ed esame i fatti che pure stanno “a monte” di detta convenzione e che, quindi, non mancano di governare le posizioni relative: a muovere dalla non contestata circostanza che è Ma., non il Comune di Castel S. Vincenzo, a risultare titolare della concessione mineraria di sfruttamento dell’acqua minerale.

Nè può esservi dubbio sulla peculiare importanza, sulla decisività, di un simile rilievo. Secondo quanto è principio ricevuto nella giurisprudenza di questa Corte, nelle controversie inerenti alla materia delle indennità espropriative la legittimazione fa propriamente “riferimento agli espropriati e all’espropriante, con implicita esclusione di soggetti diversi” (Cass., 22 maggio 2013, n. 12554).

9.- Il terzo motivo di ricorso assume omesso esame di fatto decisivo “con riferimento alla data di immissione in possesso, alla Delib. Consiglio Comunale n. 17 del 2005 e alla sottostante convenzione e alla CTP degli attori”; assume inoltre violazione della normativa del D.P.R. n. 327 del 2001, L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90 e Corte Cost. n. 348/2007.

10.- Con questo motivo, i ricorrenti svolgono una serie di considerazioni critiche su diversi profili sviluppati nella CTU tenutasi nell’ambito del giudizio di merito.

Si tratta, peraltro, di profili non presi considerazione dalla sentenza impugnata perchè non rilevanti a fini del giudizio, una volta ritenuta la mancanza di legittimazione passiva di Ma.An..

In quanto attinente a temi non fatti oggetto di giudizio da parte della Corte di Appello, il motivo si manifesta inammissibile. Senza pregiudizio, naturalmente, della proponibilità delle questioni sottese al motivo in discorso nel contesto del giudizio di rinvio.

11.- In conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, respinti il primo e il terzo motivo. Di conseguenza, la sentenza va cassata in relazione all’accolto motivo e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Campobasso che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinti il primo e il terzo motivo. Cassa, per quanto di ragione, la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Campobasso che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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