Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10740 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. I, 05/06/2020, (ud. 08/01/2020, dep. 05/06/2020), n.10740

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4337/2015 proposto da:

Istituto Autonomo Case Popolari Provincia Benevento IACP, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

Roma, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Intorcia Stefano, giusta

procura in calce ricorso;

– ricorrente –

contro

D.M.M., nella qualità di procuratore speciale di

P.V., P.R., S.S. e Sa.Se., questi

ultimi quali eredi di P.F., elettivamente domiciliati in

Roma, via Atanasio Kircher 7, presso lo studio dell’avvocato Iasonna

Stefania, rappresentati e difesi dall’avvocato Procaccini Ernesto,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Comune Benevento, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via Calamatta, 27, presso lo

studio dell’avvocato Greco Luigi, rappresentato e difeso

dall’avvocato Chiusolo Mario, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

Altair 1973 Srl;

– intimato –

avverso, la sentenza n. 4482/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 20/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/01/2020 dal Cons. Dott. DE MARZO GIUSEPPE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

del ricorso con assorbimento del resto;

udito l’Avvocato Marco Baio per il ricorrente con delega orale, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 20 dicembre 2013 la Corte d’appello di Napoli, per quanto ancora rileva, in parziale riforma della decisione di primo grado: a) ha condannato Altair 1973 s.r.l. al pagamento, in favore di P.V., P.R. nonchè di Sa.Se. e S.S., questi ultimi quali eredi di P.F., della somma di 107.467,46 Euro, al netto di quanto già versato o depositato presso la Cassa Depositi e Prestiti, oltre rivalutazione e interessi; b) ha condannato lo IACP della Provincia di Benevento (d’ora innanzi, IACP) al pagamento, in favore delle medesime persone, della somma di 186.993,38 Euro, a titolo di risarcimento danni da occupazione usurpativi, sempre al netto di quanto già versato o depositato presso la Cassa Depositi e Prestiti, oltre rivalutazione e interessi; c) ha rigettato ogni altra domanda, compensando le spese del doppio grado.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che il Consiglio di Stato aveva annullato il decreto d’esproprio emesso dal Comune di Benevento, in favore dello IACP, avendo ritenuto che, indipendentemente dalle modalità con cui era stata approvata la dichiarazione di pubblica utilità, era sussistente un vizio relativo alla mancata comunicazione di avvio del procedimento; b) che la legittimazione passiva esclusiva dello IACP discendeva dall’essere quest’ultimo l’autore materiale dell’illecito contestato; c) che la stima delle aree doveva essere determinata avendo riguardo alla loro natura edificatoria e avendo riguardo al criterio analitico – ricostruttivo.

3. Avverso tale sentenza lo IACP ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui hanno resistito con controricorso il

Comune di Benevento nonchè D.M.M., quale procuratore speciale di P.V., P.R. nonchè di Sa.Se. e S.S., questi ultimi quali eredi di P.F.. Il Comune di Benevento e lo IACP hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., Altair 1973 s.r.l. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2055 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando: a) che la Corte territoriale aveva omesso di considerare che l’annullamento del decreto di esproprio emesso dal Comune di Benevento, per effetto di un vizio relativo all’omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento, non consentiva di individuare alcun fatto doloso o colposo in capo allo IACP e comunque era idoneo, salva la responsabilità solidale nei confronti del danneggiato, a imporre l’individuazione, nei rapporti interni, della misura della rispettiva responsabilità; b) che lo IACP, sin dal primo grado, aveva chiesto, in via subordinata, la condanna del Comune di Benevento a rivalerlo delle somme che avesse dovuto versare a parte attrice.

La censura è inammissibile per carenza di interesse.

Dall’esame della sentenza impugnata – e nell’assoluta assenza di deduzioni sul punto da parte dello IACP – emerge che quest’ultimo, dopo avere formulato in primo grado domanda di manleva e avere visto rigettare dal Tribunale la domanda nei suoi confronti, in secondo grado, si è limitato a ritenere (erroneamente) che gli appellanti non avessero proposto impugnazione nei suoi riguardi e soprattutto non ha riproposto la domanda di manleva.

Al contrario, secondo le Sezioni Unite, nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla L. n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c., le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado (Cass., Sez. Un., 21 marzo 2019, n. 7940.

In definitiva, non si ravvisa alcun interesse del ricorrente in questa sede a richiedere l’accertamento della corresponsabilità del Comune.

2. Con il secondo motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla eccepita carenza di legittimazione passiva dell’IACP, alla luce del fatto che quest’ultimo si era limitato ad eseguire i lavori nei termini prefissati per l’ultimazione dell’opera, laddove era stato il Comune di Benevento ad emettere il decreto di esproprio – che sarebbe stato successivamente annullato dal giudice amministrativo – e gli atti presupposti.

Aggiunge il ricorrente che, anche con riferimento alle richieste relative alla mancata restituzione delle aree non irreversibilmente trasformate, il rapporto era intercorso esclusivamente con il Comune di Benevento. La doglianza è infondata.

In caso di occupazione appropriativa (ma identiche conclusioni valgono anche per il caso, qui ricorrente, dell’occupazione usurpativa), l’ente che ha posto in essere le attività materiali, di apprensione del bene e di esecuzione dell’opera pubblica, cui consegue il mutamento del regime di appartenenza del bene stesso, risponde sempre dell’illecito, potendo solo residuare, qualora il medesimo (come delegato, concessionario od appaltatore) abbia solo curato la realizzazione dell’opera di pertinenza di altra amministrazione, la responsabilità concorrente di quest’ultima, da valutare sulla base della rilevanza causale delle singole condotte (Cass. 24 febbraio 2016, n. 3619).

Ma il temo della responsabilità concorrente del Comune, escluso per quanto detto sopra a proposito del primo motivo un interesse dello IACP in questa sede, non è stato sollevato dai destinatari dell’illecito.

3. Con il terzo motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, con riferimento al rigetto delle eccezioni formulate, in relazione ai quantum debeatur, che si sarebbe dovuto liquidare, secondo il ricorrente, alla luce del valore agricolo medio del fondo.

La critica è inammissibile, per l’assoluta genericità di formulazione.

Il carattere edificatorio del terreno è revocato in dubbio in termini assertivi.

Quanto poi alla stima concreta, si osserva che la sentenza impugnata è stata depositata in data 20 dicembre 2013: pertanto, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della Legge di Conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).

Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Ma nessuna di siffatte precisazioni emerge dal ricorso.

4. Con il quarto motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, con riguardo alle questioni sollevate dall’Istituto ricorrente in tema di rivalutazione monetaria.

La doglianza è infondata, tenuto conto della natura valoristica dell’obbligazione risarcitoria della quale si discute, laddove il ricorrente pone questioni relative alle categorie creditorie, affrontate dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo ai debiti di valuta.

Infondato è anche l’ultimo cenno al calcolo degli interessi, che la Corte territoriale ha esattamente determinato sulla somma devalutata e progressivamente rivalutata.

5. In conclusione, il ricorso, complessivamente infondato, deve essere respinto.

Mentre nel rapporto con il Comune, alla luce del concreto atteggiarsi della vicenda sostanziale e processuale, ricorrono i presupposti per disporre la compensazione delle spese del giudizio di legittimità, nel rapporto con i restanti controricorrenti, lo IACP va condannato al pagamento delle spese, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Compensa le spese processuali del giudizio di legittimità nel rapporto tra lo IACP e il Comune di Benevento. Condanna lo IACP al pagamento, in favore dei restanti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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