Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10738 del 24/05/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 10738 Anno 2016
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: GHINOY PAOLA

r012

SENTENZA

sul ricorso 12929-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A.

C.E. 97103890585, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega

2016

in atti;
– ricorrente –

1065
contro

TOSCANO ALESSANDRO;
– intimato –

Data pubblicazione: 24/05/2016

avverso la sentenza n. 291/2010 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 12/05/2010 R.G.N.
1771/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/03/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale
GRANOZZI GAETANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
rinvio a nuovo ruolo in attesa decisione SS.UU., in
subordino accoglimento per quanto di ragione.

GHINOY;

R.G. 12828/2011

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Catania confermava la sentenza del Tribunale della
stessa sede che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al
contratto di lavoro intercorso tra Poste italiane s.p.a. e Alessandro Toscano
nel periodo dal 1.2.2002 al 30.4.2002 e, per l’effetto, aveva dichiarato che tra
le parti intercorreva sin dall’inizio un rapporto di lavoro a tempo indeterminato
ancora in atto, rigettando ogni altra domanda.

tecniche organizzative e produttive anche di carattere straordinario
conseguenti a processi di riorganizzazione, .ivi ricomprendendo un più
funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da
innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o
sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonché all’attuazione
delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e
11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002″. La Corte riteneva in primo luogo
che fosse infondata l’eccezione

di

risoluzione del contratto per mutuo

consenso tacito sollevata dalla società, considerato che il contratto a termine
era cessato in data 30 aprile 2002 ed il Toscano aveva proposto ricorso
giudiziario in data 19 febbraio 2003, dopo un lasso di tempo che non poteva
condurre, secondo una valutazione socialmente tipica, alla dimostrazione
dell’esistenza di una risoluzione per mutuo consenso. Riteneva poi che non
sussistesse genericità della clausola, in violazione dell’ art. 1 del D.Igs n. 368
del 2001, in quanto il suo contenuto poteva essere assolto anche per

relationem mediante il richiamo operato ad altri testi scritti accessibili dalle
parti, quali l’accordo del 17 ottobre 2001 che prevedeva che “la società potrà
continuare a ricorrere all’attivazione di contratti a tempo determinato per
sostenere il livello di servizio recapito durante la fase di realizzazione dei
processi di mobilità di cui al presente accordo, ancorché nella prospettiva di
ridurne gradualmente l’utilizzo”. Riteneva tuttavia che correttamente il
Tribunale avesse giudicato non assolto da parte del datore di lavoro l’onere di
dimostrare in concreto la ricorrenza delle ragioni indicate in contratto, in
quanto la prova documentale fornita non rendeva contezza del collegamento
causale tra le procedure di mobilità e l’assunzione degli appellati, ovvero tra il
numero dei lavoratori da riposizionare nella zona territoriale a cui si riferisce
l’ufficio ed il numero dei contrattisti a termine assunti.

PaJe Ghinoy, estensore

Il termine al contratto era stato apposto per far fronte a “esigenze

R.G. 12828/2011

Per la cessazione della sentenza Poste italiane s.p.a. ha proposto
ricorso, affidato a sei motivi illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c..
Alessandro Toscano è rimasto intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, Poste deduce violazione e falsa applicazione
degli articoli 1372 primo comma, 1175, 1375, 2697 c.c. e lamenta che la
Corte territoriale abbia rigettato l’eccezione di risoluzione per mutuo
consenso, laddove l’unicità del rapporto contrattuale intercorso, unitamente
alla sua breve durata pari a due mesi ed alla prolungata inerzia del
convenuto, avevano ed hanno rilievo determinante in senso contrario.
2. Il motivo non è fondato.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr. ex
multis,

Cass. n. 3536 del 2015, Cass. ord. n. 6932/2011, Cass.

n.17150/2008), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della
sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sul
presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai
scaduto, per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo
consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del
comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una
chiara e certa comune volontà delle parti di porre fine ad ogni rapporto
lavorativo; la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del termine
contrattuale è quindi di per sé insufficiente a ritenere sussistente una
risoluzione del rapporto per mutuo consenso (cfr., da ultimo, Cass. n.
2305/2010, Cass. n. 5887/2011), mentre grava sul datore di lavoro che
eccepisca tale risoluzione l’onere di provare le circostanze dalle quali possa
ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di porre definitivamente fine al
rapporto di lavoro (Cass. n. 2279/2010, n. 16303/2010, 15624/2007).

La

valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di
fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in
sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (v. fra le altre,
con riferimento alla prova per presunzioni, Cass. 27-10-2015 n. 21876, Cass.
15-1-2015 n.10958, Cass. 20-7-2006 n. 16728, Cass. 23-1-2006 n. 1216).
Tali principi, coerenti con il disposto degli artt. 1372 e 1321 cod. civ.,
vanno ribaditi anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo ormai
prevalente basato sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle
circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione
Pad hinoy, estensore

R.G. 12828/2011

consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non
essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la
mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo,
infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando
esclusivamente il “piano oggettivo” nel quadro di una presupposta valutazione
sociale “tipica” (v. Cass. 6-7-2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n.
14209), prescinde del tutto dal presupposto che la risoluzione per mutuo

se tacita (v. da ultimo Cass. n. 20704 del 14-10.2015, Cass. 28-1-2014 n.
1780).
2.1. Nel caso in esame, la Corte territoriale, con adeguata valutazione
delle risultanze fattuali, ha rilevato che l’inerzia del lavoratore si era protratta
per meno di un anno, sicché non poteva essere interpretata come sintomo di
una volontà risolutoria, in assenza di ulteriori significativi riscontri, che
neppure Poste richiama.
3. Come secondo motivo, Poste deduce violazione e falsa applicazione
dell’art. 4 comma 2 del D.Igs. n. 368 del 2001, dell’art. 2697 c.c. e lamenta
che la Corte di merito abbia ritenuto gravare sul datore di lavoro la prova
della sussistenza dei requisiti sostanziali legittimanti le assunzioni a termine,
laddove sarebbe stato onere di controparte provare l’estraneità della

sua

assunzione rispetto alle esigenze individuate in seno al contratto, prova che
non era stata richiesta né tanto meno fornita.
3. Il motivo non è fondato, considerato che questa Corte ha in più
occasioni ribadito che anche nel regime di cui al D.Igs. n. 368/01 l’ onere di
provare le esigenze che giustificavano il ricorso alle assunzioni a termine
incombe sul datore di lavoro (v. da ultimo Cass. n. 3845 del 2015 e n. 4468
del 2015).
4. Come terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione degli artt.
1 del D.Igs. n. 368 del 2001,115 e 116 c.p.c. e lamenta che la Corte d’appello
abbia ritenuto la prova circoscritta alle ragioni di carattere tecnico,
organizzativo e sostitutivo riguardanti il singolo ufficio o unità produttiva,
mentre i documenti prodotti rendevano contezza della riorganizzazione
aziendale complessa di Poste.
5. Come quarto motivo, deduce vizio di motivazione su un punto
decisivo della controversia e lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto la
genericità del capitolo di prova n. 33 in quanto facente riferimento ad una

Pao Ghinoy estensore

consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale, anche

R.G. 12828/2011

molteplicità di ricorrenti, mentre avrebbe dovuto esaminarlo con riferimento
all’unico ricorrente in causa.
6. Come Quinto motivo, deduce violazione e falsa applicazione degli
articoli 115 e 116 c.p.c. 244 c.p.c. , 253 c.p.c. 421 comma due c.p.c. e rileva
che la prova testimoniale tempestivamente dedotta aveva reso contezza delle
esigenze sottese alla singola assunzione, ed in particolare il capitolo numero
33.

sono infondati.
La Corte territoriale ha effettuato un’attenta analisi delle deduzioni
istruttorie e delle risultanze agli atti, ritenendole generiche e quindi inidonee a
fornire la prova della persistenza, all’epoca dell’assunzione, della fase
attuativa delle procedure di mobilità di cui agli accordi sindacali sopra
richiamati, e del collegamento causale tra le

suddette

procedure e

l’assunzione dell’appellante nella specifica realtà produttiva, ovvero tra il
numero reale o stimato dei lavoratori da riposizionare nella provincia di
Ragusa e il numero di contrattisti a termine assunti, tra cui appunto

il

Toscano. Tale valutazione, correttamente riferita alla sede cui il lavoratore era
stato addetto, non è utilmente posta in dubbio dalle deduzioni di Poste, che si
limita a contrapporre la propria valutazione a quella del giudice territoriale,
valorizzando peraltro il capitolo di prova n. 33, che si limita a parlare
genericamente di “effetti diretti” che le procedure di mobilità avrebbero
prodotto sull’unità produttiva di applicazione di parte ricorrente, senza
specificare in che cosa questi sarebbero consistiti.
8. Come sesto motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5
del D.Igs. n. 368 del 2001, dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in
generale, dell’art. 1362 e ss. c.c. e dell’articolo 1419 c.c. e lamenta che la
sentenza impugnata abbia confermato la decisione del primo giudice nella
parte in cui, dichiarata la nullità della clausola appositiva del termine, ne
aveva fatto discendere la conversione del rapporto a tempo indeterminato,
laddove tale conseguenze è prevista dagli articoli 2,3,4 e 5 del D.Igs. 368 del
2001 per le sole ipotesi di illegittima successione di contratti di lavoro a tempo
determinato, mentre per il caso di violazione dell’art. 1 avrebbe dovuto
applicarsi l’articolo 1419 del codice civile.
9.

Al fine di disattendere tale motivo, è sufficiente richiamare la

giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2499 del 2015 (ord.), Cass. n
2279/2010, n 12985/2008), a cui si è adeguata la sentenza impugnata,
Papl,a Ghinoy, estensore

7_ Anche tali motivi, da valutare congiuntamente in quanto connessi,

R.G. 12828/2011
secondo cui “l’art. 1 del digs. n. 368 del 2001, anche anteriormente alla
modifica introdotta dall’art. 39 della legge n. 247 del 2007, ha confermato il
principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è
normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine
un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, dei tutto nuovo, della previsione di una
clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Pertanto, in caso di

norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai
principi generali in materia

d i nullità parziale del contratto e di

eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonché alla stregua
dell’interpretazione dello stesso art. I citato nel quadro delineato dalla
direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel
sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato,
tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 dei 2005, all’illegittimità
del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue
l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato”.
10. Il ricorso dev’ essere quindi rigettato. Non vi è luogo a pronuncia
sulle spese, non avendo svolto l’intimato attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 10.3.2016

insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una

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