Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10737 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. I, 05/06/2020, (ud. 08/01/2020, dep. 05/06/2020), n.10737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2953/2015 proposto da:

S.R., C.L., elettivamente domiciliati in Roma, Via

R. Bonghi n. 32-d, presso lo studio dell’avvocato Michele

D’Ippolito, che li rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale Pubblica del Comune

di Roma – ATER, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Paolucci De Calboli n. 20-e,

presso lo studio dell’avvocato Edmonda Rolli, che la rappresenta e

difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

D.L.F., D.C., Sa.Gi., T.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6516/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/01/2020 dal Cons. Dott. Laura Scalia;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ARDINO Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Michele D’Ippolito che ha chiesto

l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso in data 18 marzo 2011 D.C., S.N., C.L., D.L.F., Sa.Gi. e T.L., quali assegnatari di appartamenti facenti parte del complesso immobiliare sito in (OMISSIS), instavano dinanzi al Tribunale di Roma per l’accertamento del loro diritto all’acquisizione degli immobili, previo pagamento degli importi dovuti, giusta la L.R. n. 42 del 1991 e L.R. n. 27 del 2006, da determinarsi previa consulenza tecnica di ufficio.

Le unità abitative rientravano nei fabbricati edificati nell’immediato dopoguerra dal Genio Civile con fondi statunitensi per dare una casa ai superstiti del bombardamento occorso in (OMISSIS) nel quartiere (OMISSIS) e gli attori chiedevano il completamento della procedura di dismissione degli immobili che, iniziata nell’anno 1983 dal Demanio dello Stato con l’alienazione di n. 5 unità immobiliari su n. 72, doveva essere proseguita dall’A.t.e.r. di (OMISSIS), succeduta al Demanio per i rimanenti sessantasette appartamenti che le erano stati ceduti, a titolo gratuito, nell’anno 2005 per la vendita agli assegnatari, per rogito trascritto all’Agenzia del Territorio di (OMISSIS) con nota del 30/10/2006, reg. Partita (OMISSIS) Reg. Gen. (OMISSIS) rep. (OMISSIS).

L’A.t.e.r. non aveva contestato il diritto deducendo che i ritardi erano da attribuirsi al Demanio che non aveva trasmesso l’elenco di coloro che aveva presentato istanza di acquisto.

2. Il Tribunale di Roma con sentenza n. 21242/2011 rigettava la domanda degli attori ritenendo che non potesse essere riconosciuto il diritto azionato in assenza dei “piani di cessione” approvati dalla Giunta Regionale che comunque dovevano essere predisposti dall’A.t.e.r. di (OMISSIS).

3. La Corte di appello con sentenza n. 6516 del 2014 rigettava l’impugnativa proposta dagli assegnatari ritenendo, con conferma della statuizione appellata, l’insussistenza dei “piani di cessione”, evidenza che non sarebbe stata sconfessata dalla produzione di una Delib. C.d.A. A.t.e.r. 27 luglio 2012, n. 37, con cui sarebbe stata disposta, per le pagine prodotte, la vendita, tra gli altri, di un immobile in (OMISSIS), ma non dei diversi appartamenti degli appellanti.

4. S.N. e C.L. ricorrono in cassazione avverso l’indicata sentenza con due motivi.

Resiste con controricorso l’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale Pubblica del Comune di Roma (ATER di (OMISSIS)).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo mezzo i ricorrenti denunciano la carenza e la contraddittorietà della motivazione su punti fondamentali della controversia; il travisamento dei fatti e la violazione e falsa applicazione della L.R. Lazio n. 27 del 2006.

La Corte territoriale aveva ignorato la produzione documentale degli appellanti sull’erroneo assunto che essa fosse relativa ad un immobile in (OMISSIS) confondendo in tal modo il numero degli appartamenti da vendere con il numero civico dell’immobile.

Non poteva sussistere invece nessun dubbio sulla portata della Delibera, come confermato dalle offerte di vendita inviate dall’A.t.e.r. ai singoli assegnatari in cui era stato indicato in modo specifico il singolo alloggio con i dati catastali ed il prezzo di vendita.

I giudici di merito sarebbero stati fuorviati dalla linea processuale tenuta dall’A.t.e.r. che nonostante la Regione Lazio avesse espresso parere favorevole – nel 2011 con nota della Direzione Regione Lazio prot. n. 30985 del 27/07/2011 ed in risposta a nota della prima, atti antecedenti alla costituzione in giudizio e richiamati nella Delib. A.t.e.r. n. 36 del 2012 – sosteneva in giudizio il contrario.

L’A.t.e.r. aveva disposto la vendita sul solo parere regionale del 2011.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione della L.R. Lazio n. 27 del 2006, art. 48, L. n. 560 del 1993 e della L. n. 241 del 1990; insufficiente, contraddittoria ed incongrua motivazione.

La Corte di merito non avrebbe neppure ben esaminato le censure degli appellanti sulla L.R. Lazio n. 27 del 2006, art. 48, che non avrebbe trovato applicazione quanto agli immobili oggetto di domanda di proprietà dell’A.t.e.r. dal 2005 che non avrebbe avuto bisogno di specifiche autorizzazioni, come precisato dalla Delib. n. 36 del 2012, ma del solo parere della Regione Lazio.

In ogni caso, anche ove necessari, non sarebbe stato comprensibile perchè la Regione avesse espresso nel 2011 parere favorevole senza che i piani di vendita fossero stati adottati.

Ai fini delle spese i giudici di merito avrebbero poi dovuto considerare la negligente condotta dell’A.t.e.r., che non aveva depositato i pure richiestile atti relativi alle vendite degli immobili in esame e non aveva illustrato i piani di vendita già predisposti nel 2011.

3. Il ricorso va rigettato rispetto ad entrambi i proposti motivi per le ragioni di seguito indicate.

3.1. I ricorrenti non allegano nè segnalano, per dar conto del dedotto travisamento dei contenuti della prova documentale addotta a sostegno della domanda, qual è il passaggio della Delibera che, mal governato nella interpretazione dei sui contenuti, avrebbe erroneamente condotto la Corte di appello a ritenere il “n. 67” riferito ad un civico anzichè al numero degli alloggi oggetto di dismissione da parte del Demanio e di vendita agli assegnatari.

Il vizio di motivazione fondato sul travisamento della prova implicando non una valutazione dei fatti, ma una constatazione che l’informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale – esclude che si verta in ipotesi di cd. doppia conforme quanto all’accertamento dei fatti, preclusivo del ricorso per cassazione ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giusta l’art. 348 c.p.c., u.c. (Cass. 05/11/2018 n. 28174).

Sull’indicata premessa si ha che la conformità che si registra nella fattispecie in esame tra le decisioni di primo e secondo grado rende il proposto motivo inammissibile quanto meno perchè i ricorrenti non fanno valere il diverso apprezzamento condotto sulla prova documentale tra i giudici, restando in tal modo integrata l’ipotesi della cd. doppia conforme e, con essa, la non deducibilità del travisamento quale vizio motivazionale non contemplato dall’art. 348 c.p.c., u.c..

Il ricorso non provvede, altresì, a cogliere dell’impugnata sentenza la ratio là dove essa conclude per l’infondatezza dell’appello reiterando gli argomenti del primo giudice sulla necessità, al fine della dismissione del patrimonio pubblico, dei “Piani di vendita” adottati dalla Regione Lazio subordinatamente ai quali gli immobili, stimati come sottraibili alla destinazione di pubblico servizio, restano alienabili agli assegnatari.

I ricorrenti non provvedono, così mancando di confrontarsi con la sentenza impugnata, di dare conto dell’esistenza di quella serie compiuta di atti in esito ai quali possa dirsi integrata la volontà dell’ente proprietario di dismettere il bene ad un determinato prezzo perchè poi su siffatto impegno possa poi costruirsi una domanda di accertamento del titolo proprietario.

Fermo il principio per il quale l’obbligo, per l’ente proprietario di alloggi di edilizia residenziale pubblica, di alienare l’immobile all’inquilino, che abbia manifestato una volontà in tal senso, non sorge per il solo fatto che l’appartamento sia stato inserito nel “Piano regionale di vendita”, ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 560, art. 1, comma 4, perchè quest’ultimo costituisce un mero atto preparatorio del procedimento amministrativo finalizzato all’alienazione, per il cui perfezionamento sarà comunque necessaria un’ulteriore manifestazione di volontà da parte dell’ente proprietario (Cass. 14/06/2012 n. 9719; Cass. 27/11/2018 n. 30721), vero è che i ricorrenti sul punto neppure deducono circa l’intervenuta formazione della volontà dismissiva, se non in forza di una Delibera dell’A.t.e.r. rispetto alla quale la predisposizione del relativo “Piano di vendita” dovrebbe essere presupposto.

La L. 24 dicembre 1993, n. 560, art. 1, comma 4 (G.U. n. 306 del 31/12/1993) contenente “Norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica” prevede che “Le regioni, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, formulano, su proposta degli enti proprietari, sentiti i comuni ove non proprietari, piani di vendita al fine di rendere alienabili determinati immobili nella misura massima del 75 per cento e comunque non inferiore al 50 per cento del patrimonio abitativo vendibile nel territorio di ciascuna provincia. Trascorso tale termine, gli enti proprietari, nel rispetto dei predetti limiti, procedono alle alienazioni in favore dei soggetti aventi titolo a norma della presente legge”.

Perchè sul procedimento previsto dall’indicata legge possa inserirsi un accertamento costitutivo della volontà dismissiva e quindi ai sensi dell’art. 2932 c.c., del trasferimento proprietario del bene è necessario che vi stato un incontro di volontà secondo la struttura propria del contratto preliminare.

Le procedure di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, inseriti nei piani di vendita approvati ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 560, non costituiscono una deroga al principio generale di forma essenziale che regola l’efficacia traslativa dei contratti aventi ad oggetto beni immobili, come anche la stipulazione dei contratti della Pubblica Amministrazione (alla cui stregua non è possibile dare ingresso ai c.d. fatta concludentia).

Il riesame delle risultanze documentali invocato dai ricorrenti con riguardo alla vicenda amministrativa a base della presente lite non può, pertanto, indurre a ravvisare un effetto perfezionativo del contratto (definitivo o preliminare) di vendita tra il legale rappresentante dell’ente e l’assegnataria dell’alloggio ove non risultasse rispettato (sulla base di accertamento di fatto che è devoluto al giudice del merito) il requisito della forma scritta richiesta ad substantiam.

E tanto è destinato a valere anche se tale requisito non richiede necessariamente la redazione dell’atto su di un unico documento sottoscritto da entrambe le parti, ma può essere soddisfatto anche mediante lo scambio delle missive recanti, rispettivamente, la proposta e l’accettazione, purchè entrambe siano sottoscritte ed inscindibilmente collegate, in modo da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo (arg. da Cass., 24/03/2011, n. 6852; vd. Cass. 27/11/2018 n. 30721, in motivazione par. VI).

L’insufficienza in tal senso della Delibera di vendita nell’irrisolto suo rilievo in questa sede, e finanche, della riferibilità della stessa all’alloggio dei ricorrenti debitamente dedotto come tale nelle pregresse fasi di merito, preclude a questa Corte di legittimità ogni accertamento sul punto rilevandosi nel resto la lacunosità fattuale, nell’insuperato il giudizio sul punto espresso dalla Corte di appello.

3.2. Il profilo del secondo motivo relativo alla regolamentazione delle spese di lite di cui si denuncia il carattere sproporzionato è inammissibile per genericità non traducendosi in una denuncia di violazione di legge che non viene neppure segnalata nella sua trasgressione ed attiene a materia in cui la discrezionalità del giudice del merito è destinata a sostenere l’adottata pronuncia fino al limite, unico, del non sovvertimento del principio della soccombenza per condanna al pagamento delle spese di lite della parte rimasta vittoriosa (Cass. 17/10/2017 n. 24502; Cass. 31/03/2017 n. 8421).

3.3. In via conclusiva il ricorso è infondato e come tale va rigettato.

Le spese sono liquidate in ragione del principio della soccombenza come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto, pari a quello definito a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere alla controcorrente le spese di lite che liquida in Euro 2.500,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto, pari a quello definito a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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