Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10737 del 04/05/2010

Cassazione civile sez. II, 04/05/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 04/05/2010), n.10737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CASSIODORO 19, presso lo studio dell’avvocato BENUCCI

CLAUDIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FAIN

BINDA MARIANO;

– ricorrente –

e contro

P.F. (OMISSIS), P.E.

(OMISSIS), P.S. (OMISSIS), M.

S. (OMISSIS), L.G. (OMISSIS),

M.G. (OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 6368-2005 proposto da:

M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANAPO 46, presso lo studio dell’avvocato CORBO SETTIMIO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GALVAGNI BENINI

MARIO;

– controricorrente ric. incidentale condizionato –

e contro

B.C. (OMISSIS), P.F.

(OMISSIS), P.E. (OMISSIS), P.

S. (OMISSIS), M.S. (OMISSIS),

L.G. (OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 7096-2005 proposto da:

P.F. (OMISSIS), P.E.

(OMISSIS), P.S. (OMISSIS), M.

S. (OMISSIS), L.G. (OMISSIS)

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. PISANELLI 4, presso lo

studio dell’avvocato GIGLI GIUSEPPE, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CINTI RICCARDO;

– controricorrenti ric. incidentali subordinati-

e contro

B.C., M.G. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1720/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2010 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito l’Avvocato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.F., P.E., P.S., M.S. e L.G. proponevano appello avverso la sentenza del tribunale di Verona n. 1685/00 con la quale era stata rigettata l’opposizione al decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto dall’avvocato B.C. nei confronti di essi appellanti per il pagamento di L. 227.815.088 a titolo di compenso per prestazioni professionali stragiudiziali relative alla cessione di un pacchetto azionario della società Cansignorio e dell’immobile (castello) che formava tutto il patrimonio sociale e del valore di L. 6-7 miliardi.

Anche M.G. proponeva appello avverso la stessa sentenza con la quale era stata rigettata l’opposizione a decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto dall’avvocato B.C. nei confronti di esso appellante per il pagamento di L. 104.800.949 a titolo di compenso per prestazioni professionali stragiudiziali consistite in attività di consulenza e di predisposizione di contratti di opzione e preliminari relativi alla cessione di un immobile di proprietà della s.p.a. Cansignorio.

L’avvocato B.C. si costituiva e chiedeva il rigetto degli appelli.

Con sentenza 18/10/2004 la corte di appello di Venezia, in accoglimento dei gravami e in riforma dell’impugnata decisione, revocava i decreti ingiuntivi opposti ed accertava che non era dovuto il compenso all’avvocato B. ai sensi dell’articolo 1460 c.c..

La corte di merito, per quel che ancora rileva in questa sede, osservava: che, non essendovi impugnazione sul punto, il rapporto tra le parti doveva restare qualificato come contratto d’opera professionale e non come mediazione; che secondo gli appellanti principali l’avvocato B. aveva operato solo su incarico del M. il quale aveva invece sostenuto il contrario; che si trattava di due contratti di prestazioni professionali; che la prova dell’esistenza degli incarichi conferiti al professionista dal M. e dai P., M. e L. si ricavava da molteplici elementi probatori, ossia dalle numerose prove documentali e testimoniali acquisite (e nel dettaglio indicate) dalle quali risultava che l’avvocato B. era stato legale anche del gruppo P. oltre che del M.; che era stato il B. a proporre l’acquisto del castello al M. il quale era divenuto suo cliente curando gli interessi di entrambe le parti sino al momento del subentro dell’avvocato D.M. all’avvocato B. nel tutelare gli interessi del M.; che a richiedere l’opera professionale dell’avvocato B. erano stati sia il M. (che voleva acquistare per poi rivendere), sia il gruppo P. che voleva vendere; che quindi il B. aveva accettato gli incarichi conferitigli da due parti aventi interessi contrastanti e contrapposti; che il secondo il professionista il conflitto di interessi sarebbe sorto solo in seguito al momento della rinuncia al mandato conferitogli dal M.; che tale tesi era infondata posto che il conflitto sussisteva sin dall’inizio essendo evidente l’interesse del venditore di vendere al maggior prezzo e il contrapposto interesse del compratore ad acquistare al minor prezzo;

che si trattava di un conflitto effettivo e non potenziale essendo in “re ipsa” nel contratto di compravendita; che dal rilevato conflitto di interessi non derivava la nullità dei contratti d’opera professionale in questione non potendo tale conflitto di per sè esonerare le parti che avevano conferito l’incarico dal pagamento del prezzo; che però la violazione del dovere dell’avvocato di usare la diligenza del buon padre di famiglia comportava inadempimento contrattuale con applicazione del principio di cui all’art. 1460 c.c., e conseguente perdita di diritto al compenso; che l’avvocato B. non solo aveva curato contemporaneamente due clienti in rapporto tra loro conflittuale, ma aveva anche mantenuto una condotta ambigua non sentendo la necessità di chiarire la situazione; che pur se non espressamente richiamato dagli appellanti l’art. 1460 c.c., i continui riferimenti all’inesistenza del credito, alle inadempienze del B. e alla scorrettezza e ambiguità della sua condotta, esprimevano la volontà dei detti appellanti di sollevare l’eccezione di cui al citato articolo, eccezione che non richiedeva l’adozione di formule sacramentali ben potendo essere desumibile in modo non equivoco – come nella specie – dall’insieme delle difese e dalla condotta processuale; che al riguardo bastava richiamare quanto dedotto dagli appellanti principali nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo e dal M. nella comparsa di appello.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Venezia è stata chiesta dall’avvocato B.C. con ricorso affidato ad un solo articolato motivo illustrato da memoria. Hanno resistito con separati controricorsi P.F., P.E., P. S., M.S. e L.G. – i quali hanno proposto ricorso incidentale subordinato sorretto da due motivi illustrati da memoria – e M.G. che ha spiegato ricorso incidentale condizionato sulla base di un solo motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale e quelli incidentali vanno riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Innanzitutto va rilevata l’inammissibilità del ricorso incidentale proposto da M.G..

Al riguardo va osservato che, secondo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c., n. 3 e art. 371 c.p.c., il ricorso incidentale deve contenere, al pari di quello principale, l’esposizione, sia pur sommaria, dei fatti di causa. Affinchè il requisito anzidetto possa ritenersi soddisfatto è necessario che il contenuto del ricorso sia tale da consentire a giudice di legittimità di avere una chiara e completa visione e cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o ad altri atti in suo possesso compresa la stessa sentenza impugnata.

Nel caso in esame nulla di quanto richiesto per ritenere sussistente il requisito in questione – di cui al citato art. 366 c.p.c., n. 3 – è rinvenibile nel ricorso incidentale così come predisposto dal M. e che è del tutto privo della parte relativa ai fatti di causa. Peraltro dal contenuto dell’unico motivo del ricorso incidentale, ossia dal contesto della sua parte critica, non è possibile ricostruire in modo sufficientemente preciso l’origine e l’oggetto della controversia le varie vicende del processo e le posizioni assunte dai soggetti che vi hanno partecipato, le rilevate omissioni e carenze non consentono di desumere la conoscenza del fatto sostanziale e processuale tale da far intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia impugnata.

L’unico motivo del ricorso principale – con il quale l’avvocato B.C. denuncia vizi di motivazione e violazione dell’art. 112 c.p.c. – risulta articolato in diverse censure.

Il ricorrente – dopo aver precisato il contenuto e la causale dei crediti oggetto dei due decreti ingiuntivi opposti – sostiene che la sentenza impugnata è viziata da ultrapetizione per aver la corte di appello rilevato il conflitto di interessi non per aver esso B. accettato l’incarico per la vendita delle azioni della s.p.a. Cansignorio da parte del compratore e del venditore, ma per aver accettato di assistere il M. nella vendita dell’immobile in questione: malgrado ciò la corte di merito ha ritenuto sussistente il conflitto di interessi fin dall’inizio.

In ogni caso è da escludere l’applicazione dell’art. 1460 c.c., non rappresentando inadempimento il fatto di assistere due parti contrattuali, nè è possibile ravvisare un conflitto potenziale nell’assistere due parti intenzionate a stipulare un contratto di opzione e un contratto preliminare. Il conflitto può concretamente sussistere ma deve essere valutato caso per caso e non ritenuto astrattamente presente come effettuato dalla corte di merito. Nella specie la vendita delle azioni della Cansignorio e la cessione dell’immobile sono nate in due momenti diversi. Peraltro esso B. non è entrato nella trattativa concreta svolta direttamente dalle parti entrandovi solo come “super partes” per redigere atti negoziali.

La corte territoriale, inoltre, non ha tenuto conto del fatto che esso ricorrente nel periodo dal 10/10/1995 al 15/2/1996 ha assistito solo il gruppo P. per la cessione delle quote sociali, mentre nel periodo dal 15/2/1996 al 4/4/1996 ha assistito il M. nella trattativa per la cessione dell’immobile al signor K..

Pertanto solo in relazione a tale secondo periodo la corte di appello avrebbe comunque dovuto limitare il conflitto di interessi.

Del tutto insufficiente, omessa e contraddittoria è la motivazione della sentenza impugnata – anche per omesso o errato esame dei documenti probatori acquisiti – con riferimento all’asserita condotta ambigua di esso B..

L’applicazione al caso di specie dell’art. 1490 c.c., è stata ritenuta possibile pur senza alcuna domanda ed eccezione delle controparti le quali non hanno proposto alcuna domanda di inadempimento avendo solo contestato di aver conferito l’incarico professionale in favore di esso ricorrente. La corte ha quindi deciso una questione non oggetto di contraddittorio ed ha ravvisato la volontà di sollevare l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c., sulla base di elementi (tesi difensive sviluppate dalle parti) contraddittori, non ben valutati e del tutto inidonei a consentire tale ravvisabilità tenuto anche conto della impostazione difensiva delle parti volta a negare il conferimento dell’incarico il che si pone in contrasto con il presunto conflitto di interessi e con l’inadempimento.

La Corte rileva l’infondatezza delle dette censure che riguardano tutte, quale più quale meno e pur se sotto profili diversi, le stesse questioni o problematiche collegate riguardanti in buona parte ed essenzialmente attività rimesse istituzionalmente al giudice del merito. Le censure in esame – anche se titolate come vizi di motivazione e violazione di legge – si risolvono quasi esclusivamente nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, nonchè nella pretesa di contrastare il risultato dell’attività svolta dalla corte di appello nell’esercizio di compiti alla stessa affidati e del suo potere discrezionale di apprezzamento dei fatti e delle risultanze istruttorie, con particolare riferimento all’interpretazione delle domande ed eccezioni come formulate dalle parti negli scritti difensivi.

Occorre premettere che questa Corte – in tema di interpretazione delle difese articolate dalla parti, di modalità relative alla formulazione dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., di sussistenza del conflitto di interesse nelle prestazioni dell’attività professionale dell’avvocato e di obblighi del professionista di usare la diligenza del buon padre di famiglia – ha avuto modo di affermare i seguenti principi che il Collegio condivide e fa propri:

– l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata avuto riguardo all’intero contesto dell’atto e senza che ne risulti alterato il senso letterale, tenuto conto, in tale operazione, della formulazione testuale dell’atto nonchè del contenuto sostanziale della pretesa in relazione alle finalità che la parte intende perseguire, elemento rispetto al quale non assume valore condizionante la formula adottata dalla parte medesima (sentenze 9/9/2008 n. 22893; 26/6/2007 n. 14751;

6/4/2006 n. 8107; 14/3/2006 n. 5491);

– nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda il giudice di merito, non condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, ha il potere – dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio, nonchè dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di non sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella esercitata. Tale ampio potere, attribuito al giudice per valutare la reale volontà della parte quale desumibile dal complessivo comportamento processuale della stessa, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità soltanto se il suo esercizio ha travalicato i predetti limiti, ovvero è insufficientemente o illogicamente motivato (sentenza 29/4/2004 n. 8225);

– l’exceptio inadimpleti contractus, di cui all’art. 1460 c.c., costituisce un’eccezione in senso proprio, rimessa pertanto alla disponibilità ed all’iniziativa del convenuto, senza che il giudice abbia il dovere di esaminarla d’ufficio. Tuttavia, essa, al pari di ogni altra eccezione, non richiede l’adozione di forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà della parte di sollevarla (onde paralizzare l’avversa domanda di adempimento) sia desumibile, in modo non equivoco, dall’insieme delle sue difese e, più in generale, dalla sua condotta processuale, secondo un’interpretazione del giudice del merito che, se ancorata a corretti canoni di ermeneutica processuale, non è censurabile in sede di legittimità (sentenze 29/9/2009 n. 20870; 12/2/2004 n. 2706;

5/8/2002 n. 11728);

– sussiste conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato qualora il terzo persegua interessi propri o di terzi incompatibili con quelli del rappresentato, cosicchè all’utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante o dal terzo corrisponda o possa corrispondere il danno del rappresentato. L’accertamento dell’esistenza del conflitto – che coinvolge un’indagine di fatto riservata al giudice di merito ed è sindacabile dal giudice di legittimità per vizi di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – deve essere, peraltro, condotto sulla base del contenuto e delle modalità dell’operazione, prescindendo da una contestazione di formale contrapposizione di posizioni, che può valere come semplice elemento presuntivo di conflitto 8 sentenza 26/9/2005 n. 18792);

– la regola del codice deontologico professionale che vieta all’avvocato di assumere il patrocinio di soggetti portatori di interessi contrastanti si applica tutte le volte in cui sia stata accertata (ed adeguatamente motivata) l’esistenza e la verificazione, in concreto, di un conflitto tra le parti, che deve, pertanto, risultare effettivo e non soltanto potenziale (sentenza 15/10/2002 n. 14619);

– il professionista, nella prestazione dell’attività professionale, sia questa configurabile come adempimento di un’obbligazione di risultato o di mezzi, è obbligato, a norma dell’art. 1176 c.c., ad usare la diligenza del buon padre di famiglia; la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale, del quale il professionista è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve e, in applicazione del principio di cui all’art. 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso (sentenza 23/4/2002 n. 5928).

Ciò posto va osservato che la corte di appello – come sopra riportato nella parte narrativa che precede – ha affermato che:

l’opera professionale dell’avvocato B. è stata chiesta da coloro che volevano vendere e da colui che voleva acquistare;

l’avvocato B. ha accettato l’incarico conferitogli da due parti aventi interessi contrastanti e contrapposti, conflitto di interessi effettivo e non solo ipotetico e potenziale, oltre che sussistente sin dall’inizio dei primi contatti tra il professionista e le dette parti; il ricorrente ha curato gli interessi sia del gruppo P. (venditori) sia del M. (compratore) violando l’obbligo del professionista di non assumere l’assistenza di due parti in contrasto di interessi; la violazione di tale dovere – e dell’obbligo di usare la diligenza del buon padre di famiglia – ha comportato l’inadempimento del professionista e, in applicazione del principio di cui all’art. 1460 c.c., la perdita del compenso;

l’eccezione di inadempimento era desumibile “in modo non equivoco” dall’insieme delle difese degli appellanti in considerazione ai “continui riferimenti all’inesistenza del credito, alle inadempienze dell’avv. B., in particolare alla scorrettezza di aver ingenerato in ogni parte con la sua condotta ambigua la convinzione che stesse tutelando gli interessi dell’altro” (pagina 16 sentenza impugnata).

La corte territoriale è pervenuta a tali conclusioni nel pieno rispetto dei principi giurisprudenziali sopra evidenziati e attraverso un iter logico ineccepibile sorretto da complete ed appaganti argomentazioni frutto di un’indagine accurata e puntuale del contenuto delle difese come articolate dalle parti, nonchè delle risultanze di causa menzionate nella decisione di cui si chiede l’annullamento.

In particolare la corte di merito ha ritenuto di valorizzare le ragioni sviluppate nelle difese degli appellanti volte sostanzialmente a dimostrare la sussistenza, fin dall’inizio, di un conflitto di interesse tra coloro che intendevano vendere e il M. che intendeva acquistare, ossia tra i soggetti assistiti dall’avvocato B.: da ciò il comportamento ambiguo del professionista e la violazione del dovere di adempiere all’incarico affidatogli con la diligenza del buon padre di famiglia, con conseguente fondatezza dell’eccezione di inadempimento agevolmente desumibile in modo inequivoco dall’insieme delle difese come articolate dai soggetti intimati con i decreti ingiuntivi opposti.

Dall’esame e dall’interpretazione dei motivi posti a base delle tesi difensive degli appellanti il giudice di secondo grado ha coerentemente ritenuto necessariamente prospettata e sollevata, in quanto logicamente consequenziale, l’exceptio inadimpleti contractus ex art. 1460 c.c., diretta a paralizzare la pretesa avversaria.

L’operazione ermeneutica della corte veneziana è sorretta da articolata ed adeguata motivazione oltre che ampiamente ragionevole in quanto basata su dati testuali delle difese degli appellanti.

Va infine rilevato – con riferimento alle critiche mosse dal ricorrente in ordine all’apprezzamento delle prove operato dal giudice del merito (omesso o errato esame di risultanze istruttorie) – che la valutazione delle risultanze probatorie è incensurabile in questa sede di legittimità se (come appunto nella specie) sorretto da motivazione adeguata, logica ed immune da errori di diritto: il sindacato di legittimità sul punto è limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nell’impugnata sentenza. Inammissibilmente il ricorrente prospetta una diversa lettura del quadro probatorio dimenticando che l’interpretazione e la valutazione delle risultanze probatorie sono affidate al giudice del merito e costituiscono insindacabile accertamento di fatto: la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione per il solo fatto che gli elementi considerati dal giudice del merito siano, secondo l’opinione di parte ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione conforme alla tesi da essa sostenuta.

Alle valutazioni della corte di merito il ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito (Ndr: testo originale non comprensibile), in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.

Pertanto, poichè resta istituzionalmente preclusa in sede di legittimità ogni possibilità di rivalutazione delle risultanze istruttorie, non può il ricorrente pretendere il riesame del merito sol perchè la valutazione delle accertate circostanze di fatto come operata dal giudice di secondo grado non collima con le sue aspettative e confutazioni.

Sono quindi insussistenti gli asseriti vizi di motivazione che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito.

In definitiva devono ritenersi infondate tutte le censure mosse dal ricorrente non essendo ravvisabili nè il lamentato difetto di motivazione, nè le asserite violazione di legge: la sentenza impugnata è del tutto corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto.

Il ricorso principale deve di conseguenza essere rigettato.

Dal rigetto del ricorso principale discende l’assorbimento del ricorso incidentale proposte espressamente in via condizionata da P.F., P.E., P.S., M.S. e L.G. Sussistono giusti motivi – in considerazione, tra l’altro, della natura della controversia e delle questioni trattate, del contrasto tra le pronunzie rese nei gradi di merito, nonchè della non felice chiarezza espositiva delle tesi difensive sviluppate dagli intimati negli atti posti a base dell’opposizione ai decreti ingiuntivi in questione – che inducono a compensare per intero tra il ricorrente ed i resistenti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte: riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto da M.G.;

dichiara assorbito il ricorso incidentale proposto da P. F., P.E., P.S., M.S. e L. G.; compensa per intero tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2010

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