Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10736 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 22/04/2021), n.10736

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28663-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

Contro

SOCIETA’ ESSEMATICA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3865/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DEL LAZIO, depositata il 07/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CROLLA

COSMO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. La soc. Essematica spa impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia dell’Entrate, recependo i rilievi del processo verbale di contestazione redatto dalla Guardia di Finanza che evidenziava un sistema di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti che vedevano coinvolte diverse società, disconosceva la detrazione Iva, in relazione alla fattura nr. 69/2010 dell’importo di Euro 561.229,24 emessa da Tecniche Modulari srl recuperando a tassazione l’imposta per l’anno 2010 ritenendo, sulla base di plurimi indizi che la contribuente fosse consapevole dell’inesistenza soggettiva dell’operazione e del contesto fraudolento in cui questa si inseriva.

2. La commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso ritenendo che gli elementi forniti dall’Ufficio non fossero idonei a provare la consapevolezza della contribuente delle condotte frodatorie poste in essere dalla società che aveva emesso la fattura.

3. Sull’impugnazione della contribuente la Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello confermando le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado in punto di consapevolezza o anche solo conoscibilità della contribuente di essere parte della c.d. frode carosello;

4. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo un unico motivo.

5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con un unico motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 21 e 54, e degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; si sostiene che la CTR non ha rispettato il canone di riparto dell’onere della prova in relazione alle contestate operazioni soggettivamente inesistenti, ed in particolare, che non è stato correttamente valutato uno degli elementi indiziari forniti dall’Ufficio e che è stato omesso l’esame degli altri elementi addotti nell’accertamento sintomatici della mala fede del contribuente.

2. Il motivo è fondato.

2.1 Il thema decidendum è costituito dalla detraibilità o meno dell’imposta versata dal cessionario su fattura per una operazione soggettivamente inesistente in quanto riferibile ad un sistema di cessioni (cosidetta “frode carosello”) volto all’evasione fiscale.

2.2 Ciò premesso, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, la circostanza che l’operazione si inserisca in una fattispecie fraudolenta di evasione dell’IVA non comporta ineludibilmente la perdita, per il cessionario, del diritto di detrazione. è, infatti, configurabile un’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se “non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’IVA” (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahageben e David, C-80/11 e C142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14)

2.3 A tale insegnamento si è conformata la giurisprudenza di questa Corte affermando che “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018 – Rv. 647837 – 01; conforme Sez. 5 -, Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018 – Rv. 651004 – 01);

2.4 Nel caso di specie, la sentenza impugnata si è attenuta al consolidato canone giurisprudenziale di riparto dell’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, ponendo a carico dell’Agenzia l’onere di dimostrare la fittizietà dei fornitori e la circostanza che la contribuente versava in condizioni di conoscenza o conoscibilità di tale stato di cose, ed ha escluso che sia intervenuta la dimostrazione dell’elemento soggettivo.

2.5 In particolare, la sentenza si è data carico di indicare gli elementi presuntivi (costituiti dalle incongrue modalità dei rapporti commerciali intrattenuti dalla Essematica spa non con un responsabile della Tecniche Modulari ma con il responsabile commerciale e dalla circostanza che la merce, veduta da Tecniche Modulari ad Essematica spa ad Euro 673.475 era stata dalla cedente acquistata ad Euro 898.034) posti dall’Amministrazione finanziaria a sostegno del proprio assunto circa l’assenza di buona fede in capo alla Essematica spa ed ha motivatamente escluso che tali elementi fossero sufficienti a determinare anche solo la conoscibilità in capo alla contribuente di essere parte della frode carosello.

Si legge nella motivazione “Tale assetto motivazionale non appare al Collegio provvisto dei requisiti dell’autosufficienza di valutazione e di legittimità della presunzione che, pur essendo semplice, deve essere accompagnata dal requisito della gravità, precisione e concordanza, che non possono essere ricompresi in un’unica operazione commerciale sia pure di importo elevato e fondato sulla presunta irregolarità di modalità di acquisto come se, nelle contrattazioni commerciali, esistesse un codice di comportamento inderogabile e non vigesse, invece, il principio del massimo profitto con il minimo sforzo. Lo stesso processo verbale della Guardia di Finanza, al foglio 12, terzo capoverso, sostiene che la ricorrente abbia pagato un prezzo non corrispondente al valore normale del bene per cui sarebbe applicabile il decreto attuativo del 22/12/2005 della L. n. 311 del 2004 che ha introdott(o)a la regola della solidarietà nel pagamento dell’imposta, ma l’unica prova offerta al riguardo è la constatazione che il cedente aveva acquistato ad un prezzo maggiore, senza alcun riscontro sulla conoscenza da parte del cessionario dell’eccessivi ribasso eventualmente ottenuto”.

2.6 La CTR ha quindi correttamente applicato la disciplina della ripartizione dell’onere probatorio e, pertanto, non può parlarsi di violazione dell’art. 2697 c.c..

2.7 Con riferimento al profilo di doglianza di violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. attraverso il quale la sentenza viene criticata per aver illogicamente ed in modo incompleto valutato gli elementi indiziari addotti dall’Ufficio va rilevato che questa Corte (cfr. Cass. 17720/2018), in tema di sindacato delle presunzioni semplici, integrando un intervento delle Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U. nr. 1785) ha affermato i seguenti testuali principi ” In tema di presunzioni di cui all’art. 2729 c.c., è deducibile come vizio di violazione e falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3: a) l’ipotesi in cui il giudice di merito contraddica il disposto dell’art. 2729 c.c., comma 1, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti), che non siano gravi, precise e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma; b) l’ipotesi in cui il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 c.c., fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacchè dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza; c) l’ipotesi, opposta a quella sub b) in cui espressamente, cioè motivando, il giudice di merito abbia ritenuto un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così rifiutandosi di sussumere sotto la norma dell’art. 2729 c.c., fatti che avrebbero avuto le caratteristiche per esservi sussunti e, quindi, incorrendo per tale ragione in una sua falsa applicazione”.

2.8 Ciò premesso va rilevato come la CTR abbia ritenuto privi di valenza inferenziale due elementi indiziari prospettati dall’Ufficio, omettendo del tutto di esaminare due ulteriori fatti storici presuntivi, allegati nell’avviso di accertamento, costituiti dal versamento dell’intero corrispettivo dell’operazione avvenuto a fornitura non ancora completata e la rivendita della merce acquistata a due società risultate coinvolte in operazioni fraudolente di evasioni fiscali.

2.9 Si tratta di fatti, mai contestati nei due giudizi di merito e quindi accertati, che, ove apprezzati nella loro intrinseca valenza presuntiva e comparati con gli altri elementi, valutati e ritenuti in sè privi di gravità, precisione e concordanza, avrebbero potuto portare la CTR ad un diverso ragionamento presuntivo.

3. Il ricorso va, quindi, accolto con cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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