Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10736 del 03/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 03/05/2017, (ud. 03/04/2017, dep.03/05/2017),  n. 10736

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F.A., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dagli Avv. Aura Fonda, Maria Antonietta Perilli

e Carla Silvestri, con domicilio eletto nello studio dell’Avv. Maria

Antonietta Perilli in Roma, via della Conciliazione, n. 44;

– ricorrente –

contro

F.F. e FO.Al., rappresentate e difese, in forza di

procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Gioacchino

Boglich, Giulio Dimini, Luigi Biamonti e Pier Luigi Biamonti, con

domicilio eletto nello studio degli ultimi due in Roma, lungotevere

Michelangelo, n. 9;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

M.P.;

– intimata –

e sul ricorso proposto da:

M.P., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Riccardo Nurra e

Isidoro Toscano, con domicilio eletto nello studio di quest’ultimo

in Roma, via dei Corridoni, n. 48;

– ricorrente in via incidentale –

contro

F.F. e FO.Al., rappresentate e difese, in forza di

procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Gioacchino

Boglich, Giulio Dimini, Luigi Biamonti e Pier Luigi Biamonti, con

domicilio eletto nello studio degli ultimi due in Roma, lungotevere

Michelangelo, n. 9;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

F.A.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 753

pubblicata in data 29 marzo 2012;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3

aprile 2017 dal Consigliere relatore Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e del ricorso incidentale;

uditi gli Avvocati Carla Silvestri e Pier Luigi Biamonti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – U.A. ved. F. e Al. e F.F., quali eredi di f.a., con atto notificato il (OMISSIS) convennero F.A., fratello di a., ed il Comune di Trieste davanti al Tribunale di Trieste e, premesso che il medesimo Tribunale con sentenza n. 982 del 24 giugno 1992 aveva accolto la domanda di F.A. di declaratoria dell’acquisto per usucapione di una superficie comunale di mq 329, poi identificata come p.t. (OMISSIS) del c.c. di (OMISSIS), nel cui possesso entrambi i fratelli F. erano succeduti nell’anno 1972 al padre G., proposero opposizione di terzo avverso la sentenza e domandarono l’accertamento della loro comproprietà del bene usucapito in ragione del 50%. Inoltre, con ulteriore atto notificato il 9 gennaio 1995, la U. e le F., esponendo che F.A. aveva venduto il (OMISSIS) a M.P. l’intera superficie usucapita, che, unitamente alla p.t. (OMISSIS) di mq. 125 circa, costituiva il terreno sul quale F.G. aveva costruito nel 1935 una villetta composta da due appartamenti sovrapposti, devoluti per testamento al figlio a., quello al primo piano, ed al figlio A., quello al piano terra, convennero F.A. e la M. davanti al Tribunale di Trieste e rivendicarono nei confronti di entrambi i convenuti la comproprietà della superficie, domandando, in via concorrente o alternativa, la declaratoria della nullità della compravendita per simulazione assoluta o del loro diritto di prelazione ex art. 732 c.c., nonchè la condanna solidale di F.A. e della M. al risarcimento dei danni.

Resisterono F.A. e la M. e, nella contumacia del Comune di Trieste, il Tribunale, riunite le cause, con sentenza del 28 maggio 2001 dichiarò improponibile l’opposizione di terzo e rigettò le restanti domande delle attrici, compensando integralmente tra le parti le spese dei giudizi.

2. – La decisione, gravata dalla U. e dalle F., venne riformata il 28 settembre 2004 dalla Corte di appello di Trieste, che, “in parziale accoglimento dell’opposizione ex art. 404 c.p.c.”, condannò F.A. a pagare alla U. ed alle F. la somma complessiva di Euro 98.193, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, “da computarsi – previa devalutazione di essa al (OMISSIS) – sulla somma annualmente rivalutata da tale data al saldo”, e compensò tra le parti le spese del secondo grado di giudizio, ponendo gli oneri di c.t.u. a carico di tutte le parti nella misura di 1/3 ciascuna.

Premesso che nel sistema tavolare il valore costitutivo dell’iscrizione è limitato agli atti di acquisto inter vivos e non si estende ai trasferimenti per causa di morte od agli acquisti per usucapione e che non poteva ritenersi che con il suo comportamento il dante causa delle attrici avesse rinunciato all’usucapione maturata anche in suo favore, osservarono i giudici di secondo grado che il diritto di comproprietà della U. e delle F. sul bene usucapito non era opponibile alla M., che aveva acquistato il bene sulla fede del libro fondiario, e che F.A. doveva essere condannato, conseguentemente, al risarcimento dei danni cagionati alle attrici dalla perdita del loro diritto, liquidati in misura corrispondente al valore del 50% del bene usucapito, depurato della metà delle spese sostenute da F.A. per l’ottenimento della sentenza oggetto di opposizione.

3. – Con la sentenza n. 3927 del 2010, la Corte di cassazione, rigettando o dichiarando inammissibili gli altri motivi di ricorso, accoglieva: il secondo motivo di ricorso principale, con il quale la U. e le figlie lamentavano che, nella determinazione del danno, la Corte distrettuale avesse detratto dal valore del medesimo le spese sostenute da F.A. per ottenere la declaratoria di usucapione nei confronti del Comune; il quarto motivo di ricorso incidentale proposto da F.A., per vizio di motivazione sul fatto produttivo di danno, sull’elemento soggettivo della condotta e sul nesso causale con l’evento dannoso; e il ricorso incidentale proposto dalla M. per contestare la compensazione delle spese. Rinviava, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia.

4. – La Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata il 29 marzo 2012, in riforma della sentenza del Tribunale di Trieste n. 491/01, ed in parziale accoglimento dell’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. proposta da U.A., Fo.Al. e F.F., ha condannato F.A. a pagare alle ultime due, anche quali eredi della prima, la complessiva somma capitale di Euro 123.888, oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dal 21 aprile 2004 ad oggi ed agli interessi legali, da computarsi – previa devalutazione di tale somma al (OMISSIS) – sulla somma annualmente rivalutata da quest’ultima data al saldo. Ha condannato F.A. alla rifusione, in favore di Al. e F.F., delle spese dei quattro gradi di giudizio. Ha condannato Al. e F.F. alla rifusione, in favore di M.P., dei 2/3 delle spese dalla medesima sostenute nei quattro gradi.

4.1. – La Corte del rinvio ha ritenuto la domanda risarcitoria delle attrici pienamente fondata.

Secondo la Corte di Venezia, la condotta illecita di F.A. va ravvisata sia nella proposizione della causa di usucapione contro il Comune – non solo senza citare il fratello, ma anche chiedendo l’usucapione soltanto in proprio favore – sia nella vendita del bene usucapito, che in tal modo poneva al riparo da rivendica, in quanto trasferito alla M., alla quale la comproprietà del fratello (e poi dei di lui eredi) è risultata inopponibile con decisione ormai passata in giudicato.

Si tratta – ha aggiunto la Corte – di una condotta complessa, ognuno dei cui elementi risulta indispensabile per la produzione dell’evento dannoso, rappresentato dalla perdita della (com)proprietà: la sola azione per ottenere l’usucapione del bene, infatti, avrebbe ancora consentito alla parte comproprietaria di agire in rivendica, recuperando il bene, mentre l’alienazione in favore di terzi l’ha impedita; ed il dolo (o, quantomeno, la colpa grave) del convenuto è reso evidente dall’avere egli agito all’insaputa del fratello ed in violazione dei di lui diritti, e poi nel non avere reso edotte le eredi nè dell’azione proposta, nè della sentenza ottenuta, e neppure infine dell’alienazione del bene in favore di terzi.

Per quanto concerne il quantum del risarcimento dovuto, la Corte del rinvio ha rilevato che la sentenza della Corte di cassazione non consente di detrarre – dal valore del risarcimento, accertato dalla Corte di Trieste, sul punto assistita dal giudicato, in Euro 123.888 – l’importo di Euro 25.695, a titolo di spese sostenute da F.A. per ottenere la sentenza di usucapione (come statuito dalla stessa Corte d’appello, con la sentenza sul punto cassata).

5. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello F.A. ha proposto ricorso, con atto notificato il 14 e il 19 luglio 2012, sulla base di due motivi.

Hanno resistito, con controricorso, F. e Fo.Al..

M.P. ha a sua volta proposto ricorso incidentale, affidato ad un mezzo.

Hanno resistito, con controricorso, F. e Fo.Al..

In prossimità dell’udienza F.A. nonchè F. e Fo.Al. hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso principale, F.A. denuncia violazione dell’art. 384 c.p.c., dolendosi del fatto che la Corte di Venezia non avrebbe rispettato il decisum della Corte di cassazione che, accogliendo il motivo di cui al ricorso incidentale, ha cassato la sentenza n. 644 del 2004 della Corte di Trieste. Secondo il ricorrente, la ragione dell’annullamento fu basata non sull’osservazione critica che la Corte di Trieste avesse malamente valutato gli elementi logici e fattuali utilizzati a sostegno della sua decisione, bensì sul rilievo che detti elementi fossero carenti al fine di dimostrare l’esistenza stessa dell’asserita condotta illecita in capo ad F.A.. Avrebbe errato la Corte di Venezia nel porre a fondamento della sua decisione i medesimi elementi logici e fattuali già utilizzati dalla Corte di Trieste. La Corte di Venezia – si sostiene – avrebbe dovuto individuare elementi diversi da quelli utilizzati dalla Corte di Trieste perchè questi erano già stati ritenuti insufficienti dalla Corte di cassazione.

1.1. – Il motivo è infondato.

E’ errato il presupposto interpretativo da cui muove il ricorrente, che cioè la Corte di cassazione, con la sentenza rescindente n. 3927 del 2010, abbia accolto il ricorso incidentale di F.A. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, e che la Corte d’appello di Venezia, in sede di rinvio, abbia violato il principio di diritto al cui rispetto era vincolata.

Risulta, infatti, per tabulas, dal testo della sentenza della Corte di cassazione che la censura articolata dal F. con il quarto mezzo del ricorso incidentale è stata accolta sotto il più limitato profilo del vizio di motivazione.

Invero, con il quarto motivo, proposto “per violazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.”, F.A. si era doluto del fatto che la Corte di Trieste lo aveva condannato al risarcimento del danno “senza specificare quale fosse la condotta a lui addebitata e chiarire il nesso eziologico tra essa ed il danno ingiusto subito dalle opponenti”.

La Corte di cassazione, con la citata sentenza n. 3927 del 2010, ha così statuito al riguardo: “Il motivo è fondato. I giudici di secondo grado, pur essendosi dilungati sulle vicende che avevano preceduto la proposizione della domanda di accertamento dell’usucapione da parte del solo opposto e sulle ragioni per le quali non poteva essere accolta la revindica delle opponenti e, in particolare, sulla buona fede dell’acquirente, in quanto il suo dante causa disponeva del bene in forza di una sentenza che ne aveva dichiarato l’usucapione in suo esclusivo favore, hanno concluso che da esse “necessariamente ne consegue che a favore delle attrici residua in realtà un corrispondente diritto risarcitorio ex art. 2043 c.c. gravante su F.A. (che ha agito con il chiaro intendimento di porre il fratello di fronte al fatto compiuto)”, senza menzionare quale fosse il fatto (proposizione della domanda di usucapione in suo solo favore ovvero contratto di compravendita del bene di cui era stata dichiarata l’usucapione oppure entrambi) addebitato all’opposto e perchè la condotta del convenuto fosse contraddistinta da dolo o colpa ed eziologicamente collegata al danno subito dalle opponenti. Sul punto, quindi, potendo dal testo del motivo enuclearsi una censura di vizio di motivazione, la sentenza va cassata con rinvio per nuovo esame.”

Tanto premesso, va ribadito che i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi (Cass., Sez. lav., 6 aprile 2004, n. 6707; Cass., Sez. I, 7 agosto 2014, n. 17790).

Nella specie, la Corte d’appello di Venezia, in sede di rinvio, senza ripetere il vizio già censurato, ha proceduto ad un nuovo esame delle risultanze di causa, come era nei suoi compiti e nei suoi poteri, ed ha spiegato, con articolata argomentazione, per quale ragione la “condotta complessa” di F.A. – consistente sia nella proposizione della causa di usucapione contro il Comune (non solo senza citare il fratello, ma anche chiedendo l’usucapione soltanto in proprio favore), sia nella vendita del bene usucapito, che in tal modo poneva al riparo da rivendica del fratello (e dei di lui eredi) – si caratterizzi come illecita, avendo causato la perdita della comproprietà, e sia accompagnata dall’elemento soggettivo del dolo (o, quantomeno, della colpa grave).

2. – Il secondo mezzo del medesimo ricorso denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La sentenza della Corte d’appello sarebbe contraddittoria, basata su argomentazioni illogiche, svincolata dagli elementi probatori in atti e basata su illazioni del tutto gratuite, non riscontrate, meramente suggestive e strumentali.

2.1. – Il motivo è infondato.

La conclusione alla quale è pervenuta la Corte territoriale è basata su una motivazione congrua e frutto di logico e ponderato apprezzamento delle risultanze processuali.

Valutando i dati di fatto emersi nel corso dell’istruttoria, la Corte del rinvio ha considerato che la perdita della comproprietà in capo alle attrici è stata determinata dalla proposizione della causa di usucapione contro il Comune (senza evocare in giudizio il fratello) e dalla successiva vendita del bene usucapito alla M., ed ha affermato che la complessiva condotta, in violazione dei diritti del fratello, si connota come illecita, essendo il dolo (o la colpa grave) reso evidente dall’avere F.A. agito all’insaputa del fratello e senza informare le eredi nè dell’azione proposta, nè della sentenza ottenuta, e neppure infine dell’alienazione del bene in favore di terzi.

La Corte di Venezia ha anche preso in esame le difese di F.A..

Al riguardo, la Corte territoriale ha giudicato irrilevanti la preventiva informazione verso il fratello della intenzione di agire contro il Comune e l’invito ad aderirvi (sempre precedentemente alla proposizione dell’azione): e ciò per l’assorbente ragione che F.A. non poteva ritenersi autorizzato a chiedere in proprio esclusivo favore l’accertamento dell’usucapione della proprietà di un bene che si era già compiuta in favore del proprio padre G., deceduto il (OMISSIS), e che quindi era entrata a far parte dell’asse ereditario, spettando pro quota anche al fratello coerede.

Ha poi ritenuto manifestamente infondata la tesi della rinuncia del fratello Albino al possesso del bene: sia perchè non può evincersi rinuncia al possesso dal semplice disinteresse a far valere l’acquisto a titolo originario del diritto; sia perchè la famiglia di f.a. ha continuato ad occupare uno dei due appartamenti siti nel villino realizzato sul terreno in questione; sia, infine, perchè al momento della introduzione della domanda di usucapione contro il Comune l’usucapione si era già compiuta in favore del comune capostipite F.G., senza che il figlio a. abbia rinunciato alla eredità paterna, anzi avendo proposto domanda di scioglimento della comunione ereditaria.

Ed ha, infine, giudicato ininfluenti i motivi che possano avere indotto F.A. a vendere alla M. l’immobile.

Nel contestare la conclusione alla quale è pervenuto il giudice del merito, il ricorrente, pur lamentando formalmente una violazione dell’art. 115 c.p.c., tende, in realtà, ad una (non ammissibile in sede di legittimità) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito.

Sotto questo profilo il ricorrente, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, invoca, piuttosto, una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo così all’impugnata sentenza censure che non possono trovare ingresso in questa sede, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice del merito.

3. – Con l’unico motivo di ricorso incidentale, M.P., nel denunciare violazione di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c., si duole che la Corte di Venezia abbia introdotto, per la prima volta, in un giudizio nella fase di rinvio caratterizzata dalle preclusioni, una propria opinione secondo la quale la M. sarebbe in colpa lieve al solo scopo di motivare l’ingiustificabile decisione di liquidare soltanto 2/3 delle spese di lite. Il giudice del rinvio – si sostiene – avrebbe così utilizzato il concetto di colpa lieve che è logicamente e giuridicamente confliggente con l’accertamento avente forza di giudicato che sancisce che invece la M. era terzo in buona fede.

3.1. – Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale sollevata dalle controricorrenti F. e Fo.Al..

Invero, la M. è parte del giudizio definito in sede di rinvio dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza depositata il 29 marzo 2012; e, avendo ricevuto in data 19 luglio 2012 la notifica del ricorso per cassazione ad essa effettuata ai sensi dell’art. 332 c.p.c., ha ritualmente proposto ricorso incidentale, nel rispetto del termine previsto dall’art. 371 c.p.c., con atto notificato il 5 ottobre 2012.

Il ricorso incidentale, inoltre, soddisfa le prescrizioni dettate dagli artt. 365, 366 e 369 c.p.c..

3.2. – Nel merito, il motivo è infondato.

Con il ricorso incidentale proposto a suo tempo avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 644 del 2004, la M. aveva denunciato “la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione sulla compensazione delle spese processuali, non avendo considerato che l’acquirente era parte soltanto di uno dei due giudizi riuniti”.

Questa Corte, con la sentenza n. 3927 del 2010, ha accolto il ricorso incidentale della M., così motivando: “Il motivo, che sostanzialmente denuncia una violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., è fondato, non potendo essere compensate le spese anticipate dalla parte vincitrice di una causa con quelle di un’altra causa, seppure riunita, nella quale la stessa parte non è stata evocata o non è intervenuta”.

Ora, l’accertamento, riveniente dalla citata sentenza n. 3927 del 2010 di questa Corte, che la M. è vincitrice nella causa contro la stessa rivolta dalle F., ed il passaggio in giudicato dell’accertamento di inopponibilità del diritto delle attrici alla stessa M., in quanto terzo acquirente di buona fede, è compatibile con il riscontro, in concreto, di giustificati motivi per una parziale compensazione (nella misura di 1/3) per avere la M., pur essendo in buona fede, acquistato in una situazione che presentava aspetti di “opacità”.

La Corte di Venezia, infatti, ha rilevato, sulla base della c.t.u., che l’acquisto riguardava una frazione della casa, insistente sull’area usucapita, che non rappresenta una porzione organica e distaccata dell’edificio complessivo, non poteva essere autonomamente utilizzata, non era riconoscibile in natura e non era fisicamente separabile senza pregiudizio all’edificio, e veniva effettuato nella consapevolezza (perchè ciò veniva dichiarato nel rogito) che l’altra limitrofa porzione era oggetto di giudizio divisionale tra gli eredi di F.G..

In tale complessa situazione – ha affermato la Corte del rinvio – il non avere la M. almeno sospettato del diritto del proprio dante causa “può rappresentare una sia pur lieve colpa che, se non inficia la buona fede, giustifica un’almeno parziale compensazione delle spese”.

Si tratta di apprezzamento di merito – compatibile con il principio secondo cui la buona fede non giova solo se l’ignoranza dipende da colpa grave – adeguatamente motivato dalla Corte territoriale, e qui non ulteriormente sindacabile.

Invero, in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa: pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò, non solo nell’ipotesi di soccombenza reciproca, ma anche nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass., Sez. Lav., 5 aprile 2003, n. 5386; Cass., Sez. V, 19 giugno 2013, n. 15317).

4. – Il ricorso principale e il ricorso incidentale sono rigettati.

Non sussistono i presupposti per la condanna di F.A. a titolo di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., con constando che il ricorso per cassazione sia abusivo o che egli abbia proposto l’impugnazione con colpa grave.

Le spese in relazione al ricorso principale, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico di F.A.; mentre sussistono giustificati motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione nel rapporto originato dal ricorso incidentale della M., e ciò in relazione all’esito complessivo della causa tra F. e Fo.Al., da un lato, e la M., dall’altra.

PQM

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso principale e condanna F.A. al rimborso delle spese processuali sostenute dalle controricorrenti F.F. e Fo.Al., che liquida in complessivi Euro 6.200, di cui Euro 6.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge;

rigetta il ricorso incidentale di M.P. e dichiara compensate le spese tra la stessa e le controricorrenti F.F. e Fo.Al..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 3 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2017

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