Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10733 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. I, 05/06/2020, (ud. 08/01/2020, dep. 05/06/2020), n.10733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11324/2014 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Di Monte

Fiore 22, presso lo studio dell’avvocato Gattamelata Stefano, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Cuonzo Renzo, Dal

Santo Fabrizio, Scappini Renzo Fausto, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova Spa, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Piazza Venezia 11, presso lo Studio Lambertini & Associati,

rappresentata e difesa dall’avvocato Maccarrone Daniele, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2313/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/01/2020 da Dott. MELONI MARINA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del primo motivo e

l’accoglimento del secondo;

udito l’Avvocato Renzo Cuonzo, anche con delega scritta per il

ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento;

udito l’Avvocato Elisabetta Belloni con delega scritta per il

controricorrente, che ha chiesto il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.G. proprietario di un terreno sito nel Comune di (OMISSIS) sottoposto a procedura di espropriazione da parte del Comune per la realizzazione del nuovo svincolo autostradale S.P. (OMISSIS) sulla tangenziale sud di (OMISSIS) propose opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione nei confronti di Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova spa concessionaria di ANAS spa. A seguito dell’opposizione la Corte di Appello di Venezia previa consulenza tecnica d’ufficio, liquidò l’indennità dovuta delle aree interessate sulla base del valore agricolo del fondo coltivato a vigneto doc.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia ha proposto ricorso per cassazione P.G. affidato a due motivi. La società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova spa concessionaria di ANAS spa resiste con controricorso e memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 e art. 45, comma 2, lett. D), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello di Venezia non ha riconosciuto la maggiorazione dovuta al ricorrente per la cessione volontaria ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 45, comma 2, lett. D), sebbene l’accordo di cessione non fosse stato stipulato per fatto non imputabile all’espropriato bensì all’ente Autostrada spa che aveva sottostimato il valore del fondo alla stregua di vigneto semplice e non di un vigneto DOC ed aveva così deprezzato i valori da attribuire al fondo.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti di cui alla sentenza 181/2011 della Corte Costituzione in quanto la Corte di Appello di Venezia ha calcolato l’indennità di espropriazione delle aree a vigneto e frutteto assumendo il valore agricolo medio previsto dalla Provincia di Verona trascurando la nota sentenza 181/2011 della Corte Costituzionale con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40, commi 2 e 3. Il secondo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto, assorbito il primo.

In ordine al secondo motivo di ricorso l’espropriato contesta la quantificazione dell’indennità di espropriazione operata dalla corte di appello con il criterio del valore agricolo medio (VAM), previsto della L. n. 865 del 1971, art. 16 e L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 4 e dichiarato incostituzionale da Corte Cost. n. 181 del 2011 ed afferma che la stima dell’indennità doveva essere effettuata utilizzando il criterio generale del valore venale pieno, tratto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39, in forza della menzionata pronuncia di illegittimità costituzionale.

La censura è fondata.

Deve essere premesso che la dichiarazione di illegittimità costituzionale ad opera della sentenza 10/6/2011, n. 181 della Corte Costituzionale, dispone che nel caso di esproprio di un’area non edificabile, l’indennità definitiva è determinata in base al valore venale del fondo. Sul punto si è pronunciata questa Corte con Sez. 1, Ordinanza n. 25314 del 25/10/2017: “In tema di espropriazione per pubblica utilità, l’attuale sistema indennitario e risarcitorio è fondato sul valore venale del bene, applicabile non soltanto ai suoli edificabili, da ritenersi tali sulla base del criterio dell’edificabilità legale ma anche, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 2011, ai suoli inedificabili, assumendo rilievo per tale ultima categoria ai fini indennitari e risarcitori la possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative etc.) sempre che siano assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative”. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, sia in ordine all’indennità di occupazione che al risarcimento per la perdita del bene aveva utilizzato il criterio, superato dallo jus superveniens, del valore agricolo medio).

E’ stato inoltre affermato con Cass. Sez. 1 n. 26193 del 19/12/2016 “L’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla “regula iuris” enunciata dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., viene meno quando la norma da applicare in aderenza a tale principio sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di “ius superveniens”, ovvero dichiarata costituzionalmente illegittima successivamente alla pronuncia rescindente, dovendo, in questo caso, farsi applicazione, rispetto ai fatti già accertati nelle precedenti fasi del processo, del diritto sopravvenuto, che travalica il principio di diritto enunciato dalla sentenza di rinvio. Pertanto, ove l’espropriato contesti la quantificazione dell’indennità di espropriazione operata dalla corte di appello con il criterio del valore agricolo medio (VAM), previsto della L. n. 865 del 1971, art. 16 e L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 4 e dichiarato incostituzionale da Corte Cost. n. 181 del 2011, la stima

dell’indennità deve essere effettuata utilizzandosi il criterio generale del valore venale pieno, tratto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39, applicandosi la menzionata pronuncia di illegittimità ai rapporti non ancora definitivamente esauriti.

Nella fattispecie in esame la Corte di Appello di Venezia ha invece dichiarato di aver applicato il criterio di valutazione del valore agricolo del terreno, effettivamente coltivato per due terzi a vigneto DOC e per un terzo a vigneto IGP, area classificata in zona “E” al momento dell’esproprio, edificabile esclusivamente a fini d’esercizio dell’azienda agricola (pag. 8 e 9 della sentenza impugnata). Il giudice di merito riportandosi alla Consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio, trascritta nel ricorso in base al principio della autosufficienza, ha quindi valutato le caratteristiche specifiche del bene espropriato con riferimento al VAM e non al valore venale del bene, criterio da utilizzare anche per risarcire la perdita delle particelle residue. A tal riguardo questa Corte ha statuito con S.U. n. 10502 del 25 /6/2012:

“In tema di espropriazione per pubblica utilità, va esclusa la risarcibilità del danno alle particelle rese inagibili o inutilizzabili (nella specie, intercluse) a seguito dell’opera pubblica, poichè trattasi di voce ricompresa nell’indennità di espropriazione, che riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo. Non sono, infatti, concepibili, in presenza di un’unica vicenda espropriativa, due distinte somme, imputabili l’una a titolo d’indennità di espropriazione e l’altra a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento subito dai residui terreni; nè rileva la circostanza che detti effetti negativi si siano realizzati su zone estranee alla dichiarazione di pubblica utilità, se determinati da opere previste e conformi al progetto dell’opera pubblica. Pertanto, qualora si tratti di un compendio a destinazione unitaria agricola, il danno alla residua proprietà trova riconoscimento solo nel quadro della perdita di valore della parte non interessata dal provvedimento ablativo, secondo il metodo tracciato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 40, con la conseguenza che l’accettazione dell’indennità di esproprio comporta il rigetto della domanda in ordine ai danni lamentati alle particelle strettamente contigue a quelle espropriate e facenti parte del complessivo fondo, sul quale è stata realizzata l’opera. Per quanto sopra il ricorso proposto deve essere accolto in ordine al secondo motivo, assorbito il primo, cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo,cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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