Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10732 del 16/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 16/05/2011, (ud. 29/03/2011, dep. 16/05/2011), n.10732

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 91/2008 proposto da:

IL MATTINO S.p.A. (già EDI.ME. EDIZIONI MERIDIONALI S.P.A.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio

dell’avvocato DE LUCA TAMAJO Marcello, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ARMENTANO ANTONIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.M.;

– intimato –

sul ricorso 2815/2008 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA., VIALE ANGELICO

35, presso lo studio dell’avvocato D’AMATI DOMENICO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato D’AMATI NICOLETTA,

giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

IL MATTINO S.p.A. (già EDI.ME. EDIZIONI MERIDIONALI S.P.A.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio

dell’avvocato DE LUCA TAMAJO MARCELLO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ARMENTANO ANTONIO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 375/2006 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 27/12/2006 r.g.n. 310/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

29/03/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato ANTONIO ARMENTANO per delega MARCELLO DE LUCA

TAMAJO;

udito l’Avvocato D’AMATI DOMENICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, rigetto del primo motivo del ricorso incidentale

assorbito il secondo motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza di cui si chiede la cassazione – in sede di giudizio di rinvio da Cass. 27 ottobre 2003, n. 16126 – ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato il 27 gennaio 1997 da EDI.ME EDIZIONI MERIDIONALI s.p.a. (oggi: IL MATTINO s.p.a.) al giornalista S.M., senza peraltro ordinarne la reintegrazione nel posto di lavoro e ha condannato la società datrice di lavoro a corrispondere al S., a titolo di risarcimento del danno. le retribuzioni da licenziamento al raggiungimento dell’età massima di pensionamento, oltre agli accessori di legge.

Secondo la Corte d’appello di Campobasso non vi è dubbio che, nella specie, la EDI.ME abbia inteso procedere ad un licenziamento collettivo, previa messa in cassa integrazione guadagni dei lavoratori interessati, in applicazione della L. 5 agosto 1981, n. 416, artt. 36 e 37.

Ciò si desume, infatti: a) dalla volontà espressa dalla parte datoriale e dalle OOSS che hanno partecipato all’accordo 4 gennaio 1995 (nel quale la società prevedeva un piano di risanamento per il periodo 1 febbraio 1995-31 gennaio 1997 con riduzione dell’organico);

b) dal tipo di procedura avviata dalla azienda e dalla conseguente condotta tenuta dalle parti; c) dalla motivazione espressa nella lettera di licenziamento inviata al S., nella quale la società ha comunicato la risoluzione del rapporto di lavoro, richiamando espressamente la citata L. n. 416 del 1981, art. 36 e gli accordi conseguentemente raggiunti con le OOSS. Nè può valere in contrario l’assunto dell’appellante relativo all’insussistenza del requisito numerico-temporale previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 24 (di almeno cinque licenziamenti nell’arco di 120 giorni) sostenuto per il fatto che insieme con il S. sono stati licenziati solo altri tre giornalisti. Tale assunto, infatti, è destituito di fondamento in quanto l’intera procedura riguardava 35 giornalisti (da porre prima in CIGS e poi in prepensionamento) e, pertanto, il requisito in oggetto era sussistente e, anzi, la controversia è nata proprio a causa del tentativo della datrice di lavoro di ampliare il suddetto numero originariamente concordato.

Analogamente devono considerarsi rispettate le norme procedimentali di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5.

Si deve, pertanto, escludere l’applicabilità della normativa sul licenziamento individuale, pure invocata dal giornalista, e si deve, viceversa, fare riferimento alla normativa sui licenziamenti collettivi.

Al riguardo, nella sentenza rescindente, è stato precisato che, non contenendo l’art. 24 cit. “alcuna deroga espressa per i dipendenti di imprese editrici nè segnatamente per i giornalisti”, se ne desume che “al licenziamento collettivo dei giornalisti si applicano le ordinarie garanzie procedimentali ed i criteri legali di scelta previsti in generale senza che sia fatta alcuna riserva di salvezza di un ipotetico regime speciale di un licenziamento collettivo a garanzie ridotte”.

Ora, nella specie, ciò che è mancato è stato il criterio legale di scelta perchè la società non ha rispettato il numero di 35 giornalisti fissato nell’accordo del 4 gennaio 1995, ma ha coinvolto anche il S., estraneo alla originaria lista, con ciò violando la normativa applicata e rendendo illegittimo il licenziamento.

Nè assume alcun valore in contrario l’obiezione della società secondo cui, col successivo accordo del 18 dicembre 1996, si era consentito un ampliamento della riduzione dell’organico (oltre le originarie 35 unità) nei confronti di coloro che entro la fine del periodo di crisi (31 gennaio 1997) avessero maturato i requisiti del pensionamento anticipato.

Tale accordo, infatti, in questa parte si deve considerare nullo perchè contra legem, visto che non può certo considerarsi giustificato dalla L. n. 416 del 1981, art. 35, perchè tale disposizione si limita a riconoscere ai giornalisti dimessisi o licenziati al termine di un periodo di CIGS il diritto ad una indennità pari a quattro mensilità di retribuzione, in aggiunta al normale trattamento di fine rapporto.

La suddetta violazione dei criteri di scelta non comporta la trasformazione del licenziamento da collettivo in individuale e, quindi, preclude l’applicabilità della L. n. 300 del 1970, art. 18.

Conseguentemente la Corte d’appello riconosce al S. soltanto il risarcimento del danno, nella suindicata misura, mentre non gli riconosce la menzionata indennità aggiuntiva (sul rilievo che essa sia da configurare come incentivo per il prepensionamento in caso di ordinaria procedura di riduzione del personale, mentre nella specie il licenziamento è illegittimo e non ha, quindi, seguito la prescritta procedura) e neppure il risarcimento del danno biologico, sfornito di adeguata prova.

D’altra parte, viene respinta l’eccezione della società dell’aliunde perceptum in quanto, non riguardando essa la pensione, ma esclusivamente i redditi da lavoro e da capitale, l’istruttoria effettuata al riguardo ha consentito di accertare che il S. non ha percepito proventi di rilevanza valutabile sul piano economico ai suddetti fini.

2. Avverso la sentenza IL MATTINO s.p.a. (già EDI.ME EDIZIONI MERIDIONALI s.p.a.) propone ricorso per cassazione con due motivi.

L’intimato resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale con due motivi, cui resiste la società con controricorso.

Le parti hanno depositato anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..

2 – Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia – in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., nonchè degli artt. 392 e 394 cod. proc. civ. e 437 cod. proc. civ., comma 2.

Si rileva, al riguardo, che nella sentenza rescindente si era demandato alla Corte molisana di valutare la legittimità del licenziamento intimato al S. in riferimento alla normativa sui licenziamenti individuali o a quella sui licenziamenti collettivi, correggendo così l’errore commesso dalla Corte d’appello di Napoli di ritenere che, nel settore del lavoro giornalistico, esista un tertium genus di recesso, cioè quello previsto dalla L. n. 416 del 1981, art. 36.

Naturalmente l’individuazione della tipologia del licenziamento e della conseguente disciplina avrebbero dovuto essere operate sulla base degli elementi dedotti in giudizio.

Ebbene, osserva la ricorrente, le risultanze processuali rendono palese che il licenziamento del S. è sempre stato considerato come individuale, tanto che lo stesso giornalista non ha mai spiegato alcuna censura con riferimento alla normativa di cui alla L. n. 223 del 1991, ma si è sempre limitato a contestare soltanto la sussistenza del giustificato motivo oggettivo del licenziamento stesso.

Conseguentemente, la Corte d’appello di Campobasso qualificando il licenziamento come collettivo e assumendo le conseguenti decisioni avrebbe palesemente violato il principio della domanda e quello della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Nè avrebbe rilievo, in contrario, il fatto che il S., nel ricorso in riassunzione, ha per la prima volta lamentato genericamente la violazione della L. n. 223 del 1991, senza peraltro alcun preciso riferimento ad elementi di fatto di supporto della doglianza.

Viceversa, la Corte molisana ha ritenuto tale generica censura sufficiente per il relativo esame, anche in assenza di prove e ciò da luogo, secondo la ricorrente, ad una violazione del carattere “chiuso ” del giudizio di rinvio.

3.- Con il secondo motivo si denuncia – in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La società ricorrente osserva che, comunque, sarebbe incongruente la motivazione della sentenza in ordine alle circostanze di fatto che hanno indotto la Corte d’appello a ritenere, in modo erroneo e contraddittorio, violati i criteri di scelta.

Infatti, dai due accordi sindacali intervenuti nella vicenda (il cui testo viene integralmente riportato nel ricorso) si desumerebbe, secondo la ricorrente, che il licenziamento del S. (non contemplato nell’originaria lista dei 35 esuberi (di cui all’accordo del 4 gennaio 1995) perchè del tutto scollegato da essa, dal punto di vista cronologico) rientrava nell’ambito dell’accordo del 18 ottobre 1996. che non ha introdotto nuovi criteri di scelta ma si è limitato a recepire quelli adottati nel precedente accordo.

Conseguentemente, poichè tali ultimi criteri di scelta sono stati considerati legittimi dalla Corte d’appello, anche il licenziamento in oggetto non può non considerarsi legittimo.

4.- Con il primo motivo (autonomo) del ricorso incidentale si denuncia – in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 – violazione e/o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5.

Si osserva che la Corte d’appello, pur avendo accertato l’illegittimità del recesso, qualificato come collettivo, per violazione dei criteri di scelta stabiliti della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, ha tuttavia escluso l’applicabilità della L. n. 300 del 1970, art. 18, affermando che la suddetta violazione è fonte soltanto dell’obbligo del risarcimento del danno.

Tale assunto, fondato su principi affermati dalla giurisprudenza formatasi prima dell’entrata in vigore della citata L. n. 223 del 1991, si pone in contrasto con quanto dispone l’art. 5, comma 3, della suddetta legge, in base al quale si sarebbe dovuta ordinare anche la reintegrazione del S. nel posto di lavoro, ai sensi dell’art. 18 cit..

5.- Con il secondo motivo (condizionato) del ricorso incidentale si denuncia – in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5 – a) violazione e/o falsa applicazione di norme di legge: della L. n. 223 del 1991, artt. 1, 4 e 24; della L. n. 416 del 1981, artt. 36 e 37; della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5; art. 1352 cod. civ.; art. 112 cod. proc. civ.; b) difetto di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia.

Principalmente si rileva che. in caso di accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata per aver escluso resistenza di un licenziamento individuale illegittimo per mancanza di giustificato motivo.

La Corte d’appello di Campobasso è pervenuta all’affermazione della qualificazione del licenziamento in oggetto come collettivo attraverso la valorizzazione di alcuni elementi (desunti principalmente dalla lettura degli accordi sindacali intervenuti e della lettera di licenziamento) che, però, è stata effettuata disapplicando la L. n. 223 del 1991, art. 24, in combinato disposto con gli artt. 1 e 4 della stessa legge. Da tali norme si desume, infatti, che per la qualificazione di un licenziamento come collettivo assume esclusivo rilievo il requisito numerico-temporale, mentre è ininfluente la qualificazione attribuita dalle parti alla procedura, così come non è possibile desumere dal ricorso alla CIGS la successiva attuazione di un licenziamento collettivo.

Inoltre, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe anche il frutto di una erronea interpretazione della L. n. 416 del 1981, artt. 36 e 37, nella parte in cui ha inteso l’accordo del 4 gennaio 1995 come finalizzato ad attuare un licenziamento collettivo, visto che, nella sentenza rescindente, è stato espressamente stabilito che le suddette norme che sono le uniche ad essere richiamate nell’accordo- non disciplinano il licenziamento collettivo nel settore editoriale.

D’altra parte, la suddetta erronea interpretazione delle clausole dell’accordo è stata anche effettuata in spregio al criterio dell’interpretazione letterale di cui all’art. 1362 cod. civ., visto che in nessuna clausola è contenuto alcun riferimento a licenziamenti e tale riferimento non può desumersi dalla previsione di 35 esuberi di giornalisti, perchè la relativa realizzazione viene contemplata come effetto di prepensionamenti volontari.

Per tutte queste ragioni la Corte d’appello avrebbe dovuto, per il ricorrente incidentale, esaminare le domande dirette ad ottenere l’annullamento del licenziamento come individuale, per mancanza di giustificato motivo oggettivo, sulla base delle deduzioni debitamente effettuate al riguardo dall’interessato.

Infine, il mancato accertamento in merito alla possibilità del S. di essere impiegato, quanto meno in altra posizione, alle dipendenze della società datrice di lavoro e il mancato esame della domanda di dichiarazione di inefficacia del licenziamento per inosservanza della procedura di informazione e consultazione del comitato di redazione (in base all’art. 34 c.n.l.g.) darebbe luogo a omesse pronunce e difetti di motivazione su punti decisivi della controversia.

6.- Vanno esaminati per primi e congiuntamente – data la loro intima connessione – il primo motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale.

Essi sono entrambi fondati, nei termini di seguito precisati.

Al riguardo va in primo luogo ricordato che, in base ad un consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte che il Collegio condivide, l’indicazione ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 4, delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, ma come elemento richiesto al fine di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti della impugnazione, sicchè la mancata od erronea indicazione delle disposizioni di legge non comporta l’inammissibilità del gravame ove gli argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso, consentano di individuare le norme o i principi di diritto che si assumono violati e rendano possibile la delimitazione del quid disputandum (Cass. 25 novembre 2010, n. 23961; Cass. 4 giugno 2007.

n. 12929; Cass. 13 gennaio 2006. n. 526: Cass. 26 gennaio 2005. n. 1606; Cass. 22 ottobre 1993, n. 10501).

Ne consegue che, nella specie, in particolare con la argomentazione del primo motivo del ricorso principale, deve ritenersi implicitamente denunciata la violazione anche dell’art. 384 cod. proc. civ., nella parte relativa all’efficacia vincolante del principio di diritto enunciato in sede di cassazione con rinvio e alle caratteristiche proprie del giudizio di rinvio.

Secondo un condiviso orientamento di questa Corte in ragione della struttura “chiusa” propria del giudizio di rinvio, cioè della cristallizzazione della posizione delle parti nei termini in cui era rimasta definita nelle precedenti fasi processuali fino al giudizio di cassazione e più precisamente fino all’ultimo momento utile nel quale detta posizione poteva subire eventuali specificazioni (nei limiti e nelle forme previste per il giudizio di legittimità, in particolare quelle dell’art. 372 cod. proc. civ.), il giudice di rinvio, al fine di procedere al giudizio nei termini rimessigli dalla cassazione con rinvio, può prendere in considerazione fatti nuovi incidenti sulla posizione delle parti – senza violare il divieto di esame di punti non prospettati o prospettabili dalle parti lino a quel momento – soltanto a condizione che si tratti di fatti dei quali, per essere avvenuta la loro verificazione dopo quel momento, non era stata possibile l’allegazione, con l’eccezione che la nuova attività assertiva ed istruttoria non sia giustificata proprio dalle statuizioni della Corte di cassazione in sede di rinvio (Cass. 8 giugno 2005, n. 11962; Cass. 30 ottobre 2003. n. 16294; Cass. 10 febbraio 2001, n. 1917).

A parte quest’ultima ipotesi, di regola il giudice di rinvio è vincolato dalla sentenza di cassazione che dispone il rinvio stesso anche nel caso in cui essa non si limiti ad accertare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto o il vizio di motivazione che inficiano la sentenza cassata e ad adottare le pronunce consequenziali – quali, nel primo caso, l’enunciazione del principio di diritto – ma anche quando essa contenga statuizioni ulteriori (vedi per tutte: Cass. 28 ottobre 2005, n. 21006).

Inoltre, il giudice di rinvio, ai fini dell’individuazione del principio di diritto al quale deve uniformarsi, non può non tenere conto del testo complessivo della sentenza rescindente e, nell’ipotesi di cassazione della sentenza di merito per i concorrenti motivi di cui all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, il giudice di rinvio, in relazione ai punti decisivi e non congruamente valutati dalla sentenza cassata, se non può rimetterne in discussione il carattere di decisività, ha il potere di procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse dalla Corte di cassazione, la cui portata vincolante è limitata all’enunciazione della corretta interpretazione della norma di legge, e non si estende alla sussunzione nella norma stessa della fattispecie concreta, essendo tale fase dei procedimento logico compresa nell’ambito del libero riesame affidato alla nuova autorità giurisdizionale, però salvo restando il vincolo al principio di diritto affermato (Cass. 13 aprile 1995, n. 4228; Cass. 27 agosto 2007, n. 18087).

Il che vale, mutatis mutandis, anche l’ipotesi – che ricorre nella specie – di cassazione con rinvio della sentenza di merito per il solo motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, con esplicita enunciazione del principio di diritto.

7.- La Corte d’appello di Campobasso non si è attenuta ai suddetti orientamenti. Infatti, anzichè, limitarsi a riesaminare la causa nel senso indicato dalla sentenza di annullamento e nel rispetto del generale principio secondo cui, in sede di giudizio di rinvio, i termini oggettivi della controversia non sono più modificabili e la riassunzione è un mero atto di impulso (Cass. 27 ottobre 2010. n. 21961; Cass. 27 novembre 1990, n. 11430), viceversa andando oltre rispetto alle pretese avanzale dalle parti, è pervenuta alla conclusione che il licenziamento del S. sia stato disposto nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo per riduzione del personale, illegittimamente a causa della violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, di cui alla L. n. 223 del 1991.

Ciò è stato determinato, principalmente, da una inadeguata lettura della sentenza rescindente e del principio di diritto in essa enunciato da effettuare unitamente con la sentenza della Corte d’appello di Napoli all’epoca cassata.

8.- Va. in particolare, sottolineato che – come indicato ne dispositivo della sentenza rescindente medesima – il principio di diritto al quale la Corte di appello di Campobasso avrebbe dovuto uniformarsi è il seguente:

“Deve escludersi – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’Appello di Napoli – che la L. n. 416 de 1981, art. 36, autorizzi la configurazione di un licenziamento collettivo, quale fattispecie distinta e diversa da quella generale prevista dalla L. n. 223 del 1991, art. 24, legittimato unicamente dal fatto di essere preceduto da un periodo di trattamento straordinario di integrazione salariale della medesima L. n. 416 del 1981, ex art. 35. Conseguentemente la legittimità, o meno, del licenziamento intimato dalla società resistente al ricorrente doveva essere valutata sulla base dell’ordinaria disciplina del recesso e – nel caso di licenziamento collettivo – sulla base della L. n. 223 del 1991, art. 24, quanto ai presupposti sostanziali e procedi mentali del recesso e quanto ai criteri legali di scelta, mentre la specialità costituita dal fatto che rispettivamente il datore di lavoro era un’impresa editoriale ed il lavoratore era un giornalista comportava, in applicazione del più volte cit. L. n. 416 del 1981, art. 36, una tutela ulteriore per il lavoratore: la garanzia economica di un’indennità aggiuntiva del trattamento di fine rapporto.

L’enunciazione di tale principio trae origine dal fatto che. in sede rescindente, questa Corte è stata principalmente chiamata a vagliare l’esattezza dell’interpretazione effettuata dalla Corte d’appello di Napoli della L. 5 agosto 1981, n. 416, art. 36, nel senso della previsione, da parte della suddetta disposizione, in caso di crisi delle imprese editrici e di conseguenti esuberi di giornalisti, di una ipotesi speciale di licenziamento collettivo per riduzione di personale a garanzie ridotte, come tertium genus tra il licenziamento collettivo “ordinario” (ossia quello disciplinato dalla L. n. 223 del 1991) e i licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo.

Con una motivazione molto articolata e complessa nella sentenza rescindente si è data esauriente giustificazione dell’erroneità della suddetta esegesi – sulla cui base il licenziamento del S. era stato ritenuto legittimo – e si è, altresì, precisato che. dalla lettura sinottica della L. n. 223 del 1991, art. 24 e della L. n. 416 del 1981, artt. 35, 36 e 37, si desume che, nel caso di licenziamento di giornalisti per riduzione di personale in aziende editrici che abbiano beneficiato dell’intervento dell’INPGI per l’erogazione del trattamento speciale di integrazione salariale, si sommano le garanzie previste dalle suddette disposizioni: l’impresa editrice – al pari dei datori di lavoro in genere – dovrà rispettare le procedure di intimazione del licenziamento stabilite e i criteri legali di scelta: essa inoltre – a differenza degli altri datori di lavoro – sarà tenuta al versamento in favore del giornalista licenziato dell’indennità aggiuntiva di quattro mensilità di retribuzione.

Nella sentenza stessa si è altresì sottolineato che la suddetta lettura integrata delle due discipline – confermata anche dalla L. 7 marzo 2001, n. 62, art. 10, che ha novellato la L. n. 416 del 1981, art. 36 – è anche conforme ai principi costituzionali in quanto l’attività svolta dai giornalisti, strettamente connessa con il valore fondamentale del pluralismo dell’informazione e della libertà di manifestazione del pensiero, potrebbe, in ipotesi, giustificare una fattispecie speciale di licenziamento collettivo a garanzie rafforzate – e non certamente ridotte, come ritenuto dalla Corte d’appello di Napoli – rispetto a quelle ordinarie.

9.- In questa situazione, appare evidente che nella sentenza rescindente ci si è limitati a sottolineare che al S., così come ai giornalisti in genere, non può essere applicata in caso di recesso una normativa meno garantista di quella ordinaria e che, nel caso di licenziamento collettivo, la disciplina da applicare è quella risultante dalla combinazione della L. n. 223 del 1991, art. 24 e della L. n. 416 del 1981, artt. 35, 36 e 37.

Nella sentenza non è stato affermato, però, che nella specie il licenziamento doveva considerarsi collettivo e non invece individuale. Tale questione, infatti, non rientrava – nè poteva rientrare – nel thema decidendum del giudizio rescindente, visto che si tratta di una quaestio facti di competenza del giudice del merito.

D’altra parte, come si è detto, la portata vincolante delle direttive espresse in sede di cassazione con rinvio è limitata all’enunciazione della corretta interpretazione della norma di legge esaminata, e non si estende alla sussunzione nella norma stessa della fattispecie concreta, essendo tale fase del procedimento logico compresa nell’ambito del libero riesame affidato alla nuova autorità giurisdizionale (Cass. 27 agosto 2007. n. 18087; Cass. 18 giugno 2003, n. 9690). Da effettuare, però, senza operare alcuna modificazione dei termini oggettivi della controversia.

Ne consegue che la Corte d’appello di Campobasso, preso atto che nella sentenza rescindenti si era stabilito che anche nell’attuale fattispecie – se configurata come licenziamento collettivo – doveva essere applicata anche la normativa della L. n. 223 del 1991 e che dagli atti processuali risultava che fino a quel momento le parti non avevano fatto riferimento alla suddetta legge, essendosi limitate a discutere di una ipotesi sui generis di licenziamento collettivo a garanzie ridotte sulla base della L. n. 416 del 1981 (ritenuta insussistente nella sentenza rescindente medesima), mentre fin dal giudizio di primo grado entrambe parti avevano anche fatto riferimento all’ipotesi del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, avrebbe dovuto concentrare la propria decisione su tale ultima ipotesi.

Solo in tal modo, infatti, il suo operato sarebbe stato rispettoso del principio di diritto surriportato e, nel contempo, dei principi che governano il giudizio di rinvio del pari indicati.

10.- In base alle suesposte considerazioni il primo motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale devono essere accolti, con conseguente assorbimento del secondo motivo del ricorso principale e del primo motivo del ricorso incidentale.

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli che si adeguerà ai principi indicati sopra sub 9.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale. Dichiara assorbiti il secondo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 29 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2011

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