Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10731 del 08/05/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10731 Anno 2013
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: DI VIRGILIO ROSA MARIA

SENTENZA

sul ricorso 30506-2006 proposto da:
MASSOLA

ENNIO

(C.F.

MSSNNE55B08A182F),

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE
MAllINI 8, presso l’avvocato CRIMI GIUSEPPE, che lo

Data pubblicazione: 08/05/2013

rappresenta e difende unitamente all’avvocato
STROZZI SANDRO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –

2013
608

contro

FALLIMENTO S.D.F. CAFFE’ GAUGUIN DI FRANCA MEDA E
MASSOLA ENNIO, NONCHE’ DEI SOCI ILLIMITATAMENTE

1

RESPONSABILI FRANCA MEDA E MASSOLA ENNIO, NON SOLO
CAFFE’ S.R.L., BARBIERI LORENZO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1344/2006 della CORTE
D’APPELLO di TORINO, depositata il 03/08/2006;

pubblica udienza del 11/04/2013 dal Consigliere
Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato GIUSEPPE CRIMI
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella

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Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Torino, con sentenza 27/6-3/8/2006,
ha respinto l’appello proposto da Massola Ennio avverso la
sentenza del Tribunale di Alessandria del 10/6/03,

estensione del fallimento di Meda Franca, quale socio della
ritenuta società di fatto tra i due, per l’esercizio del
“Caffè Gauguin”.
Il Tribunale, in sede di reclamo ex art.308 c.p.c., aveva
confermato la pronuncia di estinzione, resa dal G.I. nel
giudizio di opposizione promosso dal Massola, avendo questi
provveduto oltre il termine perentorio fissato dal giudice
alla disposta integrazione del contraddittorio con i
creditori istanti dell’originaria dichiarazione di
fallimento dell’impresa, in allora apparsa come individuale.
La Corte d’appello, nello specifico, ha aderito al
consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il
quale, nel giudizio di opposizione all’estensione del
fallimento al socio illimitatamente responsabile, ai sensi
dell’art.147 1.f., sono litisconsorti necessari i creditori
su istanza dei quali è stato in origine dichiarato il
fallimento poi esteso; ha rilevato che non si tratta di
operare un’interpretazione analogica degli artt.147 1.f. e
102 c.p.c., dovendosi prendere atto del carattere
sostanzialmente

unitario,

pur

nella

distinzione

dei

patrimoni, del fallimento sociale e personale dei soci, da
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dichiarativa del fallimento d’ufficio del Massola in

cui l’indispensabile partecipazione ex art.18, 3 0 comma
1.f., al giudizio di opposizione del creditore, in base al
cui ricorso è stato dichiarato l’iniziale fallimento.
Avverso detta pronuncia ricorre il Massola, sulla base di
tre motivi.

Gli intimati non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
1.1.- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia l’erronea
interpretazione degli artt. 147 e 18 1.f., anche in
relazione all’art.12 delle preleggi, e la carenza

e/o

contraddittorietà della motivazione.
Secondo il ricorrente, la locuzione “creditore richiedente”,
di cui all’art.18, 3 ° comma 1.f., si riferisce logicamente
alla specifica richiesta che esso creditore ha proposto o al
fallimento originario, o a quello in estensione, o ad
entrambi se di entrambi è stato l’istante; paradossalmente,
con l’interpretazione adottata dalla Corte del merito, si
dovrebbe pervenire ad escludere dal litisconsorzio il
creditore che ha chiesto l’estensione; a diversa conclusione
forse potrebbe condurre l’uso dell’analogia, che nel caso
non ha alcuna ragione d’essere, perché non vi è alcuna
lacuna normativa.
Secondo il ricorrente, il richiamo, da parte della pronuncia
10693/2005, alla sentenza della Corte cost. 142/1970, non
apporta alcun sostegno alla tesi contrastata, non avendo

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ì

detta pronuncia preso in considerazione il “creditore
richiedente”, ma la diversa categoria dei “creditori
interessati”, ed anzi consente di distinguere il creditore
che ha chiesto il fallimento da quello che ne chiede

1.2.- Col secondo mezzo, il ricorrente denuncia l’erronea
interpretazione degli artt.147 e 18 1.f., anche in relazione
agli artt. 12 e 14 delle preleggi ed all’art. 102 c.p.c., e
carenza e/o contraddittorietà della motivazione.
Secondo il Massola, la Corte del merito ricorre all’analogia
vietata dagli art.12 e 14 delle preleggi; il principio
enunciato dall’art.102 c.p.c. non riguarda affatto il caso
in questione, e l’art.18 1.f., prescrivendo la
partecipazione al giudizio di opposizione dei creditori
istanti, non si richiama al litisconsorzio sostanziale, ma
processuale, il cui carattere eccezionale ne impedisce
l’estensione.
Inoltre, continua il ricorrente, in caso di revoca o
annullamento della sentenza estensiva del fallimento, è da
ritenere che il creditore si difenderebbe deducendo di non
avere mai richiesto il fallimento del soggetto fallito in
estensione.
1.3.- Col terzo mezzo, il ricorrente denuncia la violazione
degli artt.24 e 111 Cost., nonché il vizio di omessa
motivazione.
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l’estensione, che possono anche essere diversi.

Secondo il Massaia, nella specie si è ritenuto di estendere
il caso previsto nel 2 ° comma dell’art. 147 1.f. ad
un’ipotesi diversa, in quanto la pretesa esistenza della
società di fatto non ha preceduto, ma, se mai, seguito

un’interpretazione analogica dell’art.147 1.f. può
applicarsi alla ditta individuale: tutte queste forzature
interpretative sono in contrasto con il principio del giusto
processo di cui all’art.111 Cost., e la sanzione
dell’estinzione del giudizio prevista dall’art.307 c.p.c.
comporta, nel caso del fallito, conseguenze che lo pongono
in una condizione di profonda diseguaglianza rispetto ai
casi ordinari.
2.1.- I tre motivi del ricorso, che possono essere esaminati
congiuntamente in quanto strettamente collegati, sono
infondati.
Il ricorrente intende contrastare l’interpretazione costante
di questa Corte, che riconosce la qualifica di litisconsorti
necessari agli istanti del primo fallimento, di società di
persone o imprenditore individuale, che venga poi esteso ad
altri soci illimitatamente responsabili, dei quali non era
stato dichiarato il fallimento, ovvero ad una società ed ai
suoi soci illimitatamente responsabili, qualora risulti che
l’impresa, della quale era stato dichiarato il fallimento,
era collettiva e non individuale.

2

6

l’asserita esistenza di un socio di fatto, e solo

A base del proprio argomentare, il Massola sostiene che tale
tesi è basata sull’interpretazione analogica del riferimento
al “creditore richiedente” dell’art.18, 3 ° comma, 1.f., non
consentita sia per la lettera della norma che per

sulla non estensibilità del litisconsorzio sul piano
processuale.
A riguardo, va rilevata l’infondatezza dell’assunto di fondo
della tesi del Massola, atteso che, come efficacemente
argomentato nella pronuncia 10693/2005, non si dà nella
specie alcuna interpretazione analogica.
Ed

invero,

l’art.

147,3 °

comma

1.f.,

secondo

cui

l’opposizione alla dichiarazione di fallimento viene
proposta a norma dell’art.18, opera in relazione a tutte le
fattispecie dell’art.147 medesimo, e, con detto richiamo,
pone il fondamento normativo della partecipazione necessaria
al giudizio del “creditore richiedente”, che, come osserva
la pronuncia 10693/2005, prima della sentenza della Corte
cost. 142/1970, consentiva la dichiarazione del fallimento
in estensione solo d’ufficio, ovvero su istanza del curatore
del fallimento già pendente, per cui il richiamo al
“creditore richiedente” non poteva che riferirsi ai
creditori istanti dell’originario fallimento.
Inoltre, la successiva dichiarazione del fallimento in
estensione, in quanto l’originaria istanza di fallimento
deve ritenersi riferita a tutti coloro che per legge devono
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l’interpretazione logica della stessa, per poi argomentare

rispondere del dissesto dell’impresa, non può che ritenersi
quale sviluppo dell’iniziale istanza, sì che anche sul piano
logico si giustifica la partecipazione dei creditori istanti
per il primo fallimento, senza con ciò escludere che debbano
partecipare al giudizio di opposizione i creditori istanti

per l’estensione del fallimento(in tal senso, la recente
sentenza 7152/2010, che si è pronunciata anche per
l’applicazione del principio in oggetto nella nuova
normativa).
Artificiosa è la deduzione dell’applicazione al caso in
oggetto dell’art.147 1.f. in via analogica, per essere
stato in origine dichiarato il fallimento di un imprenditore
e non di una società, atteso che la norma in oggetto nella
sua formulazione letterale e nell’interpretazione costante
ricomprende anche detta ipotesi.
Né, a confutare l’orientamento costante sopra riportato,
potrebbe essere addotto il possibile inconveniente in punto
spese.
Cadono, infine, le argomentazioni che tendono a far valere
un’interpretazione costituzionalmente orientata, perché è
infondata in radice la tesi di fondo del ricorrente, del
ricorso all’interpretazione analogica da parte della
costante giurisprudenza in argomento, per quanto sopra
(.\\

argomentato.
3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso.
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Non si dà pronuncia sulle spese, non essendosi costituiti
gli intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Il Presiaentel

Così deciso in Roma, in data 11 aprile 2013

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