Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10728 del 03/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 03/05/2017, (ud. 15/03/2017, dep.03/05/2017),  n. 10728

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3968-2013 proposto da:

S.S.F., (OMISSIS), M.A. (OMISSIS),

rappresentati e difesi dall’avvocato BERNARDINO PASANISI;

– ricorrenti –

contro

B.A., L.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GREGORIO VII 154, presso lo studio dell’avvocato ARCANGELO BRUNO,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE PIO CAPOGROSSO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 337/2012 della CORTE D’APPELLO DI LECCE

sezione distaccata di TARANTO, depositata il 19/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato VITALE Vanessa, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato PASANISI Bernardino, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ARCANGELO Bruno, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato CAPOGROSSO Giuseppe Pio, difensore dei resistenti che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La vicenda oggetto della causa trae origine dalla costruzione di una scala esterna di acceso ai lastrici solari, edificata – nel comune di Maruggio (TA) – dai coniugi S.F. e M.A. a ridosso del confine col fondo dei coniugi B.A. e L.R..

2. – A conclusione dei giudizi di merito, la Corte di Appello di Lecce (Sezione distaccata di Taranto) confermò la sentenza del locale Tribunale che, in accoglimento delle domande proposte dal B. e dalla L., condannò i coniugi S.- M. alla demolizione del muro di confine con la proprietà degli attori per la porzione eccedente la quota di metri 2,93 nonchè della scala realizzata in appoggio al detto muro. Ritenne la Corte territoriale che fosse inammissibile in appello la produzione, da parte degli appellanti coniugi S.- M., della scrittura stipulata durante il giudizio di primo grado con la quale – a loro dire – le parti avrebbero transatto la lite e che, pertanto, non potesse pronunziarsi la invocata declaratoria di cessazione della materia del contendere.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono S.S.F. (quale erede di S.F.) e M.A. (in proprio e quale erede del predetto) sulla base di tre motivi.

Resistono con controricorso B.A. e L.R..

Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, vanno esaminate le due eccezioni di inammissibilità del ricorso, proposte dai controricorrenti: la prima per difetto di prova che i ricorrenti fossero eredi di S.F.; la seconda per invalidità della notificazione del ricorso, in ragione del fatto che al difensore domiciliatario degli attori fu consegnata una sola copia dello stesso.

Entrambe le eccezioni vanno respinte.

La prima eccezione – relativa al difetto di prova che i ricorrenti fossero eredi di S.F. – non può trovare accoglimento.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, colui che, assumendo di essere erede di una delle parti originarie del giudizio, intervenga in un giudizio civile pendente tra altre persone, ovvero lo riassuma a seguito di interruzione, o proponga impugnazione, deve fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., oltre che del decesso della parte originaria, anche della sua qualità di erede di quest’ultima; a tale riguardo la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, artt. 46 e 47 non costituisce di per sè prova idonea di tale qualità, esaurendo i suoi effetti nell’ambito dei rapporti con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi, dovendo tuttavia il giudice, ove la stessa sia prodotta, adeguatamente valutare, anche ai sensi della nuova formulazione dell’art. 115 c.p.c., come novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 14, in conformità al principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere, con riferimento alla verifica della contestazione o meno della predetta qualità di erede e, nell’ipotesi affermativa, al grado di specificità di tale contestazione, strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della dichiarazione sostitutiva suddetta (Cass., Sez. U, n. 12065 del 29/05/2014).

Nella specie, i ricorrenti, a prova della loro qualità di eredi di S.F., hanno prodotto il certificato di morte del de cuius e una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante la loro qualità di eredi.

A fronte di tale produzione, i coniugi B.- L. hanno contestato in modo assolutamente generico la qualità di erede pretesa dai ricorrenti, senza alcuna specificazione del profilo per il quale tale qualità sarebbe assente e senza alcun riferimento al contenuto della dichiarazione sostitutiva di atto notorio prodotta. In tale situazione, alla luce del richiamato principio di diritto, l’eccezione va rigettata.

Anche la seconda eccezione – relativa alla pretesa invalidità della notificazione del ricorso per essere stata consegnata una sola copia di esso al difensore domiciliatario degli attori – è infondata.

Questa Corte ha, infatti, statuito che la notificazione dell’atto d’impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia (o di un numero inferiore), è valida ed efficace, in virtù della generale applicazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, alla luce del quale deve ritenersi che non solo in ordine alle notificazioni endoprocessuali, regolate dall’art. 170 c.p.c., ma anche per quelle disciplinate dall’art. 330 c.p.c., comma 1, il procuratore costituito non è un mero consegnatario dell’atto di impugnazione ma ne è il destinatario, analogamente a quanto si verifica in ordine alla notificazione della sentenza a fini della decorrenza del termine d’impugnazione ex art. 285 c.p.c., in quanto investito dell’inderogabile obbligo di fornire, anche in virtù dello sviluppo degli strumenti tecnici di riproduzione degli atti, ai propri rappresentati tutte le informazioni relative allo svolgimento e all’esito del processo (Cass., Sez. U, n. 29290 del 15/12/2008; Sez. 3, n. 26541 del 17/12/2014).

Non sussiste, pertanto, la dedotta nullità della notificazione del ricorso.

2. – Superate le eccezioni di inammissibilità del ricorso, può passarsi all’esame dei motivi.

2.1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè la nullità della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la Corte di Appello omesso di dichiarare la cessazione della materia del contendere sulla base della scrittura transattiva stipulata dalle parti, la cui produzione in appello la Corte territoriale non ha ammesso.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Va premesso che la cessazione della materia del contendere per intervenuta transazione – non costituendo oggetto di eccezione in senso proprio – è rilevabile di ufficio dal giudice e non è soggetta alle preclusioni previste per detto tipo di eccezioni (Cass., Sez. 1, n. 4883 del 07/03/2006; Sez. 6 – 3, n. 8903 del 04/05/2016) e, d’altra parte, il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis (Cass., Sez. U, n. 10531 del 07/05/2013).

Nella specie, tuttavia, i ricorrenti non hanno trascritto il contenuto della scrittura di contenuto asseritamente transattivo stipulata inter partes, non consentendo così a questa Corte di valutare la fondatezza della censura; dal che l’inammissibilità del motivo.

2.2. – Col secondo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello ritenuto inapplicabile l’art. 878 c.c. per il fatto che la scala non poteva qualificarsi costruzione in aderenza, trattandosi invece di costruzione in appoggio.

Anche questo motivo non può trovare accoglimento.

L’art. 878 c.c., comma 1 stabilisce che il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un’altezza superiore a tre metri non è considerato ai fini del computo delle distanze legali. Soggiunge il secondo comma della medesima disposizione che il detto muro, quando è posto sul confine, può essere reso comune anche a scopo di appoggio, purchè non preesista al di là un edificio a distanza inferiore a tre metri.

La facoltà di appoggio al muro di cinta presuppone, dunque, che non esista al di là del muro un edificio a distanza inferiore a tre metri. Tale circostanza non risulta aver formato oggetto di accertamento da parte dei giudici di merito, nè è stata allegata dai ricorrenti nell’ambito del motivo, che risulta del tutto generico sul punto. Non risultando sussistente il presupposto fattuale al quale l’art. 878 c.c., comma 2, ancora il riconoscimento della facoltà di appoggio, il motivo risulta infondato.

2.3. – Col terzo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello omesso di riconoscere la legittimità della scala edificata dai convenuti ai sensi dell’art. 873 c.c., dovendo ritenersi consentite le costruzioni su fondi finitimi se aderenti tra loro (essendo emerso che l’altra faccia del muro era interessata dalla costruzione in aderenza di un forno).

La censura è inammissibile, trattandosi di doglianza nuova, che non ha formato oggetto di apposito motivo di appello; non senza considerare che tale censura presuppone l’accertamento di un fatto (esistenza di un forno) non risultante dalla sentenza impugnata e, pertanto, non deducibile in sede di legittimità.

3. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2017

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