Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10726 del 16/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 16/05/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 16/05/2011), n.10726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MARIANNA DIONIGI 43, presso lo studio dell’avvocato CANONACO LUCIANA,

rappresentato e difeso dall’avvocato FERRARI VINCENZO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA CARIME SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV N. 99, presso lo

studio dell’avvocato FERZI CARLO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CHIELLO ANGELO GIUSEPPE, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1363/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 30/10/2006, R.G.N. 931/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato FERZI CARLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 29/6 – 30/10/06 la Corte d’Appello di Catanzaro rigettò l’appello proposto il 31/5/04 da L.A.A. avverso la sentenza del 5/6/03 del Tribunale di Rossano, che gli aveva respinto la domanda diretta al riconoscimento della qualifica di “quadro” nei confronti della datrice di lavoro Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania (CARICAL) per effetto della accertata mancanza di corrispondenza di tale qualifica alle mansioni di fatto espletate dal ricorrente. La Corte d’appello addivenne a tale decisione dopo aver verificato che il richiamato quadro normativo portava ad escludere che le mansioni espletate dall’appellante nel periodo di riferimento (luglio 1994 – settembre 1995) potessero legittimare il riconoscimento della categoria invocata rispetto a quella di appartenenza di impiegato di 1^; inoltre, la stessa Corte accertò che il materiale istruttorio non consentiva di rinvenire un positivo riscontro alla dedotta assunzione di mansioni di particolare responsabilità gerarchica e funzionale, per cui confermò la sentenza gravata e compensò le spese del giudizio.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso A.A. L., affidando l’impugnazione a tre motivi di censura. Resiste con controricorso la Banca CARIME s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 8 CCNL 18/1/1991 per i quadri, gli impiegati, i subalterni e gli ausiliari delle Casse di Risparmio S.p.A, nonchè dell’art. 6 del Contratto integrativo aziendale Caricai del 6/4/1995, in relazione all’art. 2103 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

Sostiene il ricorrente che la lettura del combinato disposto di tali norme contrattuali consente di approdare al convincimento che la categoria di “quadro” va riconosciuta ai lavoratori in possesso di requisiti ed attitudini professionali che svolgano mansioni che comportino particolare responsabilità gerarchica e/o funzionale, nonchè elevata capacità professionale, mentre la sentenza impugnata si sofferma su dati ed elementi parziali considerando separatamente i suddetti requisiti ed ignorando, tra l’altro, il documento decisivo rappresentato dalla nota di attribuzione della qualifica di “ottimo” del 13/12/95 proveniente dalla datrice di lavoro, la quale, con tale documento, lo riconosceva idoneo alle qualifiche di “quadro” (Vice Direttore di Filiale 4^ categoria e Vice Direttore Aggiunto Filiale di 3^ categoria).

Osserva la Corte che in relazione al presente motivo sussiste una causa di improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto in atti non risulta che il ricorrente abbia depositato nel presente giudizio i contratti collettivi invocati, nè il documento citato, dei quali lamenta, rispettivamente, l’erronea ed omessa disamina e sui quali fonda la relativa doglianza, non curandosi nemmeno di riprodurne l’integrale contenuto, in evidente spregio al principio dell’autosufficienza che deve contraddistinguere il ricorso in sede di legittimità. Nè a tal fine può ritenersi sufficiente l’indicazione, in calce al ricorso, dell’allegazione dei fascicoli di primo e secondo grado, in quanto di per sè inidonea a soddisfare l’onere di deposito imposto dalla citata norma di rito a pena di improcedibilità.

Invero, questa Corte ha già avuto modo di spiegare (Cass. Sez. Lav.

Ord. n. 11614 del 13/5/2010, conforme anche a Cass. sez. lav. n. 4373 del 23/2/2010) che “l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato effettuato il deposito di detti atti o siano state allegate per estratto le norme dei contratti collettivi. In tal caso, ove pure la S.C. rilevasse la presenza dei contratti e accordi collettivi nei fascicoli del giudizio di merito, in ogni caso non potrebbe procedere al loro esame, non essendo stati ritualmente depositati secondo la norma richiamata.” In ordine allo stesso tema del puntuale assolvimento dell’onere di deposito imposto dai codice di rito si è ulteriormente precisato (Cass. Sez. Lav. n. 15495 del 2/7/09) che “l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – non può dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi ritenere che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362 cod. civ. e seguenti e, in ispecie, con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa.” Tali pronunce sono, tra l’altro, perfettamente in linea con quanto autorevolmente statuito dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/3/2010), per le quali “in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso”.

2. Col secondo motivo si deduce l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) con riferimento al documento col quale, in sede di attribuzione della qualifica di “ottimo” alla data del 31/12/95, veniva riconosciuta dalla datrice di lavoro al ricorrente l’idoneità ai servizi di Vice Direttore di Filiale di 4^ categoria e Vice Direttore di Filiale di 3^ categoria (posizioni di Quadro).

Orbene, anche in tal caso, pur volendosi prescindere dall’intima contraddizione rappresentata dalla prospettazione dello stesso fatto nei termini alternativi e tra loro inconciliabili dell’omissione e dell’erronea valutazione, assurge valore dirimente il fatto che il documento richiamato, sul quale il motivo è costruito, non risulta prodotto nella presente fase di giudizio, non potendosi a tal fine ritenere sufficiente, per le ragioni già esposte nella disamina del precedente motivo di censura, la mera indicazione della allegazione, in calce al ricorso, dei fascicoli dei precedenti gradi di merito, senza che sia riprodotto, in omaggio al principio dell’autosufficienza, il contenuto integrale del documento e senza che sia spiegato in quale grado del giudizio lo stesso fu prodotto e se e in quali di questi fascicoli lo si possa rinvenire.

Ne consegue che sussiste una causa di improcedibilità del ricorso anche in relazione a tale motivo ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

3. Col terzo motivo viene segnalata la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). In particolare, il ricorrente si duole del fatto che per un verso gli viene riconosciuta in sentenza una approfondita conoscenza delle problematiche inerenti alla contabilità in generale ed a quella regionale, oltre che del servizio di tesoreria della banca, mentre d’altro canto tali qualità vengono poi escluse dal contenuto delle mansioni da “collocare correttamente ai fini del riconoscimento della superiore qualifica di quadro”.

Il motivo è infondato.

Invero, nella sentenza impugnata è chiaramente spiegato che le mansioni svolte da A., quantunque di elevato contenuto, risultano prive delle connotazioni richieste dalla normativa contrattuale e caratterizzanti la posizione di quadro. Si chiarisce, invero, che non trova positivo riscontro la circostanza che le mansioni di riordino dei pignoramenti della Regione Calabria siano state espletate dall’appellante con margini, più o meno ampi e sia pure nell’ambito delle direttive ricevute, di “facoltà decisionali”, come richieste dalla contrattazione collettiva di riferimento. A tali conclusioni la Corte territoriale perviene dopo un’accurata disamina del contenuto delle deposizioni testimoniali che le consente di accertare, altresì, che non trovavano positivo riscontro nè l’assunzione, nello svolgimento delle mansioni accertate, di una particolare responsabilità gerarchica o funzionale, nè l’espletamento di mansioni di “elevata capacità professionale”, caratteristiche, queste, egualmente richieste dalla contrattazione collettiva per il riconoscimento dell’invocata qualifica.

Si tratta, a ben vedere, di argomentazioni assolutamente congrue e sorrette da motivazioni logico-giuridiche che si sottraggono, in quanto tali, alle censure mosse nella presente sede di legittimità.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2500,00 per onorario, oltre Euro 26,00 per esborsi, nonchè IVA, c.p.a. e spese generali ai sensi di legge.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2011

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