Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10725 del 16/05/2011

Cassazione civile sez. un., 16/05/2011, (ud. 01/03/2011, dep. 16/05/2011), n.10725

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente di sezione –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5678/2009 proposto da:

V.M. (OMISSIS), V.G. e V.M.

A., nella qualità di unici eredi di VO.GI.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ROMANO CALO’ 84, presso la

sig.ra LUCIA FROSONI, rappresentati e difesi dall’avvocato GRILLO

Armando, per delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

ENEL S.P.A. ((OMISSIS)), E.ON PRODUZIONE S.P.A. (già ENDESA

ITALIA S.P.A.), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 3,

presso lo studio dell’avvocato IZZO Raffaele, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MARRAMA CHIARA, per deleghe a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

REGIONE CALABRIA, CONSORZIO DI BONIFICA – ASSI-SOVERATO, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, ENDESA ITALIA S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 14/2008 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 14/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

01/03/2011 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

uditi gli avvocati Armando GRILLO, Chiara MARRAMA;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

principale; inefficacia del ricorso incidentale tardivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.T. ed altri, quali proprietari pro quota del fondo (OMISSIS) – come indicati in atti – convenivano, davanti al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte d’Appello di Napoli, Enel spa, Endesa Italia spa, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Regione Calabria ed il Consorzio di Bonifica Assi – Noverato chiedendo la condanna dell’Enel spa – previo accertamento della sua responsabilità, al risarcimento dei danni subiti dal terreno di loro proprietà per l’impossibilità di irrigazione, a causa dello scavo di una galleria idraulica, finalizzata alla captazione delle acque del fondo per la produzione di energia elettrica negli impianti idroelettrici di (OMISSIS).

Intervenivano, nel giudizio così instaurato, Vo.Gi. ed altri – quali proprietari di altri fondi in agro di (OMISSIS) – associandosi alle richieste già avanzate dagli originari ricorrenti.

Il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, con sentenza del 10.3.2005, accoglieva la domanda proposta dagli originari ricorrenti e dagli interventori, condannando l’Enel spa al risarcimento dei danni, come quantificati.

La sentenza era impugnata, con autonomi appelli, dagli originari ricorrenti unitamente agli intervenuti C.D., M. E., A.G. e F.C., e A. D. ed V.A., nonchè, con altro appello, da V.M., G. e V.M.A., tutti quali eredi di Vo.Gi., deceduto nelle more del giudizio, lamentando la mancata liquidazione degli ulteriori danni subiti, e richiesti con intervento integrativo del 9.11.2000.

Questi ultimi proponevano anche appello incidentale condizionato al fine di ottenere una condanna alle spese del giudizio di primo grado, separata ed autonoma rispetto a quella disposta nel primo giudizio in favore di tutti i ricorrenti e gli interventori.

Si costituivano Enel spa ed Endesa Italia spa che proponevano, a loro volta, appello incidentale.

Gli appelli erano riuniti.

Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, con sentenza del 14.1.2008, così provvedeva: “accoglie l’appello principale di P.T. ed altri(di cui al n. 143/05 R.g.) e per quanto di ragione di V.M. ed altri (di cui al R.G. n. 124/05), nonchè l’appello incidentale dell’ENEL s.p.a. contro V.M. ed altri, mentre lo rigetta nei confronti di P.T. ed altri.

In relazione al giudizio di primo grado condanna l’ENEL s.p.a. al pagamento delle spese processuali in favore di V.M. ed altri…….”.

Hanno proposto ricorso principale davanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, affidato a quattro motivi, V.M., e G. e V.M.A..

Resistono con controricorso ENEL spa, E.ON Produzione spa ed Endesa Italia spa nelle qualità indicate, che hanno anche proposto ricorso incidentale affidato a quattro motivi illustrati da memoria, Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi – principale ed incidentale – vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..

Essi sono stati proposti per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.

Secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero e ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002).

Il quesito, ai quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo).

La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare ( da ultimo Cass. 7 aprile 2009, n. 8463; v, anche Sez. Un. ord. 27 marzo 2009, n. 7433).

Ricorso principale.

Il primo motivo è inammissibile sotto diversi profili.

In primo luogo, non è indicato in relazione a quale o quali dei motivi previsti dalla norma dell’art. 360 cod. proc. civ., è censurata la sentenza impugnata, e quali siano le violazioni addebitate alla stessa.

Sembra trattarsi di un supposto, insussistente – secondo la tesi dei ricorrenti – contrasto fra dispositivo e motivazione – in ordine al quale non sono neppure indicate le norme delle quali si denuncia la violazione -, con prevalenza del primo sulla seconda.

Ma sotto questo aspetto, a tacer d’altro, il quesito di diritto posto al termine dell’illustrazione del motivo, relativo a supposta violazione di norme di diritto, non rispetta quanto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., per essere generico ed astratto, senza alcun riferimento al caso concreto.

Con il secondo motivo i ricorrenti principali denunciano violazioni di legge in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 111 Cost., commi 6 e 7.

Il motivo è inammissibile.

Il quesito, posto in relazione a tale motivo, è generico, e non contiene alcun riferimento al caso concreto.

In particolare, non chiarisce quale sia il punto decisivo della controversia – non assoggettato ad appello – in ordine al quale il giudice di appello (TSAP) sarebbe incorso nel denunciato vizio di extrapetizione; in tal modo, non consentendo neppure l’enunciazione – da parte della Corte di legittimità – di un principio di diritto che dia soluzione a caso concreto.

Con il terzo motivo i ricorrenti principali denunciano la violazione degli artt. 343, 347 e 166 c.p.c. e R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 208, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 111 Cost., commi 6 e 7.

Sostengono l’inammissibilità, per tardività, dell’appello incidentale proposto dalle società, attuali resistenti e ricorrenti incidentali, davanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, con comparsa depositata cinque giorni prima dell’udienza di comparizione delle parti, anzichè nel termine di cui all’art. 343 cod. proc. civ., attualmente in vigore.

Il motivo non è fondato.

Posta la correttezza, in questo caso, del quesito di diritto, deve rilevarsi quanto segue.

Come già statuito da questa Corte a sezioni unite (tra le altre decisioni, Sez. Un. 8 aprile 2010, n. 8310; sez. un. 23 dicembre 2004, n. 23837; sez. un. 29 ottobre 1981, n. 5693), l’art. 208 del testo unico sulle acque (R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775), che, per il procedimento dinnanzi ai Tribunali Regionali ed al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche dispone l’applicabilità delle norme del codice di procedura civile per tutto ciò che non sia regolato dalle disposizioni del titolo quarto del medesimo testo unico, integra, come enunciazione del comune principio dell’operatività della legge generale laddove quella speciale non dispone, un rinvio formale o non recettizio, il quale, pertanto, va riferito alle norme de codice di rito vigente al momento dello svolgimento della procedura stessa.

Ora, ai fini della disciplina transitoria dettata dalla L. n. 353 del 1990, art. 90 (secondo la quale ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 si applicano le disposizioni vigenti anteriormente a tale data), per stabilire se alle cause in corso a detta data trovi applicazione tale disposizione o il nuovo regime processuale introdotto dalla stessa legge, si deve far riferimento alla data di introduzione del giudizio di merito.

Nella specie, essendo la controversia iniziata con ricorso notificato il 19/22.10.1994, l’appello incidentale andava proposto – così come è correttamente avvenuto – secondo la disciplina di cui all’art. 343 cod. proc. civ., nel testo vigente anteriormente alla novella; quindi nella prima comparsa od, in mancanza di costituzione in cancelleria, nella prima udienza (Cass. 16 maggio 2007, n. 11301; Cass. 9 settembre 2003, n. 13147).

Con il quarto motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la motivazione lacunosa, insufficiente ed apparente nella parte in cui si afferma: che Vo.Gi. avrebbe “lamentato danni risalenti al 1988″, che nel 1996 lo stesso Vo. avrebbe chiesto la variazione da seminativo e pascolo a uliveto irriguo ciò che presuppone che i fondi fossero irrigui…”, “mentre non appare sufficiente(mente) provata per il periodo successivo (dal 1991 al 2000)….”.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, anche a volere ritenere che il momento di sintesi – necessario, per la denuncia di vizi motivazionali – sia integrato dal quesito posto alla pag. 43 del ricorso principale, a conclusione della illustrazione del motivo, che lamenta un insufficiente esame della consulenza tecnica d’ufficio, i ricorrenti non espongono, in forma sintetica, quali siano le ragioni per le quali i vizi motivazionali imputati al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sarebbero tali da non sorreggere la decisione, limitandosi ad una asettica e generica censura di insufficiente esame della c.t.u..

Sotto tale ultimo profilo deve anche evidenziarsi, da un lato, che non sono neppure indicati e riportati in ricorso i passaggi della stessa c.t.u. dei quali si denuncia l’omesso o insufficiente esame;

con ciò violando il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Ricorso incidentale.

Con il primo motivo le ricorrenti incidentali denunciano la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 (art. 50 c.p.c., art. 2945 cod. civ., comma 2).

Il motivo è inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse.

L’interesse ad impugnare, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c. -, infatti, va apprezzato in relazione all’utilità concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa, non potendo esaurirsi in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici sulla decisione adottata (Cass. 25 giugno 2010, n. 15353; Cass. 10 novembre 2008, n. 26921; Cass. 23 maggio 2008, n. 13373).

Il rigetto del ricorso principale, nella specie, toglie interesse all’esame delle censure poste con il motivo proposto, non conseguendo le attuali ricorrenti incidentali, dall’eventuale accoglimento dello stesso, una utilità concreta ulteriore rispetto a quella derivante dal rigetto del ricorso principale.

Con il secondo motivo denunciano la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 (artt. 327 e 334 c.p.c.).

Questo motivo è inammissibile per difetto di un interesse ad una pronuncia sullo stesso, alla luce delle considerazioni che si svolgeranno con l’esame dei due successivi motivi, nell’ottica del principio della ragione più liquida.

Le conclusioni che si andranno ad assumere in ordine alla loro fondatezza, infatti, consentono di ritenere superfluo l’esame del motivo che i ricorrenti incidentali hanno impostato sulla non rilevata tardività dell’appello incidentale condizionato, proposto dagli attuali ricorrenti principali al fine di ottenere una pronuncia separata sulle spese liquidate, senza distinzioni, in favore di ricorrenti ed intervenuti, dal primo giudice.

Con il terzo motivo denunciano la contraddittorietà della motivazione della sentenza in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c. (art. 91 c.p.c.).

I due motivi, per l’intima connessione delle censure con gli stessi proposte, vanno esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati per le ragioni che seguono.

La sentenza, in questa sede impugnata, ha diversificato la posizione di Vo.Gi. (de cuius degli attuali ricorrenti principali) rispetto a quella delle altre parti appellanti, precisando che a) il pregiudizio dallo stesso subito per le ridotte possibilità di irrigazione non era permanente, ma circoscritto al solo anno 1988; b) la carenza d’acqua era dovuta, non alle opere realizzate dall’Enel, ma alla siccità verificatasi in quel periodo; c) per il periodo successivo, non vi era prova dei danni lamentati:

Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha, quindi, affermato che gli eredi Vo. non avevano diritto ad alcun risarcimento di danni, nè per il periodo 1988-1991, nè per quello successivo.

Su tale base, quindi, alcuna condanna a spese giudiziali, nei confronti dell’Enel avrebbe dovuto disporre l’organo giudicante.

Diversamente – ed erroneamente -, pur accertando l’insussistenza di qualsiasi pregiudizio e, quindi, negando il diritto degli eredi Vo. al risarcimento di pretesi danni, ha, poi, disposto la condanna a carico della stessa società – ed a favore di questi ultimi – delle spese del giudizio di primo grado.

La contraddittorietà è evidente.

L’Enel, totalmente vittoriosa, non può essere condannata al pagamento delle spese processuali.

Ciò è avvenuto in violazione dell’art. 91 cod. proc. civ.; con conseguente, corretta denuncia della stessa violazione in questa sede (v. da ultimo Cass. ord. 2 dicembre 2010, n. 24531).

Tale capo della sentenza impugnata va, quindi, cassato.

Conclusivamente, il ricorso principale è rigettato.

In parziale accoglimento, invece, del ricorso incidentale è cassato il capo della sentenza impugnata relativo alle spese del giudizio di primo grado liquidate in favore di V.M., e di G. e V.M.A..

Questi ultimi, per il principio della soccombenza, sono condannati al pagamento delle spese dei tre gradi di giudizio, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, riuniti i ricorsi, rigetta il principale ed, in parziale accoglimento dell’incidentale, cassa il capo della sentenza impugnata relativo alle spese del giudizio di primo grado liquidate in favore di V.M. e di G. e V.M.A..

Condanna gli stessi al pagamento delle spese dei tre gradi di giudizio che liquida, per il giudizio di cassazione, in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari; per il giudizio davanti al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche in complessivi Euro 14.000,00, di cui Euro 3.700,00 per diritti, Euro 300,00 per spese ed Euro 10.000,00 per onorari; e per il giudizio davanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in complessivi Euro 6.000,00, di cui Euro 1.900,00 per diritti, Euro 300,00 per spese ed Euro 3.800,00 per onorari; il tutto oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 1 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2011

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