Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10722 del 24/05/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10722 Anno 2016
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 29742-2010 proposto da:
ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI PER LA PROVINCIA DI
PALERMO (CF. 80016510820), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA MARIA ADELAIDE 8, presso l’avvocato
ROBERTO MINUTILLO TURTUR, rappresentato e difeso
2016
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dall’avvocato PAOLA BARBASSO GATTUSO, giusta procura a
margine dei ricorso;
– ricorrente contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro

Data pubblicazione: 24/05/2016

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende ope legis;

controricorrente

avverso la sentenza n. 1673/2009 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/04/2016 dal Consigliere Dott.

ANTONIO

VALITUTTI;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato TITO
VARRONE che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il

P.M., in persona del

Sostituto

Procuratore

Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di PALERMO, depositata il 27/10/2009;

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RITENUTO IN FATTO.
1. Con sentenza del 21 gennaio 1978, il Tribunale di Palermo condannava il Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, subiti dall’Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di Palermo in conseguenza dell’illegittima requisizione – disposta con decreto prefettizio n. 38091 del 25 ottobre

luglio 1970 – di 428 alloggi di proprietà dello IACP nel quartiere
ZEN, destinati ad abitazione delle famiglie costrette ad abbandonare
le loro abitazioni, in conseguenza degli eventi sismici del 1968. Tale
decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Palermo con
sentenza del 28 aprile 1979.
2. Con successiva pronuncia n. 588/1990, depositata in data 2 marzo 1991, il Tribunale condannava l’amministrazione al pagamento
della somma di E. 2.527.675.209, oltre interessi legali e spese di
lite, in favore dello IACP, a titolo del mancato reddito che l’istituto
avrebbe potuto conseguire dagli immobili illegittimamente occupati.
La decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte di Appello di
Palermo, con sentenza n. 372/1998, depositata il 13 maggio 1998,
con il quale l’Amministrazione veniva condannata al pagamento della somma di E. 3.191.036.100, in favore dello IACP, con compensazione delle spese di lite.
3. Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno, che veniva parzialmente accolto da questa Corte
con sentenza n. 11055/2001, con la quale la decisione di appello
veniva cassata con rinvio alla Corte di Appello di Palermo, in diversa
composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Riassunto il giudizio dall’IACP, ai sensi dell’art. 392 cod. proc. civ., la causa
veniva rinviata all’udienza collegiale del 14 gennaio 2005, ed ivi introitata a sentenza, sebbene in data 14 dicembre 2003 fosse deceduto l’avv. Lugi Barbasso Gattuso, unico difensore dello IACP. Con
ordinanza dell’i luglio 2005, peraltro, la Corte rimetteva la causa in
istruttoria, per l’acquisizione di documentazione ritenuta indispen-

1969, poi annullato dal C. Giust. Amm. Sic., con pronuncia del 10

sabile per la decisione. Quindi, all’udienza del 20 settembre 2005, il
giudizio veniva dichiarato interrotto per il decesso dell’avv. Barbasso
Gattuso.
4.

Riassunto il processo, con costituzione del nuovo difensore

dell’IACP, la Corte di Appello di Palermo, con sentenza n.
1673/2009, depositata il 27 ottobre 2009, in riforma della sentenza

masta non adempiuta e che, quindi, la domanda dell’ente era da
reputarsi del tutto sfornita di prova, rigettava la domanda proposta
dallo IACP nei confronti del Ministero dell’Interno, condannandolo
alle spese di tutti i gradi del giudizio, fatta eccezione per quelle del
giudizio di appello, che venivano compensate fra le parti.
5. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso
l’Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di Palermo nei
confronti del Ministero dell’Interno, affidato a tre motivi.
4. Il resistente ha replicato con controricorso.
5. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Istituto Autonomo Case Popolari
per la Provincia di Palermo denuncia la violazione degli artt. 156,
159 1 161 e 301 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n.
3 cod. proc. civ.
1.1. Lamenta il ricorrente che la Corte di Appello abbia emesso la
sentenza impugnata, disattendendo, per difetto di prova, la domanda dell’IACP di risarcimento dei danni subiti dall’istituto per effetto
dell’ illegittima requisizione degli alloggi, disposta dal Prefetto di Palermo, con decreto del 25 ottobre 1969, n. 38091 (poi annullato dal
C. Giust. Amm. Sic.), sebbene l’unico difensore dell’ente fosse deceduto il 14 dicembre 2003 e l’ordinanza dell’i luglio 2005, con la
quale la Corte aveva disposto l’acquisizione di documenti che avrebbero contribuito a dare fondamento alla pretesa dell’IACP, non fosse
stata mai comunicata all’istituto.
1.2. Il motivo è infondato.

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di primo grado, sul rilievo che l’ordinanza dell’i luglio 2005 era ri-

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1.2.1. Non è controverso tra le parti che il difensore dell’odierno
ricorrente sia deceduto il 14 dicembre 2003 e che l’ordinanza dell.
luglio 2005 – emessa in sede di decisione della causa, e che conteneva l’ordine di produrre una serie di documenti indispensabili ai fini
della decisione della controversia in sede di rinvio, secondo quanto
stabilito da questa Corte con la sentenza 11055/2001 – sia stata,

costituito era già deceduto. L’interruzione del processo veniva, poi,
formalmente dichiarata il 20 settembre 2005, quanto la causa era
stata rimessa in istruttoria per la produzione di detti documenti, con
conseguente costituzione del nuovo difensore, il quale (p. 5 del ricorso) “si riportò al contenuto degli atti redatti dall’avv. Luigi Barbasso Gattuso” (deceduto).
1.2.2. Orbene, non può revocarsi in dubbio che – secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, richiamato dal ricorrente a sostegno delle sue argomentazioni – la morte come la radiazione o la
sospensione dall’albo dell’unico difensore a mezzo del quale la parte
è costituita nel giudizio di merito determini automaticamente l’interruzione del processo anche se il giudice e le altri parti non ne hanno
avuto conoscenza, e senza, quindi, che occorra, perché si perfezioni
la fattispecie interruttiva, la dichiarazione o la notificazione dell’evento. Ne deriva la preclusione di ogni ulteriore attività processuale,
che, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza, con la conseguenza che la irrituale prosecuzione del processo, nonostante il verificarsi dell’evento interruttivo, può essere dedotta e provata per la prima volta nel giudizio di legittimità a norma
dell’art. 372 cod. proc. civ. (cfr. ex plurimis, Cass. 3459/2007;
22268/2010; 244/2010; 25234/2010). E ciò, tuttavia, ad opera della sola parte colpita dal predetto evento, a tutela della quale sono
poste le norme che disciplinano l’interruzione, non potendo la nullità
degli atti successivi all’evento medesimo essere rilevata d’ufficio dal
giudice, né eccepita dalla controparte come motivo di nullità della
sentenza (Cass. 26319/2006; 25234/2010).

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pertanto, emessa in una fase processuale nella quale il difensore

1.2.3. Tanto premesso è, tuttavia, evidente che tali principi – contrariamente a quanto assume l’istante – non si attagliano al caso in
cui il processo venga tardivamente interrotto, e poi riassunto e proseguito ai sensi dell’art. 303 cod. proc. civ. In siffatta ipotesi, infatti,
il giudizio deve essere riassunto in quella stessa fase processuale
(istruttoria o fase decisoria) in cui si è verificata l’interruzione, com-

interrotto nella fase in cui si trovava prima della sua interruzione
(Cass. 1331/1997). Nel caso di specie, prima dell’interruzione il processo si trovava in fase istruttoria, essendo stata la causa rimessa
sul ruolo con la menzionata ordinanza dell’i luglio 2005.
Ne consegue che la parte colpita dall’evento interruttivo, regolarmente costituitasi in giudizio, avrebbe potuto dispiegare in pieno il
proprio diritto di difesa, chiedendo la rimessione in termini per le
attività illegittimamente precluse, ai sensi dell’art. 184 bis cod. proc.
civ. (applicabile ratione temporis, ora art. 153, comma 2, cod. proc.
civ.), e domandare la rinnovazione degli atti nulli, ai sensi dell’art.
162, comma 1, cod. proc. civ., ed, in particolare, avrebbe potuto
chiedere la declaratoria di nullità dell’ordinanza dein. luglio 2005,
emessa nella fase processuale nella quale il processo era interrotto
di diritto, e la rimessione in termini per la produzione dei documenti
da essa richiesti.
1.2.4. In tal senso, questa Corte ha, invero, precisato che il principio secondo il quale la sospensione dall’esercizio della professione
dell’unico difensore, o qualsiasi altro evento interruttivo menzionato
dall’art. 301 cod. proc. civ., a mezzo dei quale la parte è costituita
in giudizio, determina l’automatica interruzione del processo, anche
se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, con
conseguente nullità degli atti successivi, presuppone il concreto
pregiudizio arrecato al diritto di difesa della parte colpita dall’evento
interruttivo (Cass. 14520/2015). Tale pregiudizio, nella specie, per
le ragioni suesposte, non può, per contro, considerarsi sussistente,
essendo stata la causa interrotta e riassunta in istruttoria, con con-

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portando l’atto di riassunzione la prosecuzione del procedimento

seguente possibilità per la parte colpita dall’evento interruttivo di
svolgere in pieno il proprio diritto di difesa. Per converso, nulla di
tutto questo è accaduto nel caso concreto, essendosi il nuovo difensore limitato a riportarsi alle difese del precedente difensore deceduto. Ebbene – costituendo la mancata interruzione del processo a
causa della morte dell’unico difensore della parte un’ipotesi di nullità

o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso, altrimenti deve intendersi implicitamente rinunciata, ex art. 157, commi 2 e 3 cod.
proc. civ. (Cass. 25234/2010; 3546/2016) – la nullità in parola deve
ritenersi sanata per implicita rinuncia della parte interessata ad eccepirla.
1.3. La censura deve essere, pertanto, rigettata.
2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di Palermo denuncia la violazione degli artt. 115,
116 e 132 cod. proc. civ., nonché l’omessa motivazione sui un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn.
3 e 5 cod. proc. civ.
2.1. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte di Appello avrebbe
omesso di valutare la c.t.u. espletata nel giudizio di secondo grado
(R.G. n. 1011/1991), dalla quale si sarebbe già potuto desumere, a
prescindere dai documenti richiesti dalla Corte con l’ordinanza dell’i
luglio 2005, che alla data dell’illegittimo decreto di requisizione (25
ottobre 1969) gli alloggi erano suscettibili di ottenere il rilascio della
certificazione di abitabilità ed agibilità.
2.2. Il motivo è inammissibile.
2.2.1. Va osservato, infatti, che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la
cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità
alla decisione impugnata, il che comporta la necessità dell’esatta
individuazione del capo di pronunzia impugnato (Cass. 13259/2006;
20652/2009).

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relativa, che va eccepita dalla parte interessata nella prima istanza

2.2.2. Nel caso di specie, va rilevato che la censura non coglie la
ratio decidendi dell’impugnata sentenza sul punto in questione, laddove la decisione di appello afferma che l’ordinanza dell’i luglio
2005 conteneva, altresì, l’invito alle parti “a produrre copia della
consulenza tecnica d’ufficio, con eventuali allegati, espletata nel
corso del giudizio di secondo grado (che non si rinveniva agli atti)”

riferibile alla decisione impugnata, che ha affermato la mancanza
agli atti della relazione peritale, laddove l’istante lamenta, per converso, l’omesso esame degli accertamenti tecnici espletati per mezzo della disposta c.t.u. Peraltro, quand’anche tale affermazione della
Corte di merito fosse stata erronea, poiché la relazione peritale era,
invece, agli atti, trattandosi, non di una carente valutazione ed interpretazione degli atti del processo, bensì dell’assunzione acritica di
un fatto (la mancanza agli atti del giudizio della relazione di consulenza), la sentenza andava impugnata con istanza di revocazione ex
art. 395, n. 4 cod. proc. civ. (Cass. 15672/2005; 19921/2012).
2.3. La censura non può, pertanto, trovare accoglimento.
3. Con il terzo motivo di ricorso, l’Istituto Autonomo Case Popolari
per la Provincia di Palermo denuncia la violazione dell’art. 91 cod.
proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
3.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte di Appello abbia posto a carico dell’istituto le spese processuali dei precedenti gradi del
giudizio, laddove, se la causa fosse stata decisa “secondo diritto”, le
spese di tutti i gradi sarebbero state poste a carico dell’ Amministrazione dell’Interno.
3.2. Il mezzo è infondato.
3.2.1. Ed invero, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa
anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, ex art.
385 cod. proc. civ., si deve attenere al principio della soccombenza
applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi
del giudizio ed al loro risultato, sicché deve liquidare le spese in relazione all’esito finale della lite (Cass. 7243/2006; 20289/2015).

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(p. 11). Sicché la censura in esame non può di certo considerarsi

Ne deriva che, essendo rimasto l’IACP definitivamente soccombente
nel merito all’esito dei vari gradi del processo, il medesimo non può
dolersi del regolamento delle spese di lite operato dai giudice del
rinvio.
3.2.2. La censura va, pertanto, disattesa.
4. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso proposto dall’Istituto Auto-

seguenza, integralmente rigettato.
5. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella
misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in C 17.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione
Civile, il 27 aprile 2016.

nomo Case Popolari per la Provincia di Palermo deve essere, di con-

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