Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10721 del 24/05/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10721 Anno 2016
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 26626-2010 proposto da:
DAMANTI

GIUSEPPE

(c.f.

elettivamente domiciliato

DMNGPP49T04E573F),

in ROMA, VIA AURELIANA 53,

presso l’avvocato ANTONINO STRANO, rappresentato e
difeso dall’avvocato ALESSANDRO FINAZZO, giusta
procura speciale per Notaio avv. GIUSEPPE SARZANA di
LICATA Rep.n. 33870 del 27,2.2014;
– ricorrente contro

COMUNE DI LICATA, in persona del Sindaco pro tempore,
domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la

Data pubblicazione: 24/05/2016

CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato MARCELLO LUS,
giusta procura in calce alla comparsa di costituzione
di nuovo procuratore;
– controricorrente

di PALERMO, depositata il 31/03/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato GIULIO VALENTI,
con delega orale avv. FINAZZO, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per
l’accoglimento

del

primo

motivo

assorbimento dei restanti motivi. t

di

ricorso,

avverso la sentenza n. 495/2010 della CORTE D’APPELLO

2

RITENUTO IN FATTO.
1. Con atto di citazione notificato il 18 febbraio 1995, il Comune di
Licata proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo in data
26 gennaio 1995, emesso dal Presidente del Tribunale di Agrigento,
con il quale veniva ingiunto all’ente pubblico il pagamento
dell’importo di E. 139.219.651, oltre interessi e spese, a favore

dei piani particolareggiati di recupero relativi agli agglomerati nn. 15
e 16 del Comune di Licata. Il Tribunale di Agrigento, con sentenza
522/2007, depositata il 16 maggio 2007, rigettava l’opposizione.
2. Avverso la decisione di prime cure proponeva appello il Comune
di Licata, che veniva parzialmente accolto dalla Corte di Appello di
Palermo, con sentenza n. 495/2010, depositata il 31 marzo 2010,
con la quale il giudice di seconde cure condannava l’ente pubblico,
previa revoca del decreto ingiuntivo opposto, al pagamento della
minor somma – rispetto a quella liquidata dal Tribunale – di C
23.395,30, oltre interessi legali, a favore dell’ing. Damanti. La Corte
territoriale, riteneva, invero, applicabile alla quantificazione del
compenso del professionista – non la tariffa professionale – bensì, ai
sensi dell’art. 2233 cod. civ., la pattuizione intercorsa tra le parti, di
cui all’art. 9 del disciplinare di incarico in atti.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso
l’ing. Giuseppe Damanti nei confronti del Comune di Licata, affidato
a due motivi.
4. Il resistente ha replicato con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso l’ing. Giuseppe Damanti denuncia la
violazione di legge e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.
(nel testo applicabile ratione temporis).
1.1. Il ricorrente censura la pronuncia di seconde cure nella parte in
cui ha revocato il decreto ingiuntivo, quantificando il compenso
dell’ing. Damanti, per la redazione dei piani particolareggiati di re-

dell’ing. Giuseppe Damanti, a titolo di compenso per la redazione

cupero relativi agli agglomerati nn. 15 e 16 del Comune di Licata,
nella minor somma – rispetto a quella liquidata dal Tribunale – di €
23.395,30, oltre interessi legali, sulla base dei compensi pattiziamente stabiliti dalle parti.
1.2. Il motivo è inammissibile.
1.2.1. Deve, invero, anzitutto rilevarsi, con riferimento alla violazio-

contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico, con la correlata necessità che la sua denunzia debba avvenire a
pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione
delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche
argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo
determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e
dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass. 10295/2007;
635/2015). Ne consegue che devono ritenersi inammissibili quei
motivi che non precisino in alcuna maniera in che cosa consista la
violazione di legge che avrebbe portato alla pronuncia di merito che
si sostiene errata, o che si limitino ad una affermazione apodittica
non seguita da alcuna dimostrazione (Cass. 15263/2007).
Nel caso concreto, il ricorrente si limita a dedurre la sussistenza di
una violazione di legge, senza richiamare le norme in ipotesi violate
dal giudice di appello, e senza precisare affatto in che cosa tale violazione si sarebbe concretata, ed il quale parte della decisione impugnata siffatta violazione sarebbe stata posta in essere. Per il che
il motivo, sotto il profilo in esame, deve ritenersi inammissibile.
1.2.2. Quanto al denunciato vizio di motivazione, la censura, men
che riferirsi alla omessa considerazione e valutazione, da parte della
Corte territoriale, di elementi probatori decisivi per il giudizio, si
concreta, in sostanza, nella richiesta di una rivisitazione delle valutazioni operate dal giudice di merito alla stregua delle risultanze degli atti di causa, mediante riproduzione parziale degli atti e reitera-

2

ne di legge, che il vizio in parola si risolve in un giudizio sul fatto

3

zione delle considerazioni non accolte dal giudice di seconde cure,
certamente inammissibile in questa sede di legittimità (Cass.S.U.
24148/2013; Cass. 25608/2013).
1.3. La censura va, di conseguenza, disattesa.
2. Con il secondo motivo di ricorso, l’ing. Giuseppe Damanti denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto

cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis).
2.1. Lamenta il ricorrente che la Corte di Appello abbia disatteso la
domanda di liquidazione del maggior danno ex art. 1224, comma 2,
cod. civ., oltre agli interessi legali, per difetto di prova da parte del
Damanti, laddove la dimostrazione del pregiudizio in parola si sarebbe dovuta trarre – a parere del ricorrente – da tre certificazioni
della Siciicassa del 20 aprile 1993, dalle quali si sarebbe potuto desumere l’avvenuta accensione di un mutuo necessario per far fronte
alle spese affrontate in seguito all’incarico in questione, nonché da
un prospetto contabile, contenente il computo degli interessi legali e
della rivalutazione, che si assume non contestato nel quantum dal
Comune di Licata.
2.2. La censura é inammissibile.
2.2.1. Va difatti osservato, al riguardo, che il ricorrente che denuncia, sotto il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto
decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione delle risultanze istruttorie, ha l’onere – nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso – di indicarne specificamente il contenuto (cfr.,
ex plurimis, Cass. 15952/2007; 8569/2013; 14784/2015).
2.2.2. Nel caso di specie, il ricorrente ha, per contro, omesso di trascrivere, quanto meno nelle parti essenziali, o di allegare al ricorso
(artt. 366, comma 1, n. 6 e 369 cod. proc. civ.), i documenti suindicati, onde consentire alla Corte di delibare il fondamento della censura sulla base del solo ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza.
2.3. Il mezzo non può, pertanto, trovare accoglimento.

3

decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5

3. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso proposto dall’ing. Giuseppe
Damanti deve essere, di conseguenza, dichiarato inammissibile.
4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella
misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;

presente giudizio, che liquida in C 5.200,00, di cui ad C 200,00 per
esborsi, spese forfettarie ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione
Civile, il 27 aprile 2016.

dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del

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