Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10721 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 22/04/2021), n.10721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29996-2019 proposto da:

F.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA

38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1453/19/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DEL LAZIO, SEZ. DISTACCATA di LATINA, depositata il

12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CATALDI

MICHELE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. F.C. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza n. 1453/19/2019, depositata il 12 marzo 2019, con la quale (per quanto qui interessa) la Commissione tributaria regionale del Lazio – sezione staccata di Latina ha accolto parzialmente l’appello dell’Agenzia delle Entrate-riscossione avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Frosinone, che aveva accolto il ricorso del predetto contribuente contro l’intimazione di pagamento notificatagli da Equitalia Sud s.p.a., relativa ad alcune cartelle di pagamento. La medesima sentenza ha contestualmente dichiarato, relativamente ad altre cartelle di pagamento oggetto dell’intimazione, il difetto di giurisdizione del giudice tributario.

L’Agenzia delle Entrate-riscossione si è costituita al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.

Il contribuente ha depositato memoria, nella quale, con riferimento al secondo motivo di ricorso, ha frainteso la proposta, che concludeva per la fondatezza di quest’ultimo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente, va ricordato che, come questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16685 del 21/06/2019, in motivazione), a seguito di Cass. Sez. U., Sentenza n. 16412 del 25/07/2007, è andato consolidandosi l’indirizzo interpretativo di legittimità secondo il quale il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario; senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario. Resta peraltro fermo, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, l’onere per l’agente della riscossione di chiamare in giudizio l’ente impositore, D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112 ex art. 39, così da andare indenne dalle eventuali conseguenze negative della lite.

Infatti, la chiamata in causa prevista e disciplinata dal ridetto D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, è qualificabile come litis denuntiatio, preordinata a rendere edotto l’ente creditore della pendenza della lite e dei motivi di ricorso, così da consentirgli, ove lo ritenga opportuno, di intervenire volontariamente nel giudizio in corso, per spiegare le proprie difese in relazione ai vizi dell’atto al medesimo imputabili (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9250 del 03/04/2019).

In applicazione di tale orientamento, si è peraltro affermato anche che “il contribuente, qualora impugni una cartella esattoriale emessa dall’agente della riscossione deducendo la mancata notifica dei prodromici atti impositivi, può agire indifferentemente nei confronti dell’ente impositore o dell’agente della riscossione, senza che sia configurabile alcun litisconsorzio necessario, costituendo l’omessa notifica dell’atto presupposto vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto successivo ed essendo rimessa all’agente della riscossione la facoltà di chiamare in giudizio l’ente impositore”. Ed è stato ulteriormente precisato che “Non diversamente, deve escludersi la configurabilità di un litisconsorzio necessario qualora, come nella specie, il giudizio sia stato promosso nei confronti del concessionario, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che la domanda abbia ad oggetto l’esistenza del credito, anzichè la regolarità o la validità degli atti esecutivi, dal momento che l’eventuale difetto del potere di agire o resistere in ordine all’accertamento del credito non determina la necessità di procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti del soggetto che ne risulti effettivamente titolare, ma comporta esclusivamente l’insorgenza di una questione di legittimazione, per la cui soluzione non è indispensabile la partecipazione al giudizio dell’ente creditore.” (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16685 del 21/06/2019, cit., in motivazione).

Peraltro, tale orientamento è stato condiviso anche in materia di riscossione, a mezzo ruolo, di crediti non tributari, essendo stato rilevato che “In particolare, presso la Sezione Tributaria, si è formato l’orientamento ritenuto ormai consolidato, con specifico riferimento al contenzioso tributario, ma estensibile anche in materia di riscossione a mezzo ruolo di entrate non tributarie, secondo il quale il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengano alla mancata notificazione, ovvero anche all’invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario. Resta peraltro fermo, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, l’onere per l’agente per la riscossione di chiamare in giudizio l’ente impositore, D.Lgs. n. 112 del 1999 ex art. 39, così da andare indenne dalle eventuali conseguenze negative della lite (Cass. Sez. tributaria n. 11468 del 2018, in conformità a Cass. Sez. 5. n. 16412 del 2007, che richiama Cass. ord. 1532 del 2012; ord. n. 21220 del 2012; ord. n. 9762 del 2014; ord. n. 10528 del 2017 ed altre).” (Cass. sez. L -, Sentenza n. 16425 del 19/06/2019, in motivazione).

Tanto premesso, dall’esclusione del litisconsorzio necessario dell’ente impositore deriva pertanto anche l’inapplicabilità dell’art. 331 c.p.c.

Infatti “In tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, secondo cui l’appello deve essere proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili e cause scindibili, ai sensi degli artt. 331 e 332 c.p.c., con la conseguenza che, in presenza di cause scindibili, la mancata proposizione dell’appello nei confronti di tutte le parti presenti in primo grado non comporta l’obbligo di integrare il contraddittorio quando, rispetto alla parti pretermesse, sia ormai decorso il termine per l’impugnazione” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 25588 del 27/10/2017; conforme Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 45 del 03/01/2014). Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata non risulta che il concessionario (contumace in primo grado ed appellante nel secondo) abbia eccepito il difetto della propria legittimazione passiva rispetto al ricorso introduttivo del contribuente, ed in particolare relativamente all’eccepita prescrizione dei crediti intimati, avendo anzi impugnato dinnanzi la CTR proprio tale ratio decidendi. E, comunque, l’accoglimento di tale motivo d’appello presuppone necessariamente l’implicito riconoscimento della legittimazione passiva dello stesso concessionario, che neppure in questa sede la contesta.

Pertanto, in ragione dei principi già richiamati, non sussistono i presupposti per applicare in questa sede nè l’art. 331 c.p.c.; nè, in relazione alla data di deposito della sentenza, l’art. 332 c.p.c.

2. Con il primo motivo il contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 57 e 58, “in ordine alla validità ed efficacia probatoria della produzione documentale in sede di appello”.

Il motivo, a prescindere dall’erronea menzione del n. 3, invece che dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ha comunque il contenuto univoco della denuncia di un preteso errore in procedendo, con il quale il contribuente lamenta che l’Agenzia, in primo grado già contumace, abbia prodotto solo in appello la prova documentale delle notifiche delle cartelle di pagamento e di una precedente intimazione di pagamento, ai fini di dimostrare l’interruzione della prescrizione eccepita dal contribuente.

Il motivo è infondato.

Infatti, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, nel giudizio tributario è fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti in appello, anche al di fuori degli stretti limiti posti dall’art. 345 c.p.c. (Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 29087 del 13/11/2018) ed anche ove gli stessi documenti comportino un ampliamento della materia del contendere e siano preesistenti al giudizio di primo grado (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 17164 del 28/06/2018).

Inoltre, con riferimento all’allegazione, per la prima volta in appello, dell’interruzione della prescrizione, questa Corte ha anche avuto occasione già di chiarire che “In tema di contenzioso tributario, ai sensi del D.Lgs. n. 542 del 1996, art. 57, comma 2, sono precluse in appello esclusivamente le eccezioni nuove, dalle quali deriva un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del tema della decisione, sicchè, a fronte dell’eccezione di decadenza e prescrizione sollevata dal contribuente, l’allegazione dell’interruzione della prescrizione da parte dell’Amministrazione finanziaria, provata mediante l’allegazione di documentazione, rappresenta una mera difesa o un’eccezione in senso improprio, pienamente ammissibile anche in appello in quanto mera contestazione delle censure mosse all’atto impugnato con il ricorso, senza introduzione di alcun elemento nuovo d’indagine.” (Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 24214 del 29/11/2016).

Pertanto, l’allegazione dell’interruzione della prescrizione, con la relativa produzione documentale a sostegno, da parte dell’appellante Agenzia, non ha violato le norme processuali invocate dal ricorrente contribuente.

3. Con il secondo motivo il contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 2946 e 2953 c.c., per avere il giudice a quo ritenuto che a tutti i crediti tributari oggetto delle cartelle di pagamento presupposte dall’intimazione controversa si applicasse il termine di prescrizione ordinario decennale.

Il motivo è fondato.

Infatti “Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonchè di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonchè delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo, ai sensi del D.Lgs. n. 546, art. 58, comma 2.” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 23397 del 17/11/2016).

In applicazione di tale principio, questa Corte ha quindi già cassato sentenze che avevano dichiarato la prescrizione di crediti tributari erariali e locali, senza verificare, in relazione a ciascuno di tali tributi, se fosse applicabile l’ordinario termine prescrizionale decennale o termini di prescrizione più brevi: “Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi a entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie ovvero di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonchè delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo.” (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 33797 del 19/12/2019).

La medesima situazione si ripropone nella fattispecie ora sub iudice, nella quale, come risulta dalla sentenza impugnata, i tributi da cui originano i crediti sono sia erariali (Iva) che locali. La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al giudice a quo per ogni necessario accertamento in fatto.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinviando alla Commissione tributaria regionale del Lazio – sezione staccata di Latina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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