Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10721 del 16/05/2011
Cassazione civile sez. III, 16/05/2011, (ud. 11/04/2011, dep. 16/05/2011), n.10721
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –
Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 33569/2006 proposto da:
C.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA TINA MODOTTI 90, presso lo studio dell’avvocato SORDINI FEDERICA,
rappresentato e difeso dall’avvocato DINOIA Gianfranco giusta delega
a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
G.L., M.M., elettivamente domiciliati in
ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi
dall’Avvocato FARINA Domenico, con studio in 71042 Cerignola (Fg),
Viale Roosevelt, 5, per delega in calce al controricorso;
– controricorrenti –
e contro
C.L., CI.LU., C.A., P.
A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1027/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,
Sezione Terza Civile, emessa il 5/10/2005, depositata il 28/10/2005;
R.G.N. 1285/2003.
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
11/04/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;
udito l’Avvocato FARINA DOMENICO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
VELARDI Maurizio, che ha concluso per inammissibilità in subordine
rigetto.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza non definitiva del 3-24 maggio 2002, il Tribunale di Foggia condannava C.S., C.A., C. L., Ci.Lu. e P.A., quali eredi di C.G., al risarcimento dei danni, in favore dei coniugi M.T. e G.L. nella misura di L. 9.570.100; quindi, con sentenza definitiva del 15 ottobre-19 novembre 2003 provvedeva sulle altre questioni concernenti una servitù e la proprietà comune condannando gli eredi C. al pagamento di due terzi delle spese con compensazione del residuo. Avverso entrambe le decisioni proponeva appello il solo C.S. ed in esito al giudizio, in cui si costituivano i coniugi M., la Corte di Appello di Bari con sentenza depositata in data 28 ottobre 2005, in parziale riforma della sentenza non definitiva, determinava in Euro 3.111,96 la sorte capitale del risarcimento danni, condannando gli appellati alla restituzione della differenza pagata dal C. in esecuzione della sentenza impugnata. Avverso la detta sentenza il C. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo, illustrato da memoria. Resistono con controricorso G.L. e M.M., quale erede di M. T..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
La doglianza, svolta dal ricorrente, si articola attraverso due profili: il primo, fondato sulla pretesa violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto gli attori non avrebbero provato nè il verificarsi del crollo nè la riconducibilità dello stesso alle pregresse lesioni; il secondo, fondato sulla considerazione che la Corte territoriale, dopo aver attribuito valore di prova alla CTU con una motivazione non condivisibile, avrebbe elevato a rango di prova una fra le ipotesi formulate dal CTU nel momento in cui lo stesso si dichiarava impossibilitato a individuare le ragioni del crollo.
La censura, in entrambi i profili, è infondata. A riguardo, mette conto di sottolineare che questa Corte con indirizzo ormai consolidato ha avuto modo di affermare il principio secondo cui la consulenza tecnica può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, quando si risolva in uno strumento, oltre che di valutazione tecnica, anche di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo con il ricorso a determinate cognizioni tecniche (Cass. 3710/03) e percepibili con l’ausilio di specifiche strumentazioni tecniche (Cass. 9090/03, 4743/07).
Ora, i giudici di seconde cure hanno, per l’appunto, fondato la loro decisione sul principio giurisprudenziale riportato evidenziando come “l’originario vincolo strutturale fra i due fabbricati, l’esistenza di tenoni fra i muri portanti realizzati mediante catene, il taglio successivo di queste, conseguente al rifacimento dell’edificio C., sono (fossero) tutti ulteriori elementi materiali non altrimenti riconoscibili se non con l’indagine tecnica”. Ne deriva che la premessa, da cui parte l’iter argomentativo della Corte territoriale, non merita censura alcuna in quanto la consulenza tecnica, come hanno chiarito i giudici di seconde cure, aveva svolto una mera funzione di completamento del materiale probatorio precedentemente raccolto. E ciò, nella parte in cui soltanto speciali cognizioni tecniche ne consentivano l’accertamento.
Nè può essere condiviso l’altro profilo di doglianza, proposto dal ricorrente, secondo cui la Corte territoriale avrebbe elevato a rango di prova una fra le ipotesi formulate dal CTU. Ed invero, il consulente di ufficio, fin dalla sua prima relazione, aveva individuato la causa dei danni iniziali, subiti dal fabbricato dei resistenti, nella mancanza di immediati interventi di manutenzione, da parte della C., dopo il crollo della volta della porzione di sua proprietà e nella successiva ricostruzione senza alcun accorgimento tecnico che preservasse la staticità del fabbricato contiguo. Nella stessa occasione (pag. 11 della relazione), il CTU aveva paventato il crollo della volta dell’immobile dei M. per effetto della mancata esecuzione delle necessarie opere di puntellamento nonchè del taglio delle catene di congiunzione degli edifici.
Ora, il fatto che il crollo paventato si sia poi effettivamente verificato, nell’ulteriore corso del giudizio, costituisce la verifica dell’esattezza dell’analisi tecnica compiuta dal consulente, avvalorata dall’assenza di qualsiasi ragione diversa di danno, quali le infiltrazioni d’acqua piovana, essendo rimasti altresì accertati il buono stato di manutenzione e l’efficienza delle grondaie (pag. 6 della seconda relazione).
Tutto ciò premesso e considerato, risulta con chiara evidenza come la Corte di Appello abbia argomentato adeguatamente sul merito della controversia con una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione. Nè d’altra parte il motivo del ricorso in esame è riuscito ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nel percorso argomentativo dell’impugnata decisione, essendosi il ricorrente limitato a dedurre il vizio motivazionale ex art. 360, comma 1, n. 5, senza chiarire in alcun modo le ragioni della censura.
Considerato che la sentenza impugnata è esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, in favore dei soli controricorrenti, senza che occorra provvedere altresì sulle spese a favore delle altre parti non costituite in quanto non ne hanno sopportate.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 1.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge, in favore dei controricorrenti.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2011