Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10720 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 22/04/2021), n.10720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28219-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SPA IN LIQUIDAZIONE, in persona del Curatore

fallimentare pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLA CONSULTA N. 1/B, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO

ZOPPINI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 757/12/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA LOMBARDIA, depositato il 19/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CATALDI

MICHELE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza n. 757/12/2019, depositata il 19 febbraio 2019, con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello della stessa Amministrazione avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva accolto il ricorso della Curatela del Fallimento (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione contro l’avviso di rettifica e liquidazione relativo al trasferimento, a trattativa privata, di un immobile compreso nella massa fallimentare, oggetto della compravendita conclusa con atto pubblico il 22 settembre 2014.

L’Ufficio aveva infatti rettificato il corrispettivo della compravendita, liquidandolo in misura superiore a quella dichiarata dalle parti e determinando le maggiori imposte, ipotecaria e catastale, dovute, con gli interessi e le relative sanzioni.

La Curatela fallimentare si è costituita con controricorso.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo la ricorrente Amministrazione deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione del TUR, art. 44, comma 1” e la “falsa applicazione del TUR, artt. 51 e 52”.

Assume infatti la ricorrente che il giudice a quo, nel respingere il relativo motivo d’appello erariale, ha erroneamente ritenuto che al caso di specie, nel quale il bene compreso nella massa fallimentare è stato alienato dalla Curatela al terzo con atto di compravendita conseguente a trattativa privata (e non con aggiudicazione a seguito di vendita in sede di espropriazione forzata, con o senza incanto), potesse applicarsi, in tema di imposta di registro, la disposizione di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 44, comma 1, secondo cui “Per la vendita di beni mobili e immobili fatta in sede di espropriazione forzata ovvero all’asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione, diminuito, nell’ipotesi prevista dall’art. 587 c.p.c., della parte già assoggettata all’imposta.”.

A conforto della sua tesi, la ricorrente Agenzia invoca un recente precedente di questa Corte (Cass., Sez. 5, 12/02/2019, n. 4054) che:

– richiama la pronuncia secondo cui “In tema di INVIM, il trasferimento di quote immobiliari disposto dal curatore, a trattativa privata, su autorizzazione del giudice delegato del fallimento, non può essere compreso, neppure in via di interpretazione analogica, tra le ipotesi (espropriazione forzata e trasferimenti coattivi) per le quali il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 44, richiamato, per l’INVIM, dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 31, predetermina la base imponibile dell’imposta di registro, in deroga ai normali criteri di determinazione del valore ai fini impositivi, nel prezzo dell’aggiudicazione, atteso che in tale caso non si riscontra alcuna forma pubblica di gara determinativa di un prezzo del bene prossimo ai valori reali, dal quale – quello fissato autoritativamente dal giudice potrebbe discostarsi per le ragioni più varie” (Cass. n. 6403 del 22/04/2003);

– cita l’orientamento di legittimità (Cass. Sez. 5, ord. n. 25526 del 12/10/2018; Cass. n. 6403 del 2003; Cass. n. 3220 del 2002 e Cass. n. 763 del 2001) secondo il quale il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 44, comma 1, che predetermina la base imponibile nel prezzo dell’aggiudicazione in deroga ai normali criteri di determinazione del valore ai fini impositivi, costituisce norma eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica od estensiva al di là dei casi (espropriazioni forzate e trasferimenti coattivi) in essa contemplati, il cui fondamento giustificativo consiste nell’esistenza di una forma pubblica di gara, svolta sotto il controllo dell’autorità giudiziaria o amministrativa, la quale è idonea a garantire la determinazione di un prezzo di alienazione prossimo ai valori reali;

– si conforma a tali precedenti, escludendo, nella materia sub iudice, la pretesa assimilabilità della vendita a trattativa privata in sede fallimentare alla vendita per asta pubblica in sede di espropriazione forzata (individuale o collettiva).

1.1. Il motivo, come eccepito dalla Curatela controricorrente, è inammissibile.

Infatti, la decisione della CTR si fonda, come appare evidente dalla sua motivazione, su due distinte ed autonome rationes decidendi.

La prima, l’unica censurata dal ricorso erariale, è quella secondo cui l’applicabilità del ridetto D.P.R. n. 131 del 1986, art. 44, comma 1, precluderebbe all’Ufficio di rettificare la base imponibile del trasferimento immobiliare in misura diversa da quella del prezzo dell’aggiudicazione.

La seconda ratio, invece, espressamente formulata “a prescindere” dalla prima, assume che, secondo il giudice a quo, “il prezzo di cessione rappresenti l’effettivo valore di mercato come, peraltro, determinato dal perito, il quale ha provveduto a verificare la situazione catastale, la presenza di abusi edilizi, le concrete condizioni in cui versava l’immobile. La maggior quantificazione effettuata dall’Ufficio, invece, risulta basata unicamente su valori astratti che non tengono conto della particolare situazione dell’immobile (…)”.

Tale ulteriore argomentazione, che nella logica della motivazione rassegnata dalla CTR è formulata come indipendente dalla prima ed idoena ex se a sorreggere la decisione adottata, non è stata attinta sotto nessun profilo dal ricorso erariale, che è quindi inammissibile.

Infatti, “La sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa “ratio decidendi”, nè contiene, quanto alla “causa petendi” alternativa o subordinata, un mero “obiter dictum”, insuscettibile di trasformarsi nel giudicato. Detta sentenza, invece, configura una pronuncia basata su due distinte “rationes decidendi”, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione.” (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 17182 del 14/08/2020).

2. Le spese seguono la soccombenza.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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