Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1071 del 20/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 20/01/2020), n.1071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 35906-2018 proposto da:

A.I., elettivamente domiciliato presso l’avvocato ANDREA

MAESTRI dal quale è rappresentato e difesa, con procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

26/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CHIAZZO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

A.I., cittadino del Ghana, impugnò il provvedimento della Commissione territoriale di diniego dell’istanza di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria, innanzi al Tribunale di Bologna che, con decreto emesso il 26.11.18, rigettò il ricorso rilevando che: il racconto del ricorrente innanzi alla Commissione era inattendibile e incoerente, essendo emerse contraddizioni con le dichiarazioni poi rese innanzi al Tribunale; dalle fonti consultate non si desumeva che nel paese di provenienza sussistesse una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato; era irrilevante il transito in Libia; non erano ravvisabili i presupposti della protezione umanitaria.

A.I. ricorre in cassazione, formulando tre motivi.

Non si è costituito il Ministero intimato.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in quanto il Tribunale non aveva considerato i gravi motivi umanitari, connessi alla situazione carceraria in Ghana e alla condotta violenta delle forze dell’ordine, e il suo inserimento sociale e lavorativo in Italia ai fini del permesso umanitario.

Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1, e della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, art. 33, non avendo il Tribunale tenuto conto del transito del ricorrente in Libia, in ordine alla sussistenza dei seri motivi di carattere umanitario.

Con il terzo motivo è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione ai presupposti del riconoscimento della protezione umanitaria, annettendo la mancata concessione del permesso umanitario all’inattendibilità complessiva del ricorrente che, invece, di per sè, non esclude l’obbligo di motivazione sulla motivazione umanitaria.

il primo motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi della pronuncia del Tribunale che ha considerato il racconto reso dal ricorrente inattendibile e contraddittorio in ordine alle vicende afferenti all’asserita condotta di reato consumata in Ghana – come narrata – che, in caso di rimpatrio, l’avrebbe esposto ad un trattamento inumano nelle carceri nazionali.

Pertanto, il giudice di primo grado ha escluso ogni pericolo di trattamenti degradanti o di violazione di diritti umani nel caso di rientro in Ghana, per l’insussistenza dei fatti che avrebbero potuto determinare la condanna penale del ricorrente.

Quest’ultimo, invece, si è limitato a formulare generiche doglianze relative alla situazione socio-politica del Ghana, senza però criticare specificamente la valutazione d’inattendibilità del suo racconto, ed allegando la questione del suo inserimento lavorativo in Italia che, di per sè, non può costituire elemento sufficiente ad integrare la protezione umanitaria.

Il secondo motivo, riguardante il transito in Libia, è inammissibile. Al riguardo, è consolidato orientamento di questa Corte affermare che nella domanda di protezione internazionale l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide (Cass., n. 31676/18). Nel caso concreto, il ricorrente ha omesso l’allegazione di fatti che evidenzino una connessione tra la situazione subita in Libia e il contenuto della protezione umanitaria richiesta.

Il terzo motivo è parimenti inammissibile in quanto il Tribunale ha espressamente esaminato la domanda di protezione umanitaria, escludendone i presupposti, non avendo il ricorrente allegato situazioni personali di vulnerabilità, diverse da quelle ritenute inattendibili con riguardo alle altre domande, ed ha altresì rilevato rettamente che lo svolgimento di attività lavorativa, di per sè, non legittimasse il permesso umanitario (cfr. Cass., n. 4455/18).

Nulla per le spese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020

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