Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10701 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 22/04/2021), n.10701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19183-2019 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERI della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MORGILLO LUIGI;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso lo studio dell’avvocato URSINO ANNA MARIA ROSARIA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZUCCARINO LUIGI

GIACOMO TOMMASO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 213/2018 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 04/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO

LUCIA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

La Corte d’appello di Campobasso confermava la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto da M.V. avverso il decreto ingiuntivo con il quale gli era stato ingiunto il pagamento in favore di Poste Italiane s.p.a. della somma di Euro 56.760,14, riveniente dalla condanna alla restituzione di somme erogate in conseguenza di sentenze di condanna emesse in suo favore e successivamente riformate;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione M.V. con quattro motivi;

resiste Poste Italiane s.p.a con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 88 c.p.c.;

con il secondo motivo deduce violazione del diritto di difesa, osservando che aveva chiesto nell’atto di citazione e in quello d’appello che fossero depositati tutti i documenti, compresi i fogli paga dai quali ricavare elementi utili a separare la sorte capitale dagli interessi e dalle spese, anche ai fini del computo della prescrizione di alcuni importi richiesti al lavoratore;

con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1284 c.c., rilevando la necessità di tutelare l’affidamento che il dipendente ha riposto nella disponibilità economica derivante dall’erogazione;

con il quarto motivo deduce violazione dell’art. 51 c.p.c., poichè il relatore della sentenza 17/14 (da cui discende in parte il credito di Poste) è lo stesso della sentenza oggi impugnata e che ragioni di opportunità avrebbero richiesto l’astensione del secondo Giudice;

i primi tre motivi sono inammissibili;

nel ricorso per cassazione, infatti, il requisito della esposizione dei motivi di impugnazione – nella quale la specificazione dei motivi e l’indicazione espressa delle norme di diritto non costituiscono requisiti autonomi, avendo la seconda la funzione di chiarire il contenuto dei motivi – mira ad assicurare che il ricorso consenta, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere, cosicchè devono ritenersi inammissibili quei motivi che, come nel caso in esame) non precisino in alcuna maniera in che cosa consista la violazione di legge che avrebbe portato alla pronuncia di merito che si sostiene errata, o che si limitino ad una affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione;

gli stessi motivi sono inammissibili anche perchè prospettano questioni non trattate in sentenza, in mancanza di allegazione, trascrizione e produzione degli atti processuali dai quali evincere che le questioni fossero state poste nella fase di merito (Cass. n. 7048 del 11/04/2016);

l’ultimo è manifestamente infondato perchè la violazione dell’art. 51 c.p.c. è riferita a sentenza resa in altro, autonomo giudizio, così che non è ravvisabile alcuna ipotesi di astensione obbligatorial,- come d’altra parte neppure sostenuto dal ricorrente che ha fatto riferimento a ragioni di opportunità;

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato e le spese sono liquidate secondo soccombenza;

in considerazione della statuizione, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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