Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1070 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 21/01/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14120-2019 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

114, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PARENTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO PASQUINELLI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS), FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE,

V.G., S.G., BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA

SCARL, CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI

MODENA, LAPAM-FEDERIMPRESA, FE.A.S.A FEDERAZIONE ASSOCIAZIONE

SERVIZI ASSISTENZIALI, AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, SORIT

SOCIETA’ SERVIZI E RISCOSSIONI ITALIA SPA, COMUNE DI MARANELLO,

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI MODENA, SIENA

MORTGAGES 07-5 SPA;

– intimati –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO, (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

dagli avvocati LORELLA FRASCONA’, GIANDOMENICO CATALANO;

– resistente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositato il

25/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. Paola

Vella.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Bologna ha rigettato il reclamo ex art. 26 L.Fall. proposto da S.M. – dichiarato fallito in ripercussione del Fallimento della società (OMISSIS) S.n.c. (OMISSIS), chiuso in data 17/05/2017 – contro il diniego di ammissione all’esdebitazione, fondato dal Tribunale di Modena sulla tardività del ricorso, in quanto presentato il 18/09/2018, oltre il termine annuale di cui all’art. 143, comma 1, L.Fall., di cui ha confermato la natura perentoria;

1.1. il reclamante ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, mentre gli intimati non hanno volto difese;

1.2. a seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

2. il ricorrente lamenta “Violazione e non corretta applicazione dell’art. 143 L.Fall., dell’art. 152 c.p.c., dell’art. 2964 c.c.”, deducendo: i) che il termine annuale ex art. 143 L.Fall. ha natura processuale e non può essere ritenuto perentorio, in mancanza di espressa previsione di legge; ii) che, quand’anche fosse ritenuto un termine sostanziale di decadenza, l’art. 143 L.Fall. non prevede espressamente la sanzione della perdita del diritto all’esdebitazione; iii) che la natura perentoria del termine in questione non può ricavasi dalla pretesa “finalità di circoscrivere nel tempo l’incertezza dei creditori sulla residua soddisfazione dei crediti oltre il fallimento”; iv) che la norma va interpretata in senso conforme alla Costituzione, per evitare che il termine sia “irragionevolmente breve” o “prescinda dalla conoscenza dei presupposti e dei concreti elementi costitutivi da parte del titolare” (nel caso di specie il ricorrente ne era venuto a conoscenza dopo aver appreso dal proprio commercialista che gli altri due soci avevano richiesto l’esdebitazione); v) che non rileva il mancato assolvimento dell’onere di chiedere la rimessione in termini prima della scadenza del termine, poichè, essendo esso ordinatorio, egli non avrebbe “perduto il diritto di richiedere ed ottenere l’esdebitazione stessa”; vi) che se il termine annuale ex art. 143 L.Fall. fosse di decadenza, la norma risulterebbe incostituzionale, per violazione degli artt. 2,3,35,41,42 e 47 Cost.; vii) che ai sensi degli artt. 279 e 281 CCII di futura applicazione, il termine annuale non è più previsto, l’esdebitazione va pronunciata contestualmente alla chiusura della procedura e il fallito può chiederla appena decorsi tre anni dalla sua apertura; ix) che anche la L. n. 3 del 2012 sul sovraindebitamento non prevede un termine di decadenza per l’istanza di esdebitazione;

3. tutte le censure non meritano accoglimento;

4. il decreto impugnato si fonda su due rationes decidendi: i) la natura perentoria del termine annuale ex art. 143 L.Fall., comma 1, ritenuta tale anche in ragione della sua “finalità di circoscrivere nel tempo l’incertezza dei creditori sulla residua soddisfazione dei crediti oltre il fallimento”; ii) il mancato assolvimento dell’onere di “chiedere la proroga dello stesso prima della sua scadenza”, ovvero di allegare una valida ragione di “rimessione in termini”, nel caso in cui si opinasse, diversamente, per la sua natura ordinatoria;

4.1. la prima ratio risulta condivisibile, venendo il termine annuale per la presentazione della domanda di esdebitazione comunemente interpretato come termine perentorio previsto a pena di decadenza, sia per ragioni di certezza dei rapporti giuridici (stante l’effetto liberatorio che ne consegue nei confronti dei creditori), sia per ragioni di effettività del procedimento che ne origina, caratterizzato da specifiche interlocuzioni con gli (ex)organi di una procedura ormai chiusa (curatore e comitato dei creditori), chiamati ad esprimere il loro fondamentale parere sulle condizioni previste dall’art. 142 L.Fall. e sui “comportamenti collaborativi” del debitore;

4.2. questa Corte, invero, pur senza declinare apertis verbis la natura del termine in questione, ha più volte sostenuto l’inammissibilità di una “istanza di concessione del beneficio dell’esdebitazione proposta (…) ad oltre un anno di distanza dalla scadenza del termine lungo per l’impugnazione del decreto di chiusura del fallimento”, risultando anche “irrilevante, in tale prospettiva, l’omessa comunicazione del decreto di chiusura del fallimento” (Cass. 13547/2017, 6246/2016; cfr. Cass. 15951/2016, ove si fa rinvio in motivazione al “termine annuale di decadenza decorrente dalla notifica del decreto di chiusura del fallimento”), comunicazione che peraltro, nel caso in esame, la Corte d’appello dichiara ritualmente eseguita;

4.3. in modo più esplicito, nell’ambito di altri istituti inveterati, si è chiarito che, quando si è di fronte ad azioni da esercitare entro un determinato termine, questo riveste di regola – anche in mancanza di specifica disposizione legislativa – natura perentoria e non ordinatoria, “atteso che, quando il diritto è da far valere per la prima ed unica volta, con l’effetto che è perduto se l’atto di relativa esecuzione non ha luogo nel termine stabilito, il termine non può non essere qualificato di decadenza ed ha, quindi, natura perentoria” (Cass. 6095/2003, 2004/1999, sul termine annuale per l’esercizio dell’azione di riscatto di fondo rustico da parte dell’avente diritto alla prelazione);

4.4. una volta qualificato il termine come perentorio, non vi è luogo a proroga, la quale può essere chiesta, a norma dell’art. 154 c.p.c., solo per il termine ordinatorio (“che non sia stabilito a pena di decadenza”), peraltro una sola volta, prima della scadenza e per una durata non superiore a quella originaria (salvo “proroga ulteriore per motivi particolarmente gravi”); diversamente, il rimedio percorribile in caso di consumazione del termine perentorio è l’istituto della rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., comma 2, che consente una sanatoria ex tunc della decadenza maturata, ma può essere concesso solo nella ricorrenza di una “causa non imputabile”, in relazione ad un evento che presenti il carattere dell’assolutezza, e non già un’impossibilità relativa, nè tantomeno una mera difficoltà (Cass. 32136/2019; conf., successivamente, Cass. Sez. U, 27773/2020);

4.5. ne consegue che anche la seconda ratio decidendi non è stata adeguatamente impugnata, essendosi il ricorrente limitato a dedurre, in modo generico e inconferente, che il mancato assolvimento dell’onere di chiedere tempestivamente la proroga del termine, ovvero la rimessione in termini, lascerebbe comunque in vita “il diritto di richiedere ed ottenere l’esdebitazione”;

5. i prospettati profili di incostituzionalità della norma – laddove impone, del tutto ragionevolmente, un termine (peraltro oggettivamente non esiguo) entro cui deve essere presentato il ricorso volto a conseguire il beneficio dell’esdebitazione – appaiono manifestamente infondati (cfr. Cass. 24727/2015, con riguardo al regime transitorio dell’istituto dell’esdebitazione), oltre che in concreto non rilevanti, in quanto basati sul presupposto della ignorantia dell’istituto da parte del ricorrente, il quale sostiene di averne avuto conoscenza solo apprendendo della corrispondente iniziativa tempestivamente assunta dagli altri due soci;

5.1. in ogni caso, il Giudice delle leggi ha già negato che possa ravvisarsi alcuna irragionevolezza nella scelta legislativa di fissare “un limite temporale alla possibilità di accedere al beneficio della esdebitazione – posto che l’unica alternativa possibile, onde non incorrere nella apposizione di ingiustificati termini, sarebbe stata quella di estendere la applicabilità del beneficio a qualunque soggetto che, essendo stato dichiarato fallito, vi avesse interesse dopo la chiusura del fallimento”, apparendo anzi essa “coerente con la esigenza di compiere, al fine della concessione della esdebitazione, una serie di riscontri istruttori, volti alla verifica della effettiva meritevolezza del beneficio da parte del fallito, che ben difficilmente sarebbero possibili o, comunque, fonte di risultati attendibili, ove fossero svolti in relazione a procedure concorsuali la cui chiusura rimonti a periodi troppo risalenti nel tempo, rientrando, quindi, nella discrezionalità del legislatore la fissazione del detto limite temporale” (Corte Cost., ord. 24/02/2010 n. 61, ove si aggiunge che anche il regime di applicabilità ratione temporis del nuovo istituto non può costituire fonte di ingiustificata disparità di trattamento, alla luce della costante giurisprudenza di costituzionalità per cui “lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche”, a meno di una manifesta arbitrarietà intrinseca: Corte Cost., sent. n. 94 del 2009 e n. 341 del 2007; ord. n. 170 del 2009 e n. 212 del 2008);

6. alcuna rilevanza assumono, infine, le innovative previsioni contenute nel CCII, di futura applicazione, mentre l’omologo istituto attualmente disciplinato dalla L. n. 3 del 2012, art. 14-terdecies, contiene in realtà, nel comma 4, identico onere del debitore di presentare ricorso “entro l’anno successivo alla chiusura della liquidazione”;

7. l’assenza di difese esonera dalla statuizione sulle spese giudiziali;

8. sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. Sez. U, 4315/2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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