Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10693 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. III, 22/04/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 22/04/2021), n.10693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29592/2019 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in Brescia, via Luzzago 7,

presso lo studio dell’avv. FEDERICO SCALVI, che lo rappresenta e

difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositata il

30/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/12/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

O.S., cittadino (OMISSIS) propone ricorso nei confronti del Ministero dell’Interno, notificato il 28.9.2019, articolato in tre motivi, avverso il decreto n. 3996/2019 del Tribunale di Brescia, pubblicato in data 30.7.2019, con il quale il tribunale gli ha negato lo status di rifugiato e ha ritenuto non sussistere il suo diritto nè alla protezione sussidiaria nè alla protezione umanitaria.

Riporta la vicenda personale in questi termini: saldatore, nato a (OMISSIS), sposato e padre di una bambina, decideva di emigrare in Libia dopo l’incendio che distruggeva la sua officina. Veniva sequestrato per non meglio esplicitati motivi razziali, e costretto a pagare un riscatto. A quel punto, non ritenendosi più al sicuro, lasciava la Libia alla volta dell’Italia, nella speranza di riuscire a garantire un tenore di vita dignitoso alla sua famiglia.

La sua domanda veniva rigettata in quanto il tribunale riteneva che il ricorrente non avesse neppure indicato motivi di persecuzione, che lo stesso fosse inattendibile nonchè che mancassero elementi a sostegno delle richieste protezioni umanitaria e sussidiaria. Il Ministero ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si dichiara disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Diritto

RITENUTO

che:

con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) ed h) e art. 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. F e g, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sottolinea di aver evidenziato nelle sue domande che la fuga dalla Nigeria era stata determinata dal serio pericolo di non riuscire a provvedere alla sopravvivenza nel suo paese di origine, a causa dello stato di indigenza in cui viveva la sua famiglia. Il tutto, a causa della scarsa sicurezza interna.

Il motivo è inammissibile in quanto del tutto genericamente formulato: non indica neppure in relazione a quale delle domande originariamente proposte, e alla relativa pronuncia di rigetto, indirizzi il motivo di ricorso.

Si limita a dedurre, in maniera del tutto vaga, l’omessa considerazione da parte del tribunale di diverse circostanze di fatto che ritiene rilevanti, alcune di carattere personale (lo stato di indigenza della famiglia), altre di carattere generale, (l’insicurezza interna, l’elevato tasso di criminalità) senza minimamente indicare dove e quando la circostanza di carattere personale fosse stata introdotta nel giudizio di merito, nè confrontarsi con la decisione impugnata.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per non aver il tribunale preso in considerazione la documentazione prodotta nè attivato indagini officiose per conoscere la situazione reale del paese di provenienza.

Anche questo motivo è inammissibile, per la cifra stilistica che caratterizza il ricorso: il ricorrente non chiarisce in relazione a quale delle protezioni richieste muova la sua censura, non si confronta con la decisione impugnata, si limita a riportare, astrattamente, alcuni arresti giurisprudenziali in ordine alla valutazione di credibilità e alla sua procedimentalizzazione e infine, nell’ultima riga dedicata alla trattazione del motivo, afferma, in maniera apodittica, di aver fornito un racconto lineare e dettagliato e che il giudice non abbia attivato la cooperazione officiosa.

Con il terzo motivo, il ricorrente contesta la violazione dell’intero D.L. n. 113 del 2008, in tema di protezione speciale (con una contestazione che, per la sua ampiezza, non può che essere generica), e lamenta la mancata concessione della protezione umanitaria. Riporta un passo della sentenza impugnata, dove si fa riferimento al Pakistan invece che alla Nigeria, suo paese di origine ma non allo scopo di segnalare questo come un vulnus della sentenza. Sostiene che il rigetto della domanda sia derivato da un’erronea lettura dei fatti e che sia stato trascurato che lui dal 2017 avesse un lavoro stabile. Anche questo motivo è inammissibile.

Il ricorrente non chiarisce in questa sede)nè di che lavoro si tratti e neppure se e quando tale circostanza fosse stata introdotta nel giudizio di merito e documentata, condizioni necessarie affinchè la sua omessa considerazione possa ridondare in un vizio del provvedimento impugnato. In effetti, deduce la sussistenza di un vizio di motivazione e non una violazione di legge, sebbene in maniera non rispettosa dei limiti attuali del giudizio di legittimità sulla motivazione, e conclude infatti nel senso che dichiari la nullità della sentenza per vizio di motivazione, avendo il tribunale omesso di considerare tutti gli elementi, non meglio specificati.

Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

 

 

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