Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10692 del 24/05/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10692 Anno 2016
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso 21125-2014 proposto da:
MUNTEANU VALERICA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA MAGNAGRECIA 13, presso lo studio dell’avvocato
SEBASTIANO DI

LASCIO,

rappresentata

e

difesa

dall’avvocato SANDRA SALVIGNI giusta procura speciale
in calce al ricorso;
– ricorrente-

2016
311

contro

CIMINI BENIAMINO, CIMINI SERENA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 411/2014 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 24/05/2016

di ROMA, depositata il 14/03/2014, R.G.N. 7068/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/02/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA
GRAZIOSI;
udito l’Avvocato LUCIA CHIDICHIMO per delega;

Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;

2

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

21125/2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 22 gennaio-14 marzo 2014 la Corte d’appello di Roma ha rigettato
impugnazione di revocazione proposta da Munteanu Valerica avverso sentenza del 5 giugno-12
settembre 2012 della stessa corte, che aveva rigettato l’appello della Munteanu avente ad
oggetto sentenza n. 1003/2011 con cui il Tribunale di Latina aveva aveva dichiarato la

stipulato con Cimini Beniamino e Cimini Serena quali locatori (costituitisi anche nel giudizio di
revocazione), condannando la Munteanu al rilascio dell’immobile e al pagamento dei canoni.
2. Ha presentato ricorso ex articolo 403 c.p.c. la Munteanu sulla base di due motivi.
Il primo motivo denuncia falsa applicazione delle norme di diritto nella sentenza impugnata e
nella sentenza d’appello, perché per il pignoramento non sussiste legittima disponibilità
dell’immobile locato.
Il secondo motivo denuncia omesso esame di fatto decisivo ex articolo 360, primo comma, n.5
c.p.c.: il pignoramento in questione era stato effettuato alla proprietaria dell’immobile Borgo
San Donato Srl, e non ai suoi soci, cioè i Cimini. Sussisterebbe pertanto un errore
determinante ex articolo 395 n.4 c.p.c.. La sentenza impugnata„ affermando il diritto di Cimini
Beniamino come prommissario acquirente del bene e di Cimini Serena per verbale di
immissione in possesso, cioè per documenti entrambi ritenuti precedenti ma non dotati di data
certa, incorre in errore determinante, sostenendo fatti che contrastano con i documenti
depositati.
Inoltre la sentenza del giudice d’appello era stata impugnata anche ex articolo 395 n.1 c.p.c.,
cioè per un’ipotesi di dolo: controparte aveva ingannato il Tribunale affermando – in primo
luogo – che il contratto fu stipulato con il defunto marito della ricorrente il 4 aprile 2001, e
quindi prima del pignoramento mentre nella sentenza

de qua è riconosciuto contratto

successivo all’ottobre 2001, e – in secondo luogo – che non era stato nominato un custode
giudiziario, quest’ultima affermazione allo scopo di fare apparire custodi gli appellati ex articolo
559 c.p.c. Inoltre gli appellati, costituendosi in appello, avevano falsamente affermato che le
scritture esibite erano tutte regolarmente registrate, che vi era diritto di prelazione e che
mancava custode giudiziario perché “lo stesso” non aveva mai chiesto al giudice d’esecuzione
l’autorizzazione a chiedere la liberazione degli immobili, il loro possesso e l’apertura del libretto
dei canoni da riscuotere, nonché manutenzione e quant’altro degli appartamenti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

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risoluzione, per inadempimento della suddetta quale conduttrice, di contratto di locazione

3. Il ricorso è inammissibile, per quel che ora si verrà a rilevare.
3.1 II ricorso è stato proposto ai sensi dell’articolo 403 c.p.c., che disciplina l’impugnazione
della sentenza di revocazione, concedendo al riguardo non una ulteriore revocazione, bensì “i
mezzi d’impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per
revocazione” (cfr. da ultimo Cass. sez. 6-3 ord. 30 settembre 2015 n. 19568 e Cass. sez. L, 3
marzo 2014 n. 5294). Essendo stata oggetto di revocazione una sentenza d’appello, la
sentenza che ha deciso in ordine ad essa l’impugnazione di revocazione può quindi, nel caso di

osservarsi che avverso più sentenze, pronunciate tra le stesse parti e nell’ambito della stessa
causa in grado di appello e di revocazione, è ammissibile un unico ricorso per cassazione
(ancora da ultimo, v. Cass. sez. 6-L, ord. 15 settembre 2014 n. 19470 e Cass. sez. 2, 5 luglio
2013 n. 16861).
Nel caso di specie, l’impugnazione proposta investe anche la sentenza d’appello, come risulta
dalla intitolazione del ricorso (laddove si chiede “uguale cassazione” della sentenza d’appello)
ed altresì è coerentemente e inequivocamente espresso nel primo e nel secondo dei due
motivi, in conclusione confermandolo con un petitum di “cassare senza rinvio la sentenza della
I sezione civile della Corte di Appello di Roma n. 411/14 del 14. 03. 2014 di cui al
procedimento di revocazione della sentenza n. 2995/12 del 5 giugno 2012 e, per l’effetto,
cassare anche detta sentenza”.
3.2 Tanto premesso, deve rilevarsi che, nella esposizione del fatto che introduce alle due
doglianze del ricorso, la ricorrente espone una vicenda per cui soggetti non identificati che
definisce “furbi soci di una società insolvente” – Borgo San Donato Srl -, visti pignorati da una
non identificata banca creditrice i beni della società consistenti in “una ventina di
appartamenti”, si sarebbero finti prommissari acquirenti di tali beni, affidandoli “ad ignari
inquilini”, i quali sostenevano il pagamento del canone fin quando venivano a conoscenza della
reale situazione per l’avvio delle prime esecuzioni immobiliari da parte della banca; e a questo
punto “alcuni di detti furbi soci”, cioè Beniamino e Serena Cimini, avrebbero esercitato “azioni
di sfratto per morosità, azioni che sono finite tutte – tranne una, quella della ricorrente! – con
una condanna anche alle spese di detti signori”.
Per sorreggere, peraltro, l’enunciazione di questi fatti la ricorrente opera un laconico richiamo
(“v. ricorso per revocazione, pag.4, doc.3”) che non consente, ictu acuii, nella sua genericità,
di rendere realmente autosufficiente il ricorso al riguardo (un ricorso per revocazione non vale
ovviamente, di per sé, a dimostrare un fatto; e del doc.3 non è indicato neppure in quale tipo
di documento – e dunque, semmai, di prova documentale – consisterebbe; e ciò a prescindere
dall’ovvio rilievo che non compete ai giudice di legittimità alcun accertamento fattuale,
all’infuori del fatto processuale relativo all’error in procedendo.

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specie, essere impugnata essa stessa ex articolo 360, primo comma, c.p.c. Deve peraltro

3.3 II primo motivo denuncia quindi “falsa applicazione di norme di diritto”, lamentando in
sintesi che, essendo l’appartamento oggetto del contratto locatizio di proprietà della società
Borgo San Donato e oggetto di pignoramento, i locatori Beniamino e Serena Cimini non
avrebbero avuto la legittima disponibilità dell’immobile come invece ritenuto dal giudice di
merito. è evidente, allora, che quello che viene richiesto al giudice di legittimità è proprio un
accertamento di fatto, in ordine a quanto sopra esposto nella premessa del ricorso: ovvero che
l’appartamento rientrava tra i beni della suddetta società, era stato pignorato prima della

disponibilità.
Si travalicano, in tal modo, come già accennato, i limiti della cognizione del presente giudice,
che è giudice di legittimità, cui in quanto tale non può essere richiesta una revisione
dell’accertamento del fatto operato dai giudici di merito.
3.2 n secondo motivo denuncia vizio motivazionale ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c.
nella forma ratione temporis compatibile con entrambe le sentenze impugnate, cioè come
omesso esame su un fatto decisivo e controverso.
Questo motivo si articola in due doglianze.
3.2.1 In primo luogo, dato atto che “sia in sede di ricorso in appello contro la sentenza del
primo giudice, sia in sede di giudizio di revocazione si era ampiamente spiegato e provato che
il pignoramento era stato effettuato alla società” e non ai Cimini – e perciò si era chiesta la
revocazione della sentenza d’appello ex articolo 395 n.4 c.p.c. -, la ricorrente osserva che la
doglianza revocatoria non era stata accolta, avendo la relativa sentenza anch’essa affermato,
invece, che l’immobile era stato pignorato in danno dei Cimini. Quindi la corte sarebbe di
nuovo incorsa nell’ “errore determinante commesso dal primo e dal secondo giudice”,
contrastante con i depositati documenti: in particolare, dal timbro dell’ufficio del registro
risulterebbe che “l’unica scrittura privata registrata, e cioè l’asserito compromesso di vendita, è
stata registrata il 25 febbraio del 2005, e cioè quattro anni dopo il pignoramento effettuato sui
beni della società Borgo San Donato ed il contratto di affitto stipulato con la ricorrente”.
/ctu ocu/i, questa censura corrisponde – e del resto, implicitamente, lo ammette la stessa
ricorrente laddove segnala che si tratterebbe dell’errore del primo e del secondo giudice di
merito che il giudice della revocazione avrebbe fatto proprio – ad una doglianza riconducibile
all’articolo 395 n.4 c.p.c. (v. Cass. sez. 3, 27 luglio 2005 n.15672 – per cui se il giudice è
incorso in una falsa percezione della realtà è configurabile un errore di fatto deducibile
esclusivamente con l’impugnazione per revocazione ai sensi appunto dell’articolo 395, n. 4,
c.p.c. -, nonché le successive conformi Cass. sez. 3, 18 gennaio 2006 n.830, Cass. sez. 3, 2
marzo 2006 n.4660, S.U. 20 giugno 2006 n.14100, Cass. sez. 3, 25 agosto 2006 n.18498); e
dunque non è censura ammissibile, sia perché è estranea alle fattispecie tassative dell’articolo

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stipulazione del contratto di locazione e, pertanto, i locatori Cimini non ne avevano legittima

360, primo comma, c.p.c., sia perché – si osserva ad abundantiam, in riferimento alla
impugnata sentenza di revocazione – comunque una sentenza di revocazione, ai sensi
dell’articolo 403 c.p.c., non può essere impugnata ex articolo 395 c.p.c.
3.2.2 In secondo luogo, la ricorrente afferma che nell’impugnazione per revocazione si era
chiesta la revoca della sentenza anche ex articolo 395 n.1 c.p.c. per avere controparte
ingannato il giudice di primo grado sotto due aspetti: sostenendo che il contratto locatizio era
stato stipulato prima del pignoramento, mentre invece sarebbe successivo; sostenendo che

avrebbe falsamente sostenuto che le scritture esibite fossero regolarmente registrate, che per
l’immobile fosse stato versato regolarmente l’Ici (da un soggetto definito “l’appellante”), che
sussisteva un diritto di prelazione, e infine che mancasse un custode giudiziario per non avere
“lo stesso” mai chiesto autorizzazione del giudice dell’esecuzione per la liberazione degli
immobili, il loro possesso e l’apertura del libretto dei canoni da riscuotere, manutenzione e
quant’altro degli appartenenti inerenti la procedura.
Questa seconda censura conclude lamentando che di tutto ciò “la sentenza della Corte
impugnata per revocazione non fa menzione alcuna dichiarando per di più “infondato” il fatto
che gli appellati siano arrivati a sostenere, contrariamente al vero, che non vi fosse alcun
custode giudiziario”; ma anche la sentenza di revocazione, lascia intendere la ricorrente, non
aveva accolto al riguardo la prospettazione della Munteanu, e neppure avrebbe condannato come richiesto – la sua controparte ex articolo 96 c.p.c.; reputa inoltre la ricorrente di poter
aggiungere che controparte, “sostenendo il falso e negando il vero” abbia pure violato il codice
deontologico forense.
Anche in questo caso è del tutto evidente che la ricorrente presenta nuovamente, e in questa
sede inammissibilmente, asseriti errori fattuali dei giudici di primo grado, secondo grado e
revocazione, i quali sarebbero, secondo la sua stessa prospettazione, frutto di doloso inganno
del giudice da parte dei Cimini, ovvero riconducibili (non all’articolo 360, primo comma, n.5
bensì) all’articolo 395 n.1 c.p.c. (come ancora riconosce la stessa ricorrente nell’incipit della
censura). Né, ovviamente, può costituire vizio motivazionale ex articolo 360 n.5 c.p.c. – come
definito nella rubrica del motivo – l’omessa condanna dei Cimini, da parte del giudice della
revocazione, ex articolo 96 c.p.c., a tacer d’altro perché essi furono vittoriosi in tale giudizio; e
parimenti non ha alcuna consistenza il richiamo, in questa sede, al codice deontologico forense
sulla base di un preteso dolo che, per quanto si è osservato, questo giudice non può verificare
come sussistente o meno.
Anche il secondo motivo, dunque, patisce un contenuto non corrispondente al dettato
dell’articolo 360 n.5 c.p.c. e in questa sede inammissibile.

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non era stato nominato nessun custode giudiziario. Inoltre, nell’atto d’appello controparte

In conclusione l’intero ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Non essendosi costituita
controparte, non vi è luogo a pronuncia sulle spese.
Ai sensi dell’articolo 13, cornma 1 quater, d.p.r. 115/2002 deve darsi atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e qui unico, in forza del comma
1 bis dello stesso articolo 13.

Dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma
bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma l’11 febbraio 2016

Il Consigliere Estensore

P.Q.M.

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